1° settembre 2009. Si riprende servizio nella scuola con quel misto di rimpianto sonnacchioso per l’estate ormai salutata e di curiosità per il nuovo anno che comincia. Anno scolastico e anno solare, signori, ebbene sì, perché per ogni insegnante di capodanni ce ne sono due: e forse il più significativo, l’autentico spartiacque, il momento dei bilanci è piuttosto il 1 settembre che il 1 gennaio.
1 settembre, dunque. Una mattina come quella vissuta altri anni: il sole del mattino è ancora caldo ma non brucia più, e al solito appuntamento con le “compagne di viaggio” arriva la collega ancora abbronzata, l’altra che alla fine il viaggio non l’ha più fatto perché la suocera non è stata bene, quella che è già stanca, quell’altra che già sa che litigherà con qualcuno. E infatti poi lo fa.
Fra le chiacchiere ciarliere del primo giorno di servizio – quello in cui la scuola è ancora vuota e le voci dei ragazzi risuonano qua e là come allegri fantasmi, le lavagne tirate a lucido e i banchi puliti e in ordine, senza chewingum né fugaci scritte amorose – parte qualche sms.
Il primo: “Ciao Tina, ti auguro un buon anno scolastico, dove sei quest’anno? Non perdiamoci di vista, un abbraccio”.
Risposta: “Carissima, grazie del pensiero, buon anno anche a te, ma temo che quest’anno mi toccherà restare a casa. Ci sentiamo!”.
Il secondo: “Ciao Annarita, buona ripresa, come va? Dammi tue notizie, mi manchi, a presto!”.
Risposta: “Ciao cara mia, sento anch’io la vostra mancanza..Grazie del buon anno, ma non sono stata ancora chiamata, vedremo. Un caro saluto”.
Possono bastare, anche se l’elenco è lungo e tristemente uguale. Giovani spose, o mamme di famiglia ormai mature, o fresche laureate già disarmate che, alla facciaccia del retorico “stress-da-ritorno-sul-lavoro” – lo pagherebbero oro, questo lussuoso stress -, se la mattina potranno dormire pure mezz’ora in più, non ne avranno certo alcun beneficio.
Anni di studio, di lavoro, competenze pazientemente acquisite nella fatica del quotidiano e nel gusto di un lavoro bistrattato e non capito: un calcio elegante a tutto questo, in nome di una razionalizzazione del sistema scolastico che di razionale non ha nulla e che fin ora è stato trattato (povera ministra Gelmini! Non è mica colpa sua!) come “un ascensore per 5 persone riempito per anni fino a 10”. Parole sue, le avete sentite? Ora ha cambiato look, porta il caschettino, ma rispetto a un anno fa non sembra granché maturata. Bisognerà pur farli scendere una volta buona, questi abusivi! S’arrangino poi, ognuno come può! E va bene, lo dice anche l’Ocse che siamo troppi (9,6 ogni 100, contro la media europea del 6,5), ma si possono scaglionare e filtrare quelli che vogliono entrare, non buttare fuori chi già c’è.
L’ipotesi di farsi carico di un esercito di precari (per non contare di quelli di ruolo rimbalzati da una cattedra all’altra, con simpatici mix di spezzoni fantasia), frutto anche di politiche scolastiche e formative sbagliate, con delle soluzioni che salvaguardassero migliaia di posti di lavoro, non è venuta in mente a nessuno. L’idea di aumentare il monteore scolastico (anziché eroderlo, già anoressico com’è, dalla Moratti in poi), l’idea di ripensare l’insegnamento laboratoriale e ludico con delle compresenze e delle competenze nuove e specifiche, l’idea di valorizzare la meritocrazia, creando delle figure di tutoraggio che mettano la loro esperienza a guida e sostegno dei novizi… e tanto altro, e tutto quello che potrebbe contribuire ad innalzare il livello della qualità scolastica pubblica in Italia, potrebbe produrre lavoro, e incrementare la motivazione e la consapevolezza di essere una classe che merita rispetto. Anche dal punto di vista economico. Ma non se ne ricorda quasi mai.
