www.cercasiunfi ne.it), cominciano con un’analisi istituzionale della Chiesa Cattolica nel pontificato di Bergoglio, che avanza a fatica per la “poca disponibilità a ricercare e discutere sugli aspetti antropologici e istituzionali della comunità cristiana”, mentre tutti, vertici e base, fedeli e non credenti dovrebbero contribuire a fare luce. Segue un esame degli oppositori al vescovo di Roma, che semplificano ciò che è complesso (“O si è dentro o si è fuori”) o/e ideologizzano la fede. A loro Francesco risponde “Non ho mai compreso l’espressione valori non negoziabili …” oppure “La vera profezia è sempre un segno di contraddizione … come Gesù … per le autorità religiose del suo tempo”.
Francesco però non parla per allusioni. Se a Scalfari (2013) conferma che “è molto forte tra le mura vaticane [e tra le mura diocesane? ndr] l’amore per il potere, sa anche precisare che se “un giovane è troppo rigido, è troppo fondamentalista, io non ho fiducia; dietro c’è qualcosa che lui stesso non sa” e sa chiamare le rosminiane piaghe della Chiesa col loro nome: sentirsi indispensabili; martalismo; impietrimento mentale; funzionalismo; Alzheimer spirituale; vanagloria; pettegolezzi; divinizzazione del capo; faccia funerea; circoli chiusi; profitto mondano. (Discorso 22.12.2014).
Il papa sa di essere scomodo: “ … dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, di difendere il posto di lavoro, di un Dio che esige giustizia”. Di qui “la forza e spesso la violenza della reazione al Papa”. Chi lo contesta usa, volgarmente, l’espediente di personalizzare il conflitto (Bergoglio è comunista, pauperista, debole dottrinalmente, eretico, ecologista, inopportuno nel vestiario, imprudente …) oppure pretende che i problemi se li sia inventati lui. Talvolta, infine, fioccano calunnie.
Potente è il capitolo sulla corruzione, nella chiesa e fuori, che Francesco denuncia con voce severa (“di corrotti ce ne sono nelle comunità cristiane e fanno tanto male”), e le sue parole sono particolarmente urticanti per chiunque (cardinale, vescovo, parroco, semplice leader di comunità) eserciti anche una sola briciola di potere (“la corruzione è il peccato di chi esercita l’autorità”. Ma mentre il papa parla e punta il dito, gli altri che fanno? D’Ambrosio non si illude: i pastori e i laici sono ben lontani dal fare eco alle sue denunce. Insomma, visto che si darebbero la zappa sui piedi, preferiscono fischiettare guardando in alto e mormorare (“Però esagera … un papa non parla così …”). A pag.61 l’autore afferma che “il rimedio … per guarire dalla corruzione” è “mettere la Chiesa in uscita da sé”. Chiaro, no?
Francesco però sconfessa i suoi insidiosi e ipocriti nemici interni che minimizzano i fenomeni e lo trattano – quando va bene – da vecchio brontolone che c’ha questa fissazione per i poveri. Egli “porta avanti un progetto di riforma ecclesiale, che nella scia del Vaticano II, chiede alla Chiesa tutta di essere segno credibile della salvezza e della misericordia di Dio”.
A questo punto il mio spazio è finito. Ma forse mi faranno passare l’ultimo capoverso.
Un prelato molisano, cui in mia presenza qualcuno chiese quali siano le novità di papa Francesco, rispose: “Nessuna novità rispetto a papa Benedetto, solo diversità di carattere e di formazione”. Un sacerdote diocesano, oggi con carica prestigiosa, qualche hanno fa, via Facebook, rimbeccò il mio richiamarmi al Concilio e sentenziò: “Concilio? Roba vecchia, degli anni 70”. ☺
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Dagli amici mi guardi iddio ... | La Fonte TV
È singolare che nello spazio di poche settimane esca un libro intitolato Ce la farà Francesco? La sfida della riforma ecclesiale (la meridiana, € 13,50) cui fa eco un editoriale del laico Espresso che termina con l’identica domanda: “Ce la farà?”. Mentre la risposta del laico Luigi Vicinanza è fiduciosa (Ratzinger non aveva la forza per combattere la “sporcizia” della Chiesa. Bergoglio ora può farlo), quella di Rocco D’ Ambrosio, autore del libro, lo è meno: “Solo Dios sabe” (Solo Dio lo sa). In realtà siamo di fronte a un processo epocale, quello che Stella Morra (nel suo Dio non si stanca) definisce una necessità di mutamento profondo ma indifferibile della stessa forma assunta nei secoli dal cattolicesimo. È rivoluzione? La parola fa tremare i baciapile e li mette in imbarazzo, perché, avvezzi a troncare ogni discussione con la sentenza “L’ha detto il Papa!”, ora sono costretti a… criticarlo. Insomma quella di Francesco non sarà rivoluzione – cioè processo tumultuoso di mutamento profondo della società – ma certo la sua riforma (ma io continuo a preferire la parola di Giovanni XXIII: aggiornamento, cioè una chiesa che assuma la forma che deve avere “oggi”) non è banalmente una presa di potere del vaticano, ma un “lungo processo la cui profondità è commisurata alla crisi che ha portato alla sua elezione” (Jesus, marzo 2016).
