giovani in piazza  di Cristina Muccilli
30 Ottobre 2011 Share

giovani in piazza di Cristina Muccilli

 

La strategia è stata la stessa usata a Genova nel 2001 anche se modificata (meno male) nella sua strutturazione.

Roma, una frangia di arrabbiati ha tenuto in scacco per tre ore polizia e carabinieri a piazza San Giovanni, una frangia di violenti ha incendiato due macchine a via Labicana e devastato alcuni uffici del Ministero della Difesa, negozi e cassonetti incendiati in vari punti della città, queste le notizie sulla manifestazione degli indignati e poco altro ancora, sì, anche la condanna netta di tutte le forze politiche.

Quei bravi – senza alcun cenno di ironia – giornalisti che hanno seguito la diretta hanno commentato, biasimato, elaborato, ma qualcuno si è posto la domanda: come mai non è intervenuto nessuno, perché si è lasciato tanto spazio alla rabbia di pochi (tremila, secondo le stime, ma se così fosse sarebbero pochi?)? La stessa domanda che ci facemmo per le giornate del G8 di Genova, solo che allora fu l'esplicito pretesto per la feroce condotta delle “forze dell'ordine” tenuta nelle manifestazioni e fino a notte fonda nella caserma di Bolzaneto.

Dieci anni dopo il disegno diventa più raffinato, sottile, come la tela del ragno (involontario il tributo a Camilleri). E infatti a due giorni da sabato si parla solo degli scontri, dei danni e di leggi speciali, delle ragioni che hanno portato in piazza centinaia di migliaia di persone, nulla più. Nel comportamento dei media, nelle reazioni e nei commenti di tutta la classe politica verifico la grande distanza che separa questi da ciò che in passato si chiamava il paese reale e oggi la società civile – precari di tutti i settori del lavoro, pensionati, studenti senza più futuro, donne e uomini impoveriti da speculazioni e arbitrii di un capitalismo senza argini -. E questa distanza, indifferenza, protervia determina la tessitura di un disegno omertoso nel caso delle istituzioni, e di una visione e valutazione dei fenomeni del tutto conformista e strumentalmente indirizzata e superficiale, quando non è palesemente prezzolata, dei media.

Un esempio: i comitati NO-TAV sono nati in piena autonomia avendo contro tutte le forze istituzionali, e di partiti e di governo e ovviamente economiche. Quei comitati sono stati bollati e liquidati da giornali e tv come black-block, gli stessi (giornali e tv) che in questi giorni hanno diffuso la tesi secondo la quale coloro che hanno provocato gli scontri a Roma sono stati addestrati ed equipaggiati nei boschi della Val di Susa. In pratica ci hanno raccontato che coloro che lottano per decidere del futuro del proprio territorio, e quindi per la propria vita, sono soltanto dei violenti (e non donne e uomini, anziani e giovani che subiscono violenza), i quali addestrano altri violenti. E così hanno chiuso il cerchio, messo una ulteriore etichetta su di un movimento che non è uniformabile e taciuto sulle aspettative di cambiamento che non sono solo della nostra nazione ma, oramai, globali.

Due brevi considerazioni.

La prima, non credo che a provocare gli scontri siano state tante persone, se a piazza San Giovanni erano trecento – ma ciò che ho visto mi porta ad immaginarne al massimo la metà – nel resto della città potevano essere presenti, si e no, nello stesso numero, altrimenti la manifestazione si sarebbe fermata non al Colosseo, ma molto prima.

La seconda è riferita a quanti pensano che lanciare sassi e incendiare macchine abbia un riscontro o sia qualificante: la storia, anche quella più recente, ci insegna che la rivolta deve avere il carattere dell'ineluttabilità, i duecentomila (probabilmente molti di più) manifestanti volevano parlare. È l'elaborazione che porta all'evoluzione degli eventi, la rivolta non si impone altrimenti rimane mera violenza.

Avrei voluto iniziare con le parole che il vicecomandante Marcos pronunciò all'apertura della Convenzione Democratica ad Aguascalientes in Chiapas “…e prima di Aguascalientes noi avevamo detto che l'assennatezza si siede a lamentarsi sulle soglie dolenti della storia, che la prudenza permette oggi il ripetitivo ticchettio del non far nulla, dell'aspettare, del disperare, che l'insensata e dolce furia di dire tutto a tutti, a noi niente, avrebbe trovato ascolto negli altri, quegli altri che non sono soltanto noi e voi”. Parole di speranza nella possibilità di cambiamento attraverso una lotta pacifica e partecipata.

Uso, invece, questo breve estratto, in chiusura, a sostegno di una visione del mondo che abbia come fulcro l'essere umano e non il profitto; a sostegno di una nuova etica politica volta alla tutela del cittadino e non del capitale; a sostegno di chi dice + soldi alle scuole – alle banche, semplificando in uno slogan il problema del controllo, da parte dei governi, sul denaro pubblico erogato a questi enti; a sostegno di chi pretende di essere ascoltato e rispettato in merito alle scelte che coinvolgono la sua vita.

A sostegno di tutti coloro che non hanno più un lavoro e attendono interventi per lo sviluppo, a sostegno di tutti i giovani che non vogliono morire Co.Co.Co., a sostegno di chi crede che i soldi sottratti all'evasione e alla corruzione avrebbero evitato agli italiani manovre suicide ed inefficaci e che i soldi impiegati per fare le guerre servano invece per risanare bilanci e darci respiro.

E parafrasando slogan, concludo dicendo: il capitale uccide anche te, digli di smettere. ☺

cristina.muccilli@gmail.com

 

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