Tina e Annarita esistono, non sono nomi fittizi, né gli sms sono espedienti per iniziare l’articolo in maniera più leggera. Non c’è nulla di più pesante, direi anzi, che tornare al lavoro sapendo che il tuo amico non lo farà, quest’anno. Sì, proprio quello con cui hai diviso il panino e la minerale più di una volta, a pranzo; quello con cui hai affrontato l’assistente sociale per quel caso lì che non si può dimenticare, quello con cui hai condiviso il percorso, il cammino, i libri, le scadenze, i consigli, le fotocopie. Quelle stesse che forse quest’anno, nella mia scuola, non potremo fare se non col contagocce, visto che raschiando il fondo del fondo (d’istituto), qualche spiccioletto potrebbe venir fuori, ma non di più. Già, perché tutto andrà speso per il pagamento delle ore di supplenza che i docenti interni, al di fuori delle proprie ore di insegnamento, dovranno svolgere. Visto che ore di completamento a disposizione non ce ne sono più. Quindi, se a stento avremo la carta, un progetto extracurricolare ce lo possiamo sognare. E va bene che la grammatica, che la lettura, che le quattro operazioni… ma l’ampliamento dell’offerta formativa dà la possibilità di creare ciò che in classe, la mattina, non si può fare, di disporre di più tempo, spazi, attività, mezzi, per proporre ai ragazzi percorsi diversi, insoliti. Stop, nulla di tutto questo. Non ci sono soldi. Semplice come il pane, ma meno buono.
Il taglio delle risorse ci strozza, punto e basta. E a ricordarcelo è la Commissione Cultura della Camera che, in aprile, ha approvato una risoluzione che “impegna il governo a predisporre un piano pluriennale utile a reperire le risorse necessarie al fine di consentire alle istituzioni scolastiche la regolarizzazione dei bilanci. […] Le scuole sono in una situazione di grandissima difficoltà finanziaria che sta per determinarne la paralisi dell’attività didattica. In particolare, la mancanza di liquidità impedisce il pagamento dei supplenti […]; tale sofferenza, altresì, impedisce a molti istituti di saldare le spese per appalti di pulizia e per forniture di materiale didattico, così come di acquistare prodotti per l’igiene”. Non è male.
Per la scuola pubblica, si sa, non ci sono mai soldi. Né per stipendi dignitosi, né per le fotocopie, né per i progetti, né per le supplenze, né per il Mastrolindo. Ci sono solo ministri che cambiano taglio di capelli, ma restano lontani anni luce da Tina, da Annarita, da quei banchi puliti e quelle lavagne tirate a lucido dove, ancora per un anno, come ogni anno, molte mani delle più diverse età si affanneranno a scrivere schemi, assegni, parole-chiave, silenziosi e dignitosi alfieri di un mestiere che assomiglia al volontariato. E ne condivide le ristrettezze e le gioie.
Buon anno scolastico. ☺
gadelis@libero.it
1° settembre 2009. Si riprende servizio nella scuola con quel misto di rimpianto sonnacchioso per l’estate ormai salutata e di curiosità per il nuovo anno che comincia. Anno scolastico e anno solare, signori, ebbene sì, perché per ogni insegnante di capodanni ce ne sono due: e forse il più significativo, l’autentico spartiacque, il momento dei bilanci è piuttosto il 1 settembre che il 1 gennaio.
1 settembre, dunque. Una mattina come quella vissuta altri anni: il sole del mattino è ancora caldo ma non brucia più, e al solito appuntamento con le “compagne di viaggio” arriva la collega ancora abbronzata, l’altra che alla fine il viaggio non l’ha più fatto perché la suocera non è stata bene, quella che è già stanca, quell’altra che già sa che litigherà con qualcuno. E infatti poi lo fa.
Fra le chiacchiere ciarliere del primo giorno di servizio – quello in cui la scuola è ancora vuota e le voci dei ragazzi risuonano qua e là come allegri fantasmi, le lavagne tirate a lucido e i banchi puliti e in ordine, senza chewingum né fugaci scritte amorose – parte qualche sms.
Il primo: “Ciao Tina, ti auguro un buon anno scolastico, dove sei quest’anno? Non perdiamoci di vista, un abbraccio”.
Risposta: “Carissima, grazie del pensiero, buon anno anche a te, ma temo che quest’anno mi toccherà restare a casa. Ci sentiamo!”.
Il secondo: “Ciao Annarita, buona ripresa, come va? Dammi tue notizie, mi manchi, a presto!”.
Risposta: “Ciao cara mia, sento anch’io la vostra mancanza..Grazie del buon anno, ma non sono stata ancora chiamata, vedremo. Un caro saluto”.