Le ottanta preziosissime pagine di D’Ambrosio, docente alla Gregoriana e direttore del sito Cercasi un fine (www.cercasiunfi ne.it), cominciano con un’analisi istituzionale della Chiesa Cattolica nel pontificato di Bergoglio, che avanza a fatica per la “poca disponibilità a ricercare e discutere sugli aspetti antropologici e istituzionali della comunità cristiana”, mentre tutti, vertici e base, fedeli e non credenti dovrebbero contribuire a fare luce. Segue un esame degli oppositori al vescovo di Roma, che semplificano ciò che è complesso (“O si è dentro o si è fuori”) o/e ideologizzano la fede. A loro Francesco risponde “Non ho mai compreso l’espressione valori non negoziabili …” oppure “La vera profezia è sempre un segno di contraddizione … come Gesù … per le autorità religiose del suo tempo”.
Francesco però non parla per allusioni. Se a Scalfari (2013) conferma che “è molto forte tra le mura vaticane [e tra le mura diocesane? ndr] l’amore per il potere, sa anche precisare che se “un giovane è troppo rigido, è troppo fondamentalista, io non ho fiducia; dietro c’è qualcosa che lui stesso non sa” e sa chiamare le rosminiane piaghe della Chiesa col loro nome: sentirsi indispensabili; martalismo; impietrimento mentale; funzionalismo; Alzheimer spirituale; vanagloria; pettegolezzi; divinizzazione del capo; faccia funerea; circoli chiusi; profitto mondano. (Discorso 22.12.2014).
Il papa sa di essere scomodo: “ … dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, di difendere il posto di lavoro, di un Dio che esige giustizia”. Di qui “la forza e spesso la violenza della reazione al Papa”. Chi lo contesta usa, volgarmente, l’espediente di personalizzare il conflitto (Bergoglio è comunista, pauperista, debole dottrinalmente, eretico, ecologista, inopportuno nel vestiario, imprudente …) oppure pretende che i problemi se li sia inventati lui. Talvolta, infine, fioccano calunnie.
Potente è il capitolo sulla corruzione, nella chiesa e fuori, che Francesco denuncia con voce severa (“di corrotti ce ne sono nelle comunità cristiane e fanno tanto male”), e le sue parole sono particolarmente urticanti per chiunque (cardinale, vescovo, parroco, semplice leader di comunità) eserciti anche una sola briciola di potere (“la corruzione è il peccato di chi esercita l’autorità”. Ma mentre il papa parla e punta il dito, gli altri che fanno? D’Ambrosio non si illude: i pastori e i laici sono ben lontani dal fare eco alle sue denunce. Insomma, visto che si darebbero la zappa sui piedi, preferiscono fischiettare guardando in alto e mormorare (“Però esagera … un papa non parla così …”). A pag.61 l’autore afferma che “il rimedio … per guarire dalla corruzione” è “mettere la Chiesa in uscita da sé”. Chiaro, no?
Francesco però sconfessa i suoi insidiosi e ipocriti nemici interni che minimizzano i fenomeni e lo trattano – quando va bene – da vecchio brontolone che c’ha questa fissazione per i poveri. Egli “porta avanti un progetto di riforma ecclesiale, che nella scia del Vaticano II, chiede alla Chiesa tutta di essere segno credibile della salvezza e della misericordia di Dio”.
A questo punto il mio spazio è finito. Ma forse mi faranno passare l’ultimo capoverso.
Un prelato molisano, cui in mia presenza qualcuno chiese quali siano le novità di papa Francesco, rispose: “Nessuna novità rispetto a papa Benedetto, solo diversità di carattere e di formazione”. Un sacerdote diocesano, oggi con carica prestigiosa, qualche hanno fa, via Facebook, rimbeccò il mio richiamarmi al Concilio e sentenziò: “Concilio? Roba vecchia, degli anni 70”. ☺
È singolare che nello spazio di poche settimane esca un libro intitolato Ce la farà Francesco? La sfida della riforma ecclesiale (la meridiana, € 13,50) cui fa eco un editoriale del laico Espresso che termina con l’identica domanda: “Ce la farà?”. Mentre la risposta del laico Luigi Vicinanza è fiduciosa (Ratzinger non aveva la forza per combattere la “sporcizia” della Chiesa. Bergoglio ora può farlo), quella di Rocco D’ Ambrosio, autore del libