La Spagna è un Paese che nell’ultimo decennio ha avuto una impennata dal punto di vista economico, è inutile negarlo. Con Zapatero l’attenzione si è rivolta ai grandi temi di natura sociale che rappresentavano il nervo scoperto dell’impulso liberista voluto dal suo predecessore.
Mai due politiche e due modi di intendere lo Stato così diversi sono state così complementari come è avvenuto in Spagna, o almeno non ci è dato registrare altri esempi tra i sistemi democratici partoriti dalla rivoluzione francese.
L’attuale maggioranza quindi ha dovuto affrontare diversi temi, tra i quali quello del lavoro e delle sue tante contraddizioni nell’ambito di un quadro di relazioni industriali assai più complesso di quello italiano.
Il mercato del lavoro spagnolo si è distinto per un vero e proprio boom del lavoro temporaneo, in seguito alla sua liberalizzazione nel 1984; i lavoratori temporanei sono presto diventati un terzo di tutti i dipendenti, rimanendo intorno a tale livello anche dopo una serie di riforme che negli anni ’90 hanno cercato di ridurre la precarietà. Secondo le più recenti statistiche essi rappresentano il 33% dei lavoratori dipendenti.
In seguito a tali riforme (ribadiamo anni 90) si è assistito ad una effettiva riduzione dell’utilizzazione del lavoro temporaneo nel settore privato, anche se la percentuale di utilizzo dello stesso nell’intera economia è rimasta inalterata a causa dell’aumentata precarietà nel settore pubblico.
A fronte della descritta situazione occupazionale, il primo ministro Zapatero ha proposto una “ricetta”, cioè un accordo trilaterale tra Governo e Parti Sociali (il c.d. “accordo trilatero per lo sviluppo e l’occupazione al tavolo delle trattative per il dialogo sociale sul mercato del lavoro”). L’intesa si articola in tre capitoli.
Il primo, che propone una sorta di terapia d’urto contro la precarietà, prevede tre interventi:
stimolare la stabilizzazione dei lavori temporanei attraverso una momentanea diminuzione dei costi del licenziamento per contratti a tempo indeterminato (“contrato de fomento”);
stimolare la stabilizzazione dei lavoratori temporanei attraverso incentivi monetari, precisamente attraverso consistenti risparmi contributivi,
impedire il susseguirsi a catena di contratti a tempo determinato: il lavoratore che abbia firmato con la stessa azienda (e per lo stesso tipo di lavoro) due o più contratti per una durata complessiva superiore a 24 mesi (nell’arco di 30) dovrà essere assunto in forma permanente.
Il secondo capitolo prevede una serie di tagli al cuneo fiscale: riduzione di 0,5 punti percentuali dei contributi dei datori per l’assicurazione contro la disoccupazione (limitata- mente ai nuovi contratti a tempo indeterminato); eliminazione della maggiorazione contributiva a carico delle società fornitrici di lavoro temporaneo (solo per i contratti full time); ulteriore riduzione generalizzata di 0,2 punti.
Il terzo capitolo dell’accordo, infine, si occupa del welfare e dei servizi per l’impiego.
Dalla ricetta Zapatero può essere tratta una lezione: ogni intervento diretto a favorire la stabilizzazione dei lavoratori a termine non può che inquadrarsi nella logica del “bastone e carota” e tra gli interventi “carota” deve essere presa in considerazione, purtroppo, la riduzione, in maniera circoscritta, dei costi del licenziamento per i lavoratori a tempo indeterminato, per esempio prevedendo un risarcimento parametrato in base all’anzianità di servizio invece che sulle retribuzioni.
Con una riforma di questo tipo, accompagnata da una sostanziale estensione degli ammortizzatori sociali per i lavoratori flessibili, l’Italia potrebbe cercare di trarre il meglio dell’esperienza della Spagna così da collocarsi subito nel punto di equilibrio al quale Zapatero sta cercando di giungere.