Possono bastare, anche se l’elenco è lungo e tristemente uguale. Giovani spose, o mamme di famiglia ormai mature, o fresche laureate già disarmate che, alla facciaccia del retorico “stress-da-ritorno-sul-lavoro” – lo pagherebbero oro, questo lussuoso stress -, se la mattina potranno dormire pure mezz’ora in più, non ne avranno certo alcun beneficio.
Anni di studio, di lavoro, competenze pazientemente acquisite nella fatica del quotidiano e nel gusto di un lavoro bistrattato e non capito: un calcio elegante a tutto questo, in nome di una razionalizzazione del sistema scolastico che di razionale non ha nulla e che fin ora è stato trattato (povera ministra Gelmini! Non è mica colpa sua!) come “un ascensore per 5 persone riempito per anni fino a 10”. Parole sue, le avete sentite? Ora ha cambiato look, porta il caschettino, ma rispetto a un anno fa non sembra granché maturata. Bisognerà pur farli scendere una volta buona, questi abusivi! S’arrangino poi, ognuno come può! E va bene, lo dice anche l’Ocse che siamo troppi (9,6 ogni 100, contro la media europea del 6,5), ma si possono scaglionare e filtrare quelli che vogliono entrare, non buttare fuori chi già c’è.
L’ipotesi di farsi carico di un esercito di precari (per non contare di quelli di ruolo rimbalzati da una cattedra all’altra, con simpatici mix di spezzoni fantasia), frutto anche di politiche scolastiche e formative sbagliate, con delle soluzioni che salvaguardassero migliaia di posti di lavoro, non è venuta in mente a nessuno. L’idea di aumentare il monteore scolastico (anziché eroderlo, già anoressico com’è, dalla Moratti in poi), l’idea di ripensare l’insegnamento laboratoriale e ludico con delle compresenze e delle competenze nuove e specifiche, l’idea di valorizzare la meritocrazia, creando delle figure di tutoraggio che mettano la loro esperienza a guida e sostegno dei novizi… e tanto altro, e tutto quello che potrebbe contribuire ad innalzare il livello della qualità scolastica pubblica in Italia, potrebbe produrre lavoro, e incrementare la motivazione e la consapevolezza di essere una classe che merita rispetto. Anche dal punto di vista economico. Ma non se ne ricorda quasi mai.
Tina e Annarita esistono, non sono nomi fittizi, né gli sms sono espedienti per iniziare l’articolo in maniera più leggera. Non c’è nulla di più pesante, direi anzi, che tornare al lavoro sapendo che il tuo amico non lo farà, quest’anno. Sì, proprio quello con cui hai diviso il panino e la minerale più di una volta, a pranzo; quello con cui hai affrontato l’assistente sociale per quel caso lì che non si può dimenticare, quello con cui hai condiviso il percorso, il cammino, i libri, le scadenze, i consigli, le fotocopie. Quelle stesse che forse quest’anno, nella mia scuola, non potremo fare se non col contagocce, visto che raschiando il fondo del fondo (d’istituto), qualche spiccioletto potrebbe venir fuori, ma non di più. Già, perché tutto andrà speso per il pagamento delle ore di supplenza che i docenti interni, al di fuori delle proprie ore di insegnamento, dovranno svolgere. Visto che ore di completamento a disposizione non ce ne sono più. Quindi, se a stento avremo la carta, un progetto extracurricolare ce lo possiamo sognare. E va bene che la grammatica, che la lettura, che le quattro operazioni… ma l’ampliamento dell’offerta formativa dà la possibilità di creare ciò che in classe, la mattina, non si può fare, di disporre di più tempo, spazi, attività, mezzi, per proporre ai ragazzi percorsi diversi, insoliti. Stop, nulla di tutto questo. Non ci sono soldi. Semplice come il pane, ma meno buono.
Il taglio delle risorse ci strozza, punto e basta. E a ricordarcelo è la Commissione Cultura della Camera che, in aprile, ha approvato una risoluzione che “impegna il governo a predisporre un piano pluriennale utile a reperire le risorse necessarie al fine di consentire alle istituzioni scolastiche la regolarizzazione dei bilanci. […] Le scuole sono in una situazione di grandissima difficoltà finanziaria che sta per determinarne la paralisi dell’attività didattica. In particolare, la mancanza di liquidità impedisce il pagamento dei supplenti […]; tale sofferenza, altresì, impedisce a molti istituti di saldare le spese per appalti di pulizia e per forniture di materiale didattico, così come di acquistare prodotti per l’igiene”. Non è male.
