
Come una regina
In un film del 1977 Alberto Sordi interpreta il figlio benestante di una minuta vecchietta che accompagna proditoriamente in casa di riposo. La scena al grido finale con voce lacrimevole “trattatela come ‘na regina”! è l’antesignana del boom-affare d’oro di questi anni: le case di riposo per anziani autosufficienti o no.
La ricerca compiuta da me in questo periodo è stata laboriosa e puntuale, eppure non ho trovato un’analisi approfondita su questo business del secolo. Se non una del 2011 curata dell’Auser: Case di riposo, Rsa, Ra, strutture private privatissime dove a botta di burocrazia tutto va avanti finché non scoppia uno scandalo.
“Ho chiesto ad una signora: come sta? Come stanno i suoi figli? Bene. Vengono a visitarla? Sì, sempre. E quand’è stata l’ultima volta che la sono venuta a visitare? A Natale. Ed era agosto… Otto mesi senza una visita dei figli”.
“Finché siamo giovani, siamo indotti a ignorare la vecchiaia, come se fosse una malattia da tenere lontana; quando poi diventiamo anziani, specialmente se siamo poveri, malati e soli, sperimentiamo le lacune di una società programmata sull`efficienza, che conseguentemente ignora gli anziani. Non solo non producono, ma sono un onere: insomma – vanno scartati. Non si osa dirlo apertamente, ma lo si fa! C`è qualcosa di vile in questa assuefazione alla cultura dello scarto. L`anziano non è un alieno. L`anziano siamo noi: fra poco, fra molto, inevitabilmente comunque, anche se non ci pensiamo”.( Bergoglio 2015)
Ma veniamo ai numeri, ai fatti. Quali sono le dimensioni della domanda di residenze per anziani in Italia? Nel 2010, in base a stime, 23 anziani (ultrasessantacin- quenni) ogni mille vivevano in un presidio socio-assistenziale, erano circa 20 nel 2006. Considerando anche le residenze socio-sanitarie e gli altri presidii ci sono 32 anziani istituzionalizzati ogni mille nel 2010. Questi valori crescono fino a 84 anziani ogni mille in Friuli Venezia Giulia, a 68 anziani ogni mille nella provincia di Trento. In Sicilia, invece, cioè la regione con il più alto tasso di diffusione di presidii residenziali socio-assistenziali, gli anziani ospiti non superano le 11 unità ogni 1.000 abitanti ultrasessantacinquenni.
È un mistero il numero delle “case di riposo” e delle altre residenze per anziani che operano in Italia. La ricostruzione degli elenchi regionali (parziali) restituisce un valore pari a 3.374 strutture. In linea generale, questi elenchi si riferiscono a strutture pubbliche e private che operano in regime di convenzione. L’ultimo censimento delle “strutture residenziali di accoglienza per anziani” (che riguarda rsa e ra) preparato dal Ministero dell’Interno parla di 5.858 strutture – pubbliche e private – al 31 dicembre 2008, di cui 3.409 strutture che “accet- tano anziani non autosufficienti”. I po- sti letto complessivi ammontano a circa 287.532, di cui 100.282 garantiti dalla gestione pubblica e 171.445 gestiti privatamente.
È una giungla. Tante irregolarità: si aggirano le autorizzazioni, assistenza inadeguata, tariffe fuori controllo, carenze igienico-sanitarie
– Una parte considerevole delle strutture socio assistenziali è ubicata in aree a basso costo delle abitazioni. Ciò favorisce un fenomeno di “migrazione” territoriale degli anziani.
– Le case di riposo spesso ospitano utenti non adeguati alla tipologia della struttura; si rilevano abitazioni senza alcuna autorizzazione e impropriamente adibite ad attività socio-assistenziali per anziani e disabili, con un’assistenza assolutamente inadeguata. Si rileva, inoltre, un uso improprio di ambienti privi di requisiti igienico-sanitari, a causa della presenza di un numero di anziani superiore a quello autorizzato.
– Le tariffe oscillano tra i 1.200 euro mensili netti e i 4.250.
Una parte considerevole delle strutture socio-assistenziali è ubicata in aree a basso costo delle abitazioni. Questo fenomeno è presente in modo diffuso, in particolare nei grandi centri abitati (Roma, Torino, Milano e Napoli) dove le scelte delle famiglie, strettamente connesse alle tariffe di soggiorno richieste dalle case di cura, costringono l’anziano all’ulteriore disagio di vivere distante, spesso decine di chilometri, dal proprio nucleo familiare. Si tratta di un vero e proprio fenomeno di “migrazione” territoriale dell’anziano, in diversi casi “abbandonato” a se stesso, anche a causa della distanza, all’interno della struttura assistenziale.
In base alle indagini svolte dai Nuclei antisofisticazione e sanità (Nas) dei Carabinieri, il 27,5% degli 863 controlli effettuati nel 2010 presso le strutture residenziali per anziani ha rilevato irregolarità. Autorizzazioni mancanti, strutture non adeguate, numero di anziani ospitati superiore rispetto a quanto possibile, oltre alla mancanza di condizioni adeguate (igienicosanitarie, sicurezza, etc), attività infermieristiche esercitate in modo abusivo: queste le infrazioni maggiormente riscontrate.
Un settore che non conosce crisi: anzi! Se giriamo in internet su case di riposo vediamo foto gradevolissime, carte dei servizi pari a quelle di un hotel a quattro stelle. Ma non entrateci mai: l’odore di piscio unito all’urlo del televisore, allo scricchiolio delle sedie a rotelle dove con gentile autorevolezza vengono tenuti quasi tutti, vi porta immediatamente al vomito, alla nausea. Intanto sparuti passanti portano formelle da fare colorare, abcedari da smuovere per comporre parole; ovunque regna l’unica assoluta vincitrice: la solitudine che rende tutti a poco a poco immobili zombie e inutili scarti di una società che non vuole curarsi di loro. È preferibile, là dove si ha fortuna, essere imboccati, lavati e stirati che essere presenti in famiglia (?) o dare fastidio o rompere le righe?
Fra poco cesseranno di vivere e i loro averi passeranno ai figli se hanno figli o ai nipoti: povere cose o ricche cose, memorie di una loro vita, pezzi, lacerti della loro vita che nei salotti buoni o nei corridoi semioscuri delle moderne case monofamiliari verranno messi a ricordo del caro padre o della cara madre.
Quando li avete visti per l’ultima volta? Forse otto mesi o otto anni fa. Quel tanto che ci vuole per uccidere.