Capitalismo cannibale
21 Luglio 2023
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Capitalismo cannibale

Dati gli eventi in cui siamo coinvolti in questo tempo, forse appartiene al sentire comune la consapevolezza o almeno la sensazione di essere immersi in molti guai. Turbati da un intrigo di minacce e di problematiche diventate comune discorso dei nostri giorni angosciati: debito minaccioso, lavoro precario e mezzi di sostentamento sotto assedio; servizi in calo, infrastrutture fatiscenti e irrigidimenti delle frontiere, violenza su base razziale, pandemie letali e condizioni meteorologiche estreme, guerra realmente combattuta nel nostro continente, ecc… Il titolo “capitalismo cannibale” vuole essere l’espressione che ci aiuti a interpretare e definire il sistema sociale che ci ha portato a questo punto.
Nel precedente articolo si sottolineava la natura prevalentemente religiosa e fideistica del capitalismo moderno. Capitalismo, oltre al prevalente significato di un processo economico, in questa riflessione designa qualcosa di più ampio: un ordine sociale che ad una economia orientata al profitto consente di depredare i supporti extraeconomici di cui ha bisogno per funzionare. Rientrano in questa categoria la ricchezza espropriata alla natura e a popolazioni assoggettate; le molteplici forme di lavoro di cura sottovalutate cronicamente, quando non del tutto disconosciute; i poteri e i beni pubblici che il capitale richiede e al tempo stesso cerca di ridimensionare; l’energia e l’attività dei lavoratori. Anche se non compaiono nei bilanci delle imprese, queste forme di ricchezza sono requisiti essenziali per i profitti che invece vi figurano.
Capitalismo come tipo di società che autorizza un’economia ufficialmente monetizzata per proprietari e investitori, mentre divora la ricchezza non economizzata da tutti gli altri. Servendo tale ricchezza su un piatto d’argento alle classi imprenditoriali, questa società le invita a pasteggiare con le nostre capacità creative e con la terra che ci sostiene, senza alcun obbligo di reintegrare ciò che consumano o di riparare ciò che danneggiano. È la ricetta perfetta per finire nei guai: la società capitalista è pronta a divorare la sua stessa esistenza. Il capitalismo cannibale è il sistema a cui dobbiamo la crisi attuale.
Grazie a decenni di finanziarizzazione oggi siamo ad un raro tipo di crisi in cui sono confluiti molteplici eccessi di ingordigia. Non è “soltanto” una crisi da disuguaglianze dilaganti e di lavoro precario sottopagato; né esclusivamente una crisi fatta da fenomeni migratori e da violenza su basi razziali. Neppure “semplicemente” una crisi della cura, una crisi ecologica in cui il riscaldamento scatena piaghe letali di cui siamo testimoni. Neppure si può dire che sia “solo” una crisi politica contrassegnata da infrastrutture svuotate, militarismo dilagante e proliferazione di “uomini forti” al potere. È tutto questo ma soprattutto è qualcosa di peggio: una crisi generale dell’intero ordine sociale, in cui tutte queste calamità convergono e minacciano di divorarci. Un capitalismo cannibale che sta divorando la democrazia, il nostro senso di comunità e il pianeta.
Il secolo scorso è stato il grembo dei confronti ideologici tra capitalismo, socialismo, liberismo, democrazia e totalitarismi. Alla fine del secolo scorso qualcuno parlò di “fine della storia”, perché il capitalismo aveva vinto e sovrastato le altre visioni ideologiche e i relativi sistemi politici che promuovevano. Nell’ultimo ventennio del secolo scorso il “capitalismo è tornato”, si è imposto, accompagnato dalla tecnologia condivisa a livello planetario per lo sviluppo dei sistemi di produzione, di mercato, di comunicazione.
In ultimo il capitalismo attuale innesca un’ampia e complessa gamma di lotte sociali. Dove i mercati globali e i grandi gruppi imprenditoriali si incontrano con gli stati nazionali e con le istituzioni di governance transnazionale provocano lotte che vertono sulla forma, sul controllo, sulla portata del potere pubblico. Tutto questo parlare di capitalismo denota una crescente consapevolezza di come i mali eterogenei che ci circondano possano essere ricondotti ad una radice comune.
L’attuale boom del dibattito rimane in gran parte retorico, più sintomo di un desiderio di critica sistemica che un effettivo contributo al pensiero critico. Il risultato è che stiamo attraversando una crisi capitalistica di grandi proporzioni senza una teoria critica che sappia spiegarla o che sappia indirizzarci verso una soluzione emancipatrice. Le lotte riguardanti la natura, la riproduzione sociale, la spoliazione e il potere del pubblico, essenziali per questa costellazione, implicano molteplici assi di diseguaglianza, ad esempio attorno alla nazionalità, razza-etnicità, alla religione, alla classe, al sesso.
Ci mancano concezioni del capitalismo e della crisi capitalistica, adeguate al nostro tempo.☺

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