Al Governo italiano non resterebbe che COPIARE! ☺
marx73@virgilio.it
La Spagna è un Paese che nell’ultimo decennio ha avuto una impennata dal punto di vista economico, è inutile negarlo. Con Zapatero l’attenzione si è rivolta ai grandi temi di natura sociale che rappresentavano il nervo scoperto dell’impulso liberista voluto dal suo predecessore.
Mai due politiche e due modi di intendere lo Stato così diversi sono state così complementari come è avvenuto in Spagna, o almeno non ci è dato registrare altri esempi tra i sistemi democratici partoriti dalla rivoluzione francese.
L’attuale maggioranza quindi ha dovuto affrontare diversi temi, tra i quali quello del lavoro e delle sue tante contraddizioni nell’ambito di un quadro di relazioni industriali assai più complesso di quello italiano.
Il mercato del lavoro spagnolo si è distinto per un vero e proprio boom del lavoro temporaneo, in seguito alla sua liberalizzazione nel 1984; i lavoratori temporanei sono presto diventati un terzo di tutti i dipendenti, rimanendo intorno a tale livello anche dopo una serie di riforme che negli anni ’90 hanno cercato di ridurre la precarietà. Secondo le più recenti statistiche essi rappresentano il 33% dei lavoratori dipendenti.
In seguito a tali riforme (ribadiamo anni 90) si è assistito ad una effettiva riduzione dell’utilizzazione del lavoro temporaneo nel settore privato, anche se la percentuale di utilizzo dello stesso nell’intera economia è rimasta inalterata a causa dell’aumentata precarietà nel settore pubblico.
A fronte della descritta situazione occupazionale, il primo ministro Zapatero ha proposto una “ricetta”, cioè un accordo trilaterale tra Governo e Parti Sociali (il c.d. “accordo trilatero per lo sviluppo e l’occupazione al tavolo delle trattative per il dialogo sociale sul mercato del lavoro”). L’intesa si articola in tre capitoli.
Il primo, che propone una sorta di terapia d’urto contro la precarietà, prevede tre interventi:
stimolare la stabilizzazione dei lavori temporanei attraverso una momentanea diminuzione dei costi del licenziamento per contratti a tempo indeterminato (“contrato de fomento”);
stimolare la stabilizzazione dei lavoratori temporanei attraverso incentivi monetari, precisamente attraverso consistenti risparmi contributivi,
impedire il susseguirsi a catena di contratti a tempo determinato: il lavoratore che abbia firmato con la stessa azienda (e per lo stesso tipo di lavoro) due o più contratti per una durata complessiva superiore a 24 mesi (nell’arco di 30) dovrà essere assunto in forma permanente.
Il secondo capitolo prevede una serie di tagli al cuneo fiscale: riduzione di 0,5 punti percentuali dei contributi dei datori per l’assicurazione contro la disoccupazione (limitata- mente ai nuovi contratti a tempo indeterminato); eliminazione della maggiorazione contributiva a carico delle società fornitrici di lavoro temporaneo (solo per i contratti full time); ulteriore riduzione generalizzata di 0,2 punti.
Il terzo capitolo dell’accordo, infine, si occupa del welfare e dei servizi per l’impiego.
Dalla ricetta Zapatero può essere tratta una lezione: ogni intervento diretto a favorire la stabilizzazione dei lavoratori a termine non può che inquadrarsi nella logica del “bastone e carota” e tra gli interventi “carota” deve essere presa in considerazione, purtroppo, la riduzione, in maniera circoscritta, dei costi del licenziamento per i lavoratori a tempo indeterminato, per esempio prevedendo un risarcimento parametrato in base all’anzianità di servizio invece che sulle retribuzioni.
Con una riforma di questo tipo, accompagnata da una sostanziale estensione degli ammortizzatori sociali per i lavoratori flessibili, l’Italia potrebbe cercare di trarre il meglio dell’esperienza della Spagna così da collocarsi subito nel punto di equilibrio al quale Zapatero sta cercando di giungere.
