Biblioteche impolverate
13 Giugno 2020
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Biblioteche impolverate

Ognuno di noi ha vissuto queste lunghe settimane di lockdown in maniera diversa, spesso scegliendo di dare spazio alle attitudini che sono state maggiormente sopite ed accantonate da un certo punto della propria esistenza in poi, quando le necessità che ne hanno preso il posto le hanno relegate nel posto più recondito della nostra mente, dove le abbiamo riposte accuratamente, prima di venire assorbiti dal vortice della vita. Ho allegato a corredo di questa breve testimonianza un’immagine contenente un enorme murale, apparso per la prima volta sui grattacieli di Santiago del Cile, poi riadattato in tutto il mondo durante queste settimane fino a divenire virale e che esprime questo concetto: “Non vogliamo tornare alla normalità, perché la normalità era il problema”.
Una sentenza secca, che fotografa un dato di fatto di cui si auspica l’umanità possa fare tesoro nonostante le forze centrifughe dell’economia di massa, le quali sono state più forti di ogni cautela contro l’epidemia e capaci di orientare l’agenda politica del governo nazionale prevaricando addirittura le raccomandazioni degli esperti dell’ISS.
Il lockdown è stato un ritorno alle origini per tutti noi, che, liberati dalle scorie di una routine che ha impiegato qualche giorno a scrollarsi di dosso, abbiamo ripreso dal punto esatto in cui avevamo lasciato, tempo addietro, cercando e trovando quella chiave del ‘rimosso’ freudiano, che giaceva negli abissi della nostra mente, ma era ben presente a noi stessi, seppur in forma latente. Questi lunghi giorni, per molti purtroppo senza lavoro, hanno portato alla riscoperta di librerie, di storie perdute, di compagni di viaggio dimenticati all’interno di scatoloni impolverati riposti nei sottotetti. Rivivere l’esperienza degli autori studiati nell’età adolescenziale, in cui realmente non c’era la giusta maturità per comprendere la grandezza di alcuni personaggi letterari, è sicuramente un fatto meraviglioso se vissuto con il coinvolgimento necessario. Personalmente mi è capitato di imbattermi in numerosi volumi dimenticati, ma quello che ha rapito maggiormente la mia attenzione è stato certamente un passaggio di un libro di letteratura incentrato sulla figura di Pirandello. Forse perché la sua vita rappresenta l’emblema in cui ci ritroviamo, la storia di un uomo del Sud partito da una piccola provincia della Sicilia fino a giungere alla conquista del premio Nobel; forse perché la sua vita rappresenta per certi verso il riscatto del cittadino meridionale del primo ‘900; forse perché il raggiungimento di questo successo avviene dopo una rovinosa caduta sociale da una classe alto borghese ad una classe piccolo borghese, un declassamento questo che lo porterà ad una feroce critica verso un sistema basato sulla routine ossessiva e sulla trappola del lavoro che condiziona totalmente la nostra vita, spesso annullandola. Sostanzialmente tutto questo ha dato vita ai presupposti adatti per la riscoperta di una figura quanto mai attuale, paradossalmente in linea con le problematiche ante lockdown. La rivisitazione dei testi ha portato anche ad una rapida rilettura critica dei suoi principali romanzi ed anche se si tratta di due lavori distinti, possiamo senz’altro affermare che Mattia Pascal e Vitangelo Moscarda, i protagonisti dei due capolavori pirandelliani, sono strettamente collegati l’uno all’altro, quasi vittime diverse di uno stesso destino. Moscarda, il protagonista di Uno, Nessuno, Centomila, conclusione dell’intera parabola romanzesca di Pirandello, è una sorta di risposta a tutte le domande che non trovano soluzione in Mattia Pascal, il quale nella sua condizione di non essere più nessuno, punto di arrivo dell’opera, rappresenta una soluzione finale del tutto transitoria. Come esseri umani non possiamo rinunciare ad avere un’identità, tant’è vero che lo stesso Pascal pur rinnegando se stesso avrà bisogno comunque di diventare un altro, Adriano Meis, dimostrazione che socialmente abbiamo bisogno di vivere in una forma, in una maschera. Si consuma in questo modo quel teatrale ‘strappo nel cielo di carta’ che toglie ogni certezza, che dimostra come il reale non è oggettivo. Questa tuttavia non è una soluzione positiva, poiché porta alla negazione di se stessi, pur essendo l’identità una necessità da cui l’essere umano non può prescindere per esistere. Questa stessa identità invece, in Vitangelo Moscarda, è scomposta in molteplici ‘forme’ e vissuta identificandosi ogni giorno in un elemento diverso, naturale, che crea un legame forte tra il pensiero pirandelliano e l’irrazionalismo, portandoci a pensare che nonostante il nostro vivere assuma forme diverse, segno che nessuna è quella giusta, abbiamo bisogno comunque di una maschera, vera critica sottintesa verso una società borghese piena di contraddizioni. Quelle stesse contraddizioni a cui ci troviamo di fronte ogni giorno, rendendo molto labile il confine tra testo e realtà. Se la soluzione finale letteraria costringerà i personaggi inventati a chiudersi definitivamente nella propria parte, fuggendo da una società intollerabile, ma che rivela anche l’incapacità di vivere, il ritorno alla normalità vera, seppur precaria, per l’umanità vera dovrebbe essere un nuovo inizio.
Se il ritrovarsi tra le mani un semplice volume può essere stato motivo di riflessione, evidentemente mai come stavolta che abbiamo avuto modo di guardarci dentro, soprattutto da fuori, ciò deve essere ragione di una nuova vita consapevole, che del recente passato faccia tesoro, non sciupando la possibilità che ci è stata offerta, soprattutto nel nome di chi ha pagato con la vita tutto questo. ☺

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