Per la scuola pubblica, si sa, non ci sono mai soldi. Né per stipendi dignitosi, né per le fotocopie, né per i progetti, né per le supplenze, né per il Mastrolindo. Ci sono solo ministri che cambiano taglio di capelli, ma restano lontani anni luce da Tina, da Annarita, da quei banchi puliti e quelle lavagne tirate a lucido dove, ancora per un anno, come ogni anno, molte mani delle più diverse età si affanneranno a scrivere schemi, assegni, parole-chiave, silenziosi e dignitosi alfieri di un mestiere che assomiglia al volontariato. E ne condivide le ristrettezze e le gioie.
1° settembre 2009. Si riprende servizio nella scuola con quel misto di rimpianto sonnacchioso per l’estate ormai salutata e di curiosità per il nuovo anno che comincia. Anno scolastico e anno solare, signori, ebbene sì, perché per ogni insegnante di capodanni ce ne sono due: e forse il più significativo, l’autentico spartiacque, il momento dei bilanci è piuttosto il 1 settembre che il 1 gennaio.
1 settembre, dunque. Una mattina come quella vissuta altri anni: il sole del mattino è ancora caldo ma non brucia più, e al solito appuntamento con le “compagne di viaggio” arriva la collega ancora abbronzata, l’altra che alla fine il viaggio non l’ha più fatto perché la suocera non è stata bene, quella che è già stanca, quell’altra che già sa che litigherà con qualcuno. E infatti poi lo fa.
Fra le chiacchiere ciarliere del primo giorno di servizio – quello in cui la scuola è ancora vuota e le voci dei ragazzi risuonano qua e là come allegri fantasmi, le lavagne tirate a lucido e i banchi puliti e in ordine, senza chewingum né fugaci scritte amorose – parte qualche sms.
Il primo: “Ciao Tina, ti auguro un buon anno scolastico, dove sei quest’anno? Non perdiamoci di vista, un abbraccio”.
Risposta: “Carissima, grazie del pensiero, buon anno anche a te, ma temo che quest’anno mi toccherà restare a casa. Ci sentiamo!”.
Il secondo: “Ciao Annarita, buona ripresa, come va? Dammi tue notizie, mi manchi, a presto!”.
Risposta: “Ciao cara mia, sento anch’io la vostra mancanza..Grazie del buon anno, ma non sono stata ancora chiamata, vedremo. Un caro saluto”.
Possono bastare, anche se l’elenco è lungo e tristemente uguale. Giovani spose, o mamme di famiglia ormai mature, o fresche laureate già disarmate che, alla facciaccia del retorico “stress-da-ritorno-sul-lavoro” – lo pagherebbero oro, questo lussuoso stress -, se la mattina potranno dormire pure mezz’ora in più, non ne avranno certo alcun beneficio.
Anni di studio, di lavoro, competenze pazientemente acquisite nella fatica del quotidiano e nel gusto di un lavoro bistrattato e non capito: un calcio elegante a tutto questo, in nome di una razionalizzazione del sistema scolastico che di razionale non ha nulla e che fin ora è stato trattato (povera ministra Gelmini! Non è mica colpa sua!) come “un ascensore per 5 persone riempito per anni fino a 10”. Parole sue, le avete sentite? Ora ha cambiato look, porta il caschettino, ma rispetto a un anno fa non sembra granché maturata. Bisognerà pur farli scendere una volta buona, questi abusivi! S’arrangino poi, ognuno come può! E va bene, lo dice anche l’Ocse che siamo troppi (9,6 ogni 100, contro la media europea del 6,5), ma si possono scaglionare e filtrare quelli che vogliono entrare, non buttare fuori chi già c’è.
L’ipotesi di farsi carico di un esercito di precari (per non contare di quelli di ruolo rimbalzati da una cattedra all’altra, con simpatici mix di spezzoni fantasia), frutto anche di politiche scolastiche e formative sbagliate, con delle soluzioni che salvaguardassero migliaia di posti di lavoro, non è venuta in mente a nessuno. L’idea di aumentare il monteore scolastico (anziché eroderlo, già anoressico com’è, dalla Moratti in poi), l’idea di ripensare l’insegnamento laboratoriale e ludico con delle compresenze e delle competenze nuove e specifiche, l’idea di valorizzare la meritocrazia, creando delle figure di tutoraggio che mettano la loro esperienza a guida e sostegno dei novizi… e tanto altro, e tutto quello che potrebbe contribuire ad innalzare il livello della qualità scolastica pubblica in Italia, potrebbe produrre lavoro, e incrementare la motivazione e la consapevolezza di essere una classe che merita rispetto. Anche dal punto di vista economico. Ma non se ne ricorda quasi mai.
