Cop 28: dai proclami ai fatti
12 Gennaio 2024
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Cop 28: dai proclami ai fatti

Transitioningaway è il comando del momento ed è quello che ha sostituito l’auspicato phase out e phase down nel documento finale dell’ultima COP 28 di Dubai, conclusasi così dopo due settimane di negoziati, con la partecipazione di circa 90.000 persone, rappresentanti di 198 paesi del mondo, con un indirizzo moderato verso un mondo più pulito.
Sono stati giorni intensi di trattative e scivoloni, tanto che si è temuto che il risultato non fosse in linea con le attese e con le aspettative della COP 21 di Parigi.
I paesi sostenitori delle fonti fossili hanno sino all’ultimo cercato di impedire la citazione esplicita della rinuncia al petrolio, al carbone e ai gas naturali e per questo il negoziato ha portato ad adottare nel global stocktake un’espressione soft di “Abbando- nare i combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo..”: art.28 comma d.
Si era giunti all’apertura della COP 28 con premesse non positive rispetto al clima: l’anno 2023 come anno più caldo e addirittura mediamente superiore dell’anno 2016 precedente, più caldo di 0,13 C°, e con l’Italia che faceva segnare il secondo risultato di aumento storico della temperatura media, pari a 1,05 C°, da quando sono iniziate le rilevazioni nel 1800.
Con queste premesse era auspicabile si trovasse un’intesa per dar seguito alle intenzioni scritte nel documento finale della COP 21 di Parigi. L’assemblea condotta dal presidente Al-Jaber, ha trovato una formula di compromesso per avviare una transizione dai combustibili fossili al fine di raggiungere gradualmente emissioni zero di CO₂ nell’ anno 2050. Nel documento finale traspare la difficile mediazione tra interessi forti dei produttori e quelli di sopravvivenza delle aree più colpite e danneggiate dagli effetti climatici.
Nell’art. 27 si formalizza e si ribadisce quanto deciso precedentemente di “limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C senza alcun superamento con … riduzioni profonde, rapide e durature delle emissioni globali di gas serra del 43% entro il 2030 e del 60% entro il 2035 rispetto al livello del 2019 e raggiungendo lo zero netto emissioni di anidride carbonica entro il 2050”, ma poi si va oltre e nel successivo articolo, per la prima volta, si mette nero su bianco il necessario superamento delle fonti fossili.
Altro risultato positivo è stato senza dubbio il dare concretezza al fondo loss and damage. L’intenzione di istituire tale fondo era emersa nelle COP precedenti con anni di dibattito, ma non si era mai alimentato. Sicuramente gli sforzi di adesione non sono risultati pari alle attese, circa 700 milioni di $ contro i circa 400 miliardi di $ di danni annui, ma il dare inizio alla COP 28 con il versamento di contribuiti degli Stati più ricchi, a favore di quelli meno fortunati, è stato un segnale positivo.
Tenendo sempre presente le difficoltà di mediazione e la necessità che ogni Paese partecipante si senta protagonista del contenuto del documento finale, si deve tener conto delle indicazioni programmatiche d’intervento citate nell’art. 28 comma 1 e cioè di “triplicare la capacità di energia rinnovabile a livello globale e raddoppiare il tasso medio annuo globale di miglioramenti dell’ efficienza energetica entro il 2030”. Il documento non esprime concretamente una road map di come raggiungere tali obiettivi, ma dà indicazioni nei comma successivi dicendo di “accelerare le tecnologie a zero e basse emissioni, comprese, tra l’altro, le energie rinnovabili, il nucleare, le tecnologie di abbattimento e rimozione come la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio del carbonio, in particolare nei settori difficili da abbattere, e la produzione di idrogeno a basse emissioni di carbonio”.
Senza dubbio ci sono aspetti positivi nel global stocktake. La stessa riunione annuale rappresenta di per sé un evento positivo, per incremento progressivo dei Paesi aderenti, per il sempre maggior numero di partecipanti, per l’apertura a gruppi multinazionali e privati scientifici ed industriali. Ci sono aspetti positivi nei contenuti, perché per la prima volta si sancisce la responsabilità antropica della crisi climatica ed in particolare delle emissioni dovute alla combustione delle fonti fossili concordando per il loro progressivo abbandono. Ci sono aspetti positivi perché per la prima volta si dà concretezza al fondo mondiale di solidarietà verso i Paesi colpiti dai danni derivanti dalla crisi climatica in atto.
Ecco, tutto positivo, se non fosse che la crisi climatica è in atto e che le decisioni prese devono esser stimolo per correre verso le soluzioni che permetteranno di arginare i futuri danni che il clima farà.
Le COP non posso diventare fiere, ma occasioni di decisioni concrete da realizzare; dovrebbero essere costituite da un numero ristretto di rappresentanti del mondo intero, per avere tempi brevi di elaborazione e decisione; essere il risultato di un lavoro annuale concreto di gruppi di nazioni che, in collaborazione con organismi scientifici, investono sulle energie alternative e promuovono un progressivo abbandono delle fonti fossili; dovrebbero monitorare, dare indicazioni, dare risorse, perché tutti possano camminare verso l’obiettivo condiviso di mantenimento del riscaldamento del pianeta e della gestione dei danni relativi.
Tutto questo non può essere facile, perché se da una parte le COP riuniscono 198 su 206 nazioni del mondo, poi le stesse nazioni alimentano piccoli e grossi conflitti che dividono. Se da una parte, come nella conclusione finale della COP, si esalta la decisione unanime dell’assemblea, dall’altra si assiste al potere di pochi che influenza le sorti di molti, in un mondo sempre più orientato a penalizzare il consenso della democrazia a favore dell’oligarchia.
L’auspicio è che dai proclami e dalle intenzioni si passi celermente ai fatti.☺

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