camminare domandando  di Antonio De Lellis
4 Ottobre 2013 Share

camminare domandando di Antonio De Lellis

 

In questi ultimi mesi ho girato molto l'Italia ed ho cercato di mettere in pratica uno degli spunti di riflessione che Gustavo Esteva mi ha trasmesso a proposito del pensiero di Ivan Illich e degli Zapatisti. Non esiste un'avanguardia, ma esistono persone che camminano domandando.

Ognuno di noi è uno spazio politico di trasformazione sociale nella misura in cui valorizza le esperienze relazionali di cui è portatore. L'amicizia è lo spazio politico per eccellenza. Solo dentro i nodi relazionali, di cui siamo espressione, possiamo essere in trasformazione e possiamo trasformare la società solo nella misura in cui mettiamo in rete i nostri nodi. La nostra società ha dimenticato l'esperienza del dono (anagramma di nodo) ed ha esasperato il significato di regalo il cui anagramma è però regola. Regole all'interno di convenzioni e di schemi che non possono più contenere il futuro.

In questo senso mi sembra importante la portata storica di figure come quelle di Papa Francesco, che pur con i limiti di un passato che per alcuni c'è ancora, modifica gli schemi di riferimento di una struttura come quella della Chiesa ingessata ed elefantiaca. Cambiano le immagini, la simbologia, le parole d'ordine. È uno schema più centrato sulla società così com'è e non come la si vorrebbe, staccata dal contesto e dal territorio. Espressioni come quelle che vedono mutare le case di Dio da palazzi o luoghi di culto a ostelli internazionali per l'accoglienza e la pace o come tende da campo pronte a soccorrere, ascoltare, comprendere e accompagnare.

Non siamo più in un epoca in cambiamento, ma in un cambiamento d'epoca. Siamo chiamati a farci portavoce della trasformazione sociale e personale che è già in atto da tempo e che alcune figure storiche sintetizzano meglio di altre. Se a un giovane disoccupato il Papa dice di lottare per i propri diritti e non solo che pregherà per lui, significa che incita alla trasformazione personale e sociale nella direzione di un'attuazione dei diritti. Il lavoro, che simbolicamente rappresenta la sconfitta più grande di questo inizio secolo e del pensiero liberista, è spazio di diritti e conflitti. Occorre cioè lottare per i propri diritti senza aver paura dei conflitti, ma anzi abitare il conflitto.

Le esperienze personali, politiche, sociali che come povero cristiano vivo in questi ultimi tempi mi dicono che la rivoluzione è in atto e che i tanti luoghi in cui si combatte per l'affermazione del diritto al lavoro non sono in contrasto con il territorio, il futuro, il rispetto e la dignità umana. Non c'è dignità umana che possa essere rispettata se non c'è il rispetto del diritto al lavoro, al territorio, ai beni comuni ovvero se non c'è la costruzione della comunità intesa come spazio sociale ed ambientale in un contesto storico e territoriale. Il territorio è la comunità, è il lavoro, è il bene comune, è – in una sola parola – la dignità della bellezza senza la quale Dio non avrebbe creato il mondo, senza la quale le persone non avrebbero impiegato la propria vita per opere che ancora oggi ci parlano di grandezza e di stupore per una vita che può essere buona e bella se impariamo a camminare domandando.☺

adelellis@clio.it

 

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