La Spagna è un Paese che nell’ultimo decennio ha avuto una impennata dal punto di vista economico, è inutile negarlo. Con Zapatero l’attenzione si è rivolta ai grandi temi di natura sociale che rappresentavano il nervo scoperto dell’impulso liberista voluto dal suo predecessore.
Mai due politiche e due modi di intendere lo Stato così diversi sono state così complementari come è avvenuto in Spagna, o almeno non ci è dato registrare altri esempi tra i sistemi democratici partoriti dalla rivoluzione francese.
L’attuale maggioranza quindi ha dovuto affrontare diversi temi, tra i quali quello del lavoro e delle sue tante contraddizioni nell’ambito di un quadro di relazioni industriali assai più complesso di quello italiano.
Il mercato del lavoro spagnolo si è distinto per un vero e proprio boom del lavoro temporaneo, in seguito alla sua liberalizzazione nel 1984; i lavoratori temporanei sono presto diventati un terzo di tutti i dipendenti, rimanendo intorno a tale livello anche dopo una serie di riforme che negli anni ’90 hanno cercato di ridurre la precarietà. Secondo le più recenti statistiche essi rappresentano il 33% dei lavoratori dipendenti.
In seguito a tali riforme (ribadiamo anni 90) si è assistito ad una effettiva riduzione dell’utilizzazione del lavoro temporaneo nel settore privato, anche se la percentuale di utilizzo dello stesso nell’intera economia è rimasta inalterata a causa dell’aumentata precarietà nel settore pubblico.
A fronte della descritta situazione occupazionale, il primo ministro Zapatero ha proposto una “ricetta”, cioè un accordo trilaterale tra Governo e Parti Sociali (il c.d. “accordo trilatero per lo sviluppo e l’occupazione al tavolo delle trattative per il dialogo sociale sul mercato del lavoro”). L’intesa si articola in tre capitoli.
Il primo, che propone una sorta di terapia d’urto contro la precarietà, prevede tre interventi:
stimolare la stabilizzazione dei lavori temporanei attraverso una momentanea diminuzione dei costi del licenziamento per contratti a tempo indeterminato (“contrato de fomento”);
stimolare la stabilizzazione dei lavoratori temporanei attraverso incentivi monetari, precisamente attraverso consistenti risparmi contributivi,
impedire il susseguirsi a catena di contratti a tempo determinato: il lavoratore che abbia firmato con la stessa azienda (e per lo stesso tipo di lavoro) due o più contratti per una durata complessiva superiore a 24 mesi (nell’arco di 30) dovrà essere assunto in forma permanente.
Il secondo capitolo prevede una serie di tagli al cuneo fiscale: riduzione di 0,5 punti percentuali dei contributi dei datori per l’assicurazione contro la disoccupazione (limitata- mente ai nuovi contratti a tempo indeterminato); eliminazione della maggiorazione contributiva a carico delle società fornitrici di lavoro temporaneo (solo per i contratti full time); ulteriore riduzione generalizzata di 0,2 punti.
Il terzo capitolo dell’accordo, infine, si occupa del welfare e dei servizi per l’impiego.
Dalla ricetta Zapatero può essere tratta una lezione: ogni intervento diretto a favorire la stabilizzazione dei lavoratori a termine non può che inquadrarsi nella logica del “bastone e carota” e tra gli interventi “carota” deve essere presa in considerazione, purtroppo, la riduzione, in maniera circoscritta, dei costi del licenziamento per i lavoratori a tempo indeterminato, per esempio prevedendo un risarcimento parametrato in base all’anzianità di servizio invece che sulle retribuzioni.
Con una riforma di questo tipo, accompagnata da una sostanziale estensione degli ammortizzatori sociali per i lavoratori flessibili, l’Italia potrebbe cercare di trarre il meglio dell’esperienza della Spagna così da collocarsi subito nel punto di equilibrio al quale Zapatero sta cercando di giungere.
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