Collaboratori della verità
3 Gennaio 2022
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Collaboratori della verità

“Non ho gioia più grande di questa: sapere che i miei figli camminano nella verità” (3Gv 4).

La Terza Lettera di Giovanni, rispetto alle altre due con le quali condivide vocabolario, stile e insegnamento, si presenta come la missiva più breve ma che più delle altre presenta una serie di nomi che rimandano a volti concreti e a situazioni ben precise all’interno della comunità. Potrebbe trattarsi della prima delle tre lettere ad essere stata scritta perché risente fortemente dell’ambiente della comunità giovannea presente a Efeso alla fine del I secolo. La Lettera si presenta come una missiva privata che si apre con toni caldi e affettuosi che esprimono i vincoli stretti e improntati all’amore presenti all’interno di ogni autentica comunità cristiana.

Appare in essa una triade di nomi che rimandano a persone che il Presbitero conosce bene. Il primo ad essere menzionato è proprio il destinatario diretto della Lettera, Gaio, colui che molto probabilmente, essendo facoltoso, ha la possibilità di ospitare la comunità nella sua domus; mentre gli altri due, Diòtrefe e Demetrio, vengono menzionati in modo indiretto all’interno della corrispondenza con Gaio. Come in ogni rapporto di familiarità, il Presbitero si augura che il suo amato Gaio goda di una salute integrale: che stia bene sul piano fisico e, al tempo stesso, trattandosi di un credente in Cristo, che stia bene anche sul fronte spirituale e che stia progredendo nel suo personale cammino di fede. Le notizie che alcuni fratelli gli hanno riferito sul suo conto sono molto incoraggianti: egli cammina nella verità ed è veritiero. Niente di meglio per chi si propone di essere un collaboratore della verità!

La Lettera, pur se la più breve non solo del corpus giovanneo ma di tutto l’epistolario neotestamentario, presenta marcati tratti teologici giovannei e apre squarci insoliti sulla vita delle chiese giovannee in merito al rapporto conflittuale tra le guide delle singole comunità e l’autorità dell’Apostolo. Abbonda, infatti, in essa il vocabolario della verità che rimanda all’autorivelazione di Cristo stesso nel IV Vangelo (cf Gv 14,6) e a una vita di intima comunione con lui che si manifesta concretamente nell’adesione alle sue parole. Inoltre, la verità è un chiaro indizio di comunione con l’insegnamento apostolico. L’autore infatti definisce veritiera la sua testimonianza.

Nella Lettera la verità si manifesta soprattutto attraverso un chiaro atteggiamento di accoglienza nei confronti dei fratelli stranieri, molto probabilmente missionari itineranti, e di premura nell’occuparsi delle necessità del loro viaggio. Gaio e Demetrio splendono come figure altamente significative e rivelative dell’identità della comunità e del suo leader, mentre Diòtrefe appare come una contro-testimonianza. Questi, infatti, viene tratteggiato come un leader ambizioso che si comporta in maniera tale da suscitare la disapprovazione dell’autore: si rifiuta di dare accoglienza ai missionari itineranti, negando loro il diritto di ospitalità, ambisce al primo posto, pronuncia malignità a danno dei fratelli, compie il male. Il suo atteggiamento ostile e il suo ergersi a censore degli altri rivela chiaramente che egli non ha fatto esperienza di Dio. Non potendosi fidare di Diòtrefe, Gaio deve rivolgersi a Demetrio di cui tutti i fratelli, Presbitero compreso, danno buona testimonianza. La vita di fede è vera solo quando diventa irradiazione di bene e manifestazione dell’infinita ospitalità di Cristo.

In ogni epoca storica appare la tendenza a erigere mura dietro le quali trincerarsi in nome della purità del proprio gruppo di appartenenza e manifestare atteggiamenti di durezza verso gli altri. L’amore è l’unico detonatore che fa esplodere le barriere e apre la via alla divina arte dell’accoglienza e del farsi carico del viaggio degli altri.

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