Tina e Annarita esistono, non sono nomi fittizi, né gli sms sono espedienti per iniziare l’articolo in maniera più leggera. Non c’è nulla di più pesante, direi anzi, che tornare al lavoro sapendo che il tuo amico non lo farà, quest’anno. Sì, proprio quello con cui hai diviso il panino e la minerale più di una volta, a pranzo; quello con cui hai affrontato l’assistente sociale per quel caso lì che non si può dimenticare, quello con cui hai condiviso il percorso, il cammino, i libri, le scadenze, i consigli, le fotocopie. Quelle stesse che forse quest’anno, nella mia scuola, non potremo fare se non col contagocce, visto che raschiando il fondo del fondo (d’istituto), qualche spiccioletto potrebbe venir fuori, ma non di più. Già, perché tutto andrà speso per il pagamento delle ore di supplenza che i docenti interni, al di fuori delle proprie ore di insegnamento, dovranno svolgere. Visto che ore di completamento a disposizione non ce ne sono più. Quindi, se a stento avremo la carta, un progetto extracurricolare ce lo possiamo sognare. E va bene che la grammatica, che la lettura, che le quattro operazioni… ma l’ampliamento dell’offerta formativa dà la possibilità di creare ciò che in classe, la mattina, non si può fare, di disporre di più tempo, spazi, attività, mezzi, per proporre ai ragazzi percorsi diversi, insoliti. Stop, nulla di tutto questo. Non ci sono soldi. Semplice come il pane, ma meno buono.
Il taglio delle risorse ci strozza, punto e basta. E a ricordarcelo è la Commissione Cultura della Camera che, in aprile, ha approvato una risoluzione che “impegna il governo a predisporre un piano pluriennale utile a reperire le risorse necessarie al fine di consentire alle istituzioni scolastiche la regolarizzazione dei bilanci. […] Le scuole sono in una situazione di grandissima difficoltà finanziaria che sta per determinarne la paralisi dell’attività didattica. In particolare, la mancanza di liquidità impedisce il pagamento dei supplenti […]; tale sofferenza, altresì, impedisce a molti istituti di saldare le spese per appalti di pulizia e per forniture di materiale didattico, così come di acquistare prodotti per l’igiene”. Non è male.
Per la scuola pubblica, si sa, non ci sono mai soldi. Né per stipendi dignitosi, né per le fotocopie, né per i progetti, né per le supplenze, né per il Mastrolindo. Ci sono solo ministri che cambiano taglio di capelli, ma restano lontani anni luce da Tina, da Annarita, da quei banchi puliti e quelle lavagne tirate a lucido dove, ancora per un anno, come ogni anno, molte mani delle più diverse età si affanneranno a scrivere schemi, assegni, parole-chiave, silenziosi e dignitosi alfieri di un mestiere che assomiglia al volontariato. E ne condivide le ristrettezze e le gioie.
Per fornire le migliori esperienze, utilizziamo tecnologie come i cookie per memorizzare e/o accedere alle informazioni del dispositivo. Il consenso a queste tecnologie ci permetterà di elaborare dati come il comportamento di navigazione o ID unici su questo sito. Non acconsentire o ritirare il consenso può influire negativamente su alcune caratteristiche e funzioni.
Funzionale
Sempre attivo
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono strettamente necessari al fine legittimo di consentire l'uso di un servizio specifico esplicitamente richiesto dall'abbonato o dall'utente, o al solo scopo di effettuare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica.
Preferenze
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per lo scopo legittimo di memorizzare le preferenze che non sono richieste dall'abbonato o dall'utente.
Statistiche
L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici.L'archiviazione tecnica o l'accesso che viene utilizzato esclusivamente per scopi statistici anonimi. Senza un mandato di comparizione, una conformità volontaria da parte del vostro Fornitore di Servizi Internet, o ulteriori registrazioni da parte di terzi, le informazioni memorizzate o recuperate per questo scopo da sole non possono di solito essere utilizzate per l'identificazione.
Marketing
L'archiviazione tecnica o l'accesso sono necessari per creare profili di utenti per inviare pubblicità, o per tracciare l'utente su un sito web o su diversi siti web per scopi di marketing simili.