
Curare la democrazia
L’evento della settimana sociale dei cattolici, tenutosi a Trieste a luglio, ha visto 1.260 delegati provenienti dalle diocesi, dai movimenti ecclesiali, dagli organismi pastorali e dalle emittenti radio e Tv. É stato importante e necessario perché si è collocato in un contesto di grandi mutamenti sociali, politici ed economici, nazionali ed internazionali. L’obiettivo sicuramente, segnato da bellissime riflessioni, è stato chiaro e svelato nell’ultimo giorno dal papa e dal card. Matteo Zuppi: curare il cuore malato della democrazia significa rimettere al centro la persona. Già il presidente della Repubblica aveva inaugurato le giornate con un discorso di alto profilo che rimetteva al centro della democrazia la partecipazione, denunciando i limiti di una malintesa democrazia della “mag- gioranza”.
La vera sfida, come chiesa, è la formazione all’interno di un cambio di paradigma. Significativo l’evento su “Pace in costruzione: dal disarmo alla riconciliazione”, con Alessandra Morelli, Nello Scavo, Patrizia Giunti, i quali hanno attualizzato il pensiero di Giorgio La Pira esaminando la drammatica situazione internazionale. Sono emersi concetti importanti come la pace diventata ostaggio del potere e della prevaricazione; la necessità di zone di umanizzazione dense di cura; poiché le guerre cancellano il volto è necessario creare spazi per l’ incontro, specie nelle periferie dove è possibile ascoltare il grido di dolore e le paure dei tanti rifugiati. Amaramente si è constatato che se possiamo bombardare le scuole e gli ospedali, allora abbiamo sancito per principio l’impunità della violenza e abbiamo affidato la soluzione dei nostri problemi alle armi e ai reimbarchi.
Oggi le guerre durano anni perché occorre considerare le conseguenze degli sradicamenti. È fondamentale il valore umano del riconoscersi fratelli e l’accoglienza è superare la paura e generare dialogo tra soggetti che costruiscono la pace. In questo è fondamentale il ruolo delle donne: il mondo ha bisogno di guardare alle donne per costruire la pace. La risorsa femminile, infatti, è in grado di placare le vendette perché le donne sanno generare e aprire spazi, gestire l’ incognita e promuovere creatività.
Anche l’educazione è un salvavita, è atto dell’umano e promuove l’economia della cura. Occorre educare all’umanità invece di criminalizzare la solidarietà che è la postura della pace. Abbiamo dimenticato o sostituito le parole del vivere civile con “sostituzione etnica” e “carico residuale”. Oggi i ragazzi non schierati dalla parte della violenza vengono bullizzati.
Nel cuore dei conflitti quale è il posto dell’informazione? È questa una domanda importante perchè la democrazia può cambiare attraverso la parola. Di fronte a problemi grandi e complessi qualcuno ha creato il caos per poi gestirlo con violenza e crudeltà. Ecco perché occorre entrare nelle contraddizioni,e per questo il pensiero di La Pira può esserci utile.
I diritti umani fondamentali sono il sale della democrazia; il sale dà sapore, ma serve anche per cicatrizzare le ferite; la guerra non finisce con la fine dei conflitti armati; le guerre potrebbero finire domani, ma l’odio no: quindi il messaggio di pace richiede tempo. Da dove ripartire? Secondo La Pira, dalla Costituzione e segnatamente dagli articoli 2, 7 e 11. Ripartiamo dai doveri e dai diritti fondamentali, perché se da una parte posso esigere uguaglianza, qualcuno, dall’altra parte, deve rispettare la mia uguaglianza. I primi 12 articoli della Costituzione, a guardarli bene, non sono altro che doveri. Ed eccone alcuni: devo tornare a ripudiare la guerra; non deleghiamo la pace ad altri, tocca a noi all’interno del paradigma della cura; l’homo economicus lasci spazio all’homo reciprocus; bisogna parlare tra le parti; incontriamoci e generiamo spazi di incontro; usiamo parole che curano; è necessario riconoscersi nel campo dell’umano.
L’obiettivo per tutti è uscire dal sistema guerra, costruendo la terzietà e sancire il primato della neutralità, per produrre giustizia riparativa. Dobbiamo essere noi gli artigiani di pace all’interno del paradigma della cura. La partecipazione si impara facendola attraverso i luoghi, la cura dei beni comuni, la discussione politica, che è gestione dei conflitti, attraverso le buone pratiche e promuovendo luoghi e spazi di confronto e discernimento per passare dal patteggiare al partecipare.
Mons. Zuppi è stato chiaro: la guerra è la cancellazione della socialità. Come cristiani siamo dalla parte della persona, siamo parte di una identità comune. La democrazia, dice il Papa, non gode di buona salute, perché il cuore è infartuato, ma può essere disarmato e curato affinché la fraternità, che è il pensarsi come popolo, possa risanarlo e sognare un futuro collettivo. Non bisogna curare solo gli effetti, ma affrontare le cause. Il politico deve avere il fiuto del popolo: trovarsi davanti per guidarlo, nel mezzo per conoscerlo, e dietro per spronarlo. Occorre organizzare la speranza. Il tempo, che avvia processi e percorsi, è più importante dello spazio, che è assumere ruoli, amministrare il presente, ma per costruire il futuro.☺