Proseguendo nella riflessione sul significato ed uso dei termini inglesi nella lingua italiana, propongo, questa volta, l’analisi di una parola composta da un aggettivo ed un sostantivo, secondo la nota regola della lingua inglese per cui l’aggettivo precede sempre il nome. Il vocabolo ha attinenza con il mondo dei libri, in particolare dell’editoria.
Quante volte abbiamo sentito parlare di best-seller per indicare un romanzo o un saggio che ha riscosso ampio successo?
Negli ultimi decenni numerosi testi hanno riportato questa dicitura: la si può vedere in bella mostra tra gli scaffali delle librerie, stampata a caratteri grandi sulle “fascette editoriali” che rivestono le copertine dei volumi, ripetuta sulle locandine affisse nei luoghi più disparati.
Best-seller si traduce “Il più venduto”: best è il grado superlativo dell’aggettivo good [pronuncia: gud (=buono)] e significa “il migliore”; seller è un sostantivo derivante dal verbo sell (vendere) che indica “colui che vende, venditore”.
L’espressione best-seller sta a suggerire quindi che il libro è stato acquistato da molti lettori – sarebbe meglio dire acquirenti; la quantità di copie vendute ne ha decretato il successo.
Certamente la vendita di un numero considerevole di copie può definirsi un trionfo in quanto l’opera ha raggiunto un vasto pubblico di persone che – si spera – l’abbiano anche letta. Ma il tipo di successo, come “onestamente” l’espressione best – seller sottolinea, – e che non dobbiamo dimenticare è nata in ambiente anglosassone – riguarda il prodotto venduto, l’operazione commerciale, il profitto che l’industria libraria può ricavarne. Non riguarda invece il valore dell’opera che viene proposta: un best-seller non è automaticamente un capolavoro!
E come si potrebbero definire capolavori le pubblicazioni che in questi ultimi anni hanno riguardato i nostrani dibattiti politici, i casi di cronaca nera, gli strafalcioni linguistico-grammaticali di qualche calciatore, e – non me ne vogliano gli appassionati – le storie sentimentali che hanno per protagonisti gli adolescenti?
Ciò che fa di un libro un best-seller è la legge del mercato: inseguire il successo sembra oggi un imperativo che nel mondo occidentale ispira i comportamenti dei più. E i temi proposti dai best-seller, fatte salve le dovute eccezioni, non sempre sono orientati a superare i limiti imposti dalla concorrenza, dal mercato, dalla pubblicità.
Al lettore “l’ardua sentenza”: in una società in cui prende sempre più piede la tendenza a seguire le mode, a farsi suggestionare dai messaggi pubblicitari, a raccogliere passivamente i suggerimenti che la civiltà dei consumi dispone in bella mostra davanti ai nostri occhi, siamo chiamati a non farci fuorviare dalle trovate eccezionali ed estemporanee.
Accontentarsi di una esistenza alla luce dell’ordinario è una scelta minoritaria, ma non per questo meno gratificante. ☺
Proseguendo nella riflessione sul significato ed uso dei termini inglesi nella lingua italiana, propongo, questa volta, l’analisi di una parola composta da un aggettivo ed un sostantivo, secondo la nota regola della lingua inglese per cui l’aggettivo precede sempre il nome. Il vocabolo ha attinenza con il mondo dei libri, in particolare dell’editoria.
Quante volte abbiamo sentito parlare di best-seller per indicare un romanzo o un saggio che ha riscosso ampio successo?
Negli ultimi decenni numerosi testi hanno riportato questa dicitura: la si può vedere in bella mostra tra gli scaffali delle librerie, stampata a caratteri grandi sulle “fascette editoriali” che rivestono le copertine dei volumi, ripetuta sulle locandine affisse nei luoghi più disparati.
Best-seller si traduce “Il più venduto”: best è il grado superlativo dell’aggettivo good [pronuncia: gud (=buono)] e significa “il migliore”; seller è un sostantivo derivante dal verbo sell (vendere) che indica “colui che vende, venditore”.
L’espressione best-seller sta a suggerire quindi che il libro è stato acquistato da molti lettori – sarebbe meglio dire acquirenti; la quantità di copie vendute ne ha decretato il successo.
