etica e diritto
18 Aprile 2010 Share

etica e diritto

 

Rileggo Il piacere della legalità (AA.VV. Il piacere della legalità Libri Scheiwiller, 2002): titolo controcorrente, addirittura provocatorio.

Il volume contiene, fra gli altri, un saggio di Rosaria Trovato su perché la legalità, dal sottotitolo molto invogliante: Eichmann e Socrate: obbedire o non obbedire a una legge ingiusta. Proprio da questo saggio è opportuno cominciare una riflessione sul rapporto tra etica e legalità.

    Citando La banalità del male di Hanna Arendt, la Trovato ricorda che Eichmann, nel processo intentatogli in Israele dopo che gli agenti segreti lo avevano rapito in Argentina, si era difeso sostenendo che si era limitato ad eseguire gli ordini, ovvero a obbedire alla legge: "L'enfasi della Arendt non cadeva sull'obbedienza alla legge, ma piuttosto sulla normalità, persino banalità di un uomo il cui comportamento simbolizzava il male che il secolo ventesimo ha prodotto". Obbedire alla legge non è quindi per sé un valore, se la legge è ingiusta, e a questo punto si configura un'opposizione fra diritto positivo e diritto naturale. "Sembra quindi di dover concludere che l'importante non sia tanto obbedire alla legge, quanto piuttosto saper discriminare se la legge sia giusta, e osservare solo quelle leggi che sono giuste, come ha  fatto Gandhi”.

    Ma non ci sono stati soltanto obiettori "morali" alla legge. Il contrasto fra la morale e la legge della città è antichissimo ed è presente nella tragedia classica, sia pure in modi diversi. Ne I Sette a Tebe Eschilo contrappone due forme di diritto, il diritto individuale di Polinice, estromesso dal governo della città, e il diritto della polis a difendersi, anche se governata da un tiranno.

  Anche Antigone è uno dei personaggi più alti della letteratura mondiale, ed è un fatto originale che in un'epoca nella quale la donna non contava socialmente nulla (come la stessa sorella, Ismene, ricorda ad Antigone nella tragedia, per esortarla a non trasgredire la legge di un sovrano), Sofocle, vissuto per tutto il quinto secolo a. C., affidi proprio ad una donna la legge morale da osservare a costo della morte, contro la legge del tiranno. Anche in Sofocle, Polinice, figlio di Edipo e fratello di Eteocle, accampando diritti sulla sovranità di Tebe, cerca di conquistare la città, ma i due fratelli si uccidono a vicenda. Creonte, zio dei giovani e tiranno di Tebe, ordina la sepoltura di Eteocle che aveva combattuto per la patria, e la morte per chi cercasse di seppellire Polinice. Antigone, sorella dei due eroi contrapposti, sceglie la sepoltura di Polinice e la morte: "Io lo seppellirò … E avrò compiuto un delitto santo".

Un delitto santo: per la prima volta nella storia della civiltà compare questa contraddizione enorme e che sarà fruttuosa nel futuro delle società umane. Intanto Antigone lo compie, questo delitto santo, perché, come afferma davanti al tiranno, lei obbedisce alle leggi inalterabili, non scritte, "quelle che nessuno sa quando comparvero" e alle quali non si può venir meno per l'arroganza di un uomo. E a Creonte che, condannandola, sostiene che "Il nemico non è un amico, neppure da morto", Antigone risponde "Io esisto per amare, non per odiare", affermazione che sembra l'anticipazione del Cristianesimo e anche l'implicita base per la speranza di una società fondata sulle leggi morali.

    Ma è un'anticipazione che per il momento non ha sèguito. Però la democrazia ateniese comincia a distinguere fra il diritto democratico (le leggi sono giuste se fatte dai cittadini) e l'autorità dei tiranni. Su questa distinzione si fonda il paradosso della morte di Socrate. Il filosofo, condannato a morte ingiustamente, rifiuta la possibilità di fuggire e quindi di violare la legge che lo obbliga a subire la pena. Perché non fugge e rimane a bere la cicuta, pur proclamandosi innocente, e quindi vittima di una legge che, per ciò che lo riguarda, è ingiusta?

    Ritornando al saggio di Rosaria Trovato: Eichmann, essa scrive, era sottoposto ad una legge ingiusta e quindi avrebbe dovuto disobbedire, Socrate, "che viveva nella prima democrazia della storia" ha obbedito alla legge, perché la domanda fondamentale alla quale dovremmo rispondere, è: “Viviamo in un paese in cui ci è data libertà d'influire sulla legge prendendo parte all'attività politica sia passivamente che attivamente, cioè da elettore o da eletto?”.

 La Trovato, sostenendo che la legge l'abbiamo fatta noi, perché abbiamo scelto "chi ci comanda" e perché possiamo sostituirlo, conclude che la legge va rispettata "quando contribuiamo a farla, perché in quel caso ci appartiene".

    Eppure, questa conclusione mi appare del tutto insoddisfacente. La legge della maggioranza non è di 

per sé garanzia di eticità e di giustizia, perché le maggioranze parlamentari si possono pronunciare contro il diritto, contro la Costituzione e a favore degli interessi di un capo (Italia docet). Forse la pena di morte è ingiusta in Cina perché le leggi vi sono promulgate da una dittatura, ed è giusta negli Stati Uniti perché il presidente federale, il parlamento ed i governatori sono liberamente eletti? E, attenzione: spesso la democrazia è puramente formale: Hitler, che nel marzo 1932 aveva ottenuto il 37 per cento dei voti e che nell'ottobre era sceso al 33 per cento, una volta andato al potere con un governo di coalizione per l'insipienza e la complicità dei cattolici e dei liberali, riesce con minacce, intimidazioni e violenze ad avere la maggioranza assoluta (marzo 1933): basta ciò a legittimare le leggi che ne sono seguite? Lo stesso Bush jr. è stato eletto per una differenza di circa 500 voti, contesi e contestati, ma attribuiti a lui da un giudice operante nello stato governato dal fratello del candidato presidente.

    D'altra parte, la tesi della Trovato ricalca quella dello stesso Socrate, così come ci viene riportata da Platone nell'Apologia di Socrate e nel Critone.

    Le possibilità d'interpretazione del paradosso socratico sono varie. Intanto, il lato più noto dell'etica greca, il sottofondo comune al sentire di tutti i greci antichi, "l'indisso- lubile vincolo tra i concetti di bellezza e di bontà, riuniti talora esplicitamente nel termine "kalokagazìa", a tradurre il quale nessuna lingua moderna è sufficiente. Lo spirito greco amava la vita, ma senza foga, ritenendola dolce finché fosse bella: se no, meglio morire… Quella bellezza era verità, se sentita come ritmo del discorso; virtù, se azione armonica in se stessa".

    Su questo sottofondo comune, s'innestava senza contrasti la concezione dell'uomo greco come cittadino della polis, come più importante degli uomini che la compongono: “nella politica – confluivano tutte le attività del cittadino ateniese o spartano, a cui la città era più cara dei figli medesimi e di se stesso, perché essa era la madre e l'educatrice degli uomini liberi. I giudizi di approvazione e di disapprovazione, di bontà e di malvagità, con cui noi indichiamo la sfera etica della nostra attività interna, coincidevano con l'esser degni di pubblico onore o disprezzo, sì che l'azione virtuosa si distingueva dalla viziosa per il carattere costante di lode o di biasimo che l’accompagnava” (Armando Carlini, Introduzione a Aristotele, Etica nicomachea, Laterza, 1950).

Dunque, la caratteristica, ed il limite, della civiltà greca era il prevalere della polis sul cittadino, retaggio del più antico prevalere della tribù sui suoi componenti, come l'antropologia dei popoli primitivi ci ha dimostrato. La rivoluzione morale e l'era moderna nascono con il precetto evangelico: Ama il prossimo tuo come te stesso, dove l'enfasi e la chiave del concetto sono nel come te stesso: tu, uomo, non sei più soltanto cittadino, ma sei persona, e come tale sei davvero la misura di tutte le cose, anche del giusto e dell'ingiusto. Nasce da qui la possibilità di un diritto naturale, fondamento del diritto positivo o sua condanna, quando il diritto positivo si allontana dal primato della persona. Nasce cioè il primato dell'etica sulla legalità e sulla politica.

 Nel Novecento, dove hanno portato il culto della forza e della Storia, dove ha portato il disprezzo della persona? Oggi il mondo occidentale si dichiara democratico e pratica in buona misura i diritti inalienabili della persona. Ma il pessimismo odierno, il pessimismo di tanti fra gli autori di questo libro, ha almeno due cause: fuori del mondo occidentale premono masse povere, invidiose della ricchezza dei paesi industriali, e fanatismi religiosi e terroristici fino al sacrificio della propria vita oltre che allo sterminio del nemico; nel nostro mondo "demo- cratico" serpeggia di nuovo una diversa volontà di potenza, se non altro la potenza del denaro con la correlativa etica del successo ad ogni costo. Legalité di fronte alla legge e la fraternité solidaristica sono messe in crisi quotidianamente dalla nuova lotta di classe condotta dall'alto, che impoverisce le classi medie e toglie sicurezze ai pensionati e ai giovani .

    E sui due mondi, sul mondo povero come sul ricco, sovrastano le minacce della sovrappopolazione del mondo povero e dell'abuso delle risorse nell'Occidente: due minacce che il mondo ricco non riesce a fronteggiare, o forse non prende nemmeno in seria considerazione. ☺

 

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