Certamente la vendita di un numero considerevole di copie può definirsi un trionfo in quanto l’opera ha raggiunto un vasto pubblico di persone che – si spera – l’abbiano anche letta. Ma il tipo di successo, come “onestamente” l’espressione best – seller sottolinea, – e che non dobbiamo dimenticare è nata in ambiente anglosassone – riguarda il prodotto venduto, l’operazione commerciale, il profitto che l’industria libraria può ricavarne. Non riguarda invece il valore dell’opera che viene proposta: un best-seller non è automaticamente un capolavoro!
E come si potrebbero definire capolavori le pubblicazioni che in questi ultimi anni hanno riguardato i nostrani dibattiti politici, i casi di cronaca nera, gli strafalcioni linguistico-grammaticali di qualche calciatore, e – non me ne vogliano gli appassionati – le storie sentimentali che hanno per protagonisti gli adolescenti?
Ciò che fa di un libro un best-seller è la legge del mercato: inseguire il successo sembra oggi un imperativo che nel mondo occidentale ispira i comportamenti dei più. E i temi proposti dai best-seller, fatte salve le dovute eccezioni, non sempre sono orientati a superare i limiti imposti dalla concorrenza, dal mercato, dalla pubblicità.
Al lettore “l’ardua sentenza”: in una società in cui prende sempre più piede la tendenza a seguire le mode, a farsi suggestionare dai messaggi pubblicitari, a raccogliere passivamente i suggerimenti che la civiltà dei consumi dispone in bella mostra davanti ai nostri occhi, siamo chiamati a non farci fuorviare dalle trovate eccezionali ed estemporanee.
Accontentarsi di una esistenza alla luce dell’ordinario è una scelta minoritaria, ma non per questo meno gratificante. ☺
Proseguendo nella riflessione sul significato ed uso dei termini inglesi nella lingua italiana, propongo, questa volta, l’analisi di una parola composta da un aggettivo ed un sostantivo, secondo la nota regola della lingua inglese per cui l’aggettivo precede sempre il nome. Il vocabolo ha attinenza con il mondo dei libri, in particolare dell’editoria.
Quante volte abbiamo sentito parlare di best-seller per indicare un romanzo o un saggio che ha riscosso ampio successo?
Negli ultimi decenni numerosi testi hanno riportato questa dicitura: la si può vedere in bella mostra tra gli scaffali delle librerie, stampata a caratteri grandi sulle “fascette editoriali” che rivestono le copertine dei volumi, ripetuta sulle locandine affisse nei luoghi più disparati.
Best-seller si traduce “Il più venduto”: best è il grado superlativo dell’aggettivo good [pronuncia: gud (=buono)] e significa “il migliore”; seller è un sostantivo derivante dal verbo sell (vendere) che indica “colui che vende, venditore”.
L’espressione best-seller sta a suggerire quindi che il libro è stato acquistato da molti lettori – sarebbe meglio dire acquirenti; la quantità di copie vendute ne ha decretato il successo.
Certamente la vendita di un numero considerevole di copie può definirsi un trionfo in quanto l’opera ha raggiunto un vasto pubblico di persone che – si spera – l’abbiano anche letta. Ma il tipo di successo, come “onestamente” l’espressione best – seller sottolinea, – e che non dobbiamo dimenticare è nata in ambiente anglosassone – riguarda il prodotto venduto, l’operazione commerciale, il profitto che l’industria libraria può ricavarne. Non riguarda invece il valore dell’opera che viene proposta: un best-seller non è automaticamente un capolavoro!
E come si potrebbero definire capolavori le pubblicazioni che in questi ultimi anni hanno riguardato i nostrani dibattiti politici, i casi di cronaca nera, gli strafalcioni linguistico-grammaticali di qualche calciatore, e – non me ne vogliano gli appassionati – le storie sentimentali che hanno per protagonisti gli adolescenti?
Ciò che fa di un libro un best-seller è la legge del mercato: inseguire il successo sembra oggi un imperativo che nel mondo occidentale ispira i comportamenti dei più. E i temi proposti dai best-seller, fatte salve le dovute eccezioni, non sempre sono orientati a superare i limiti imposti dalla concorrenza, dal mercato, dalla pubblicità.
Al lettore “l’ardua sentenza”: in una società in cui prende sempre più piede la tendenza a seguire le mode, a farsi suggestionare dai messaggi pubblicitari, a raccogliere passivamente i suggerimenti che la civiltà dei consumi dispone in bella mostra davanti ai nostri occhi, siamo chiamati a non farci fuorviare dalle trovate eccezionali ed estemporanee.
Accontentarsi di una esistenza alla luce dell’ordinario è una scelta minoritaria, ma non per questo meno gratificante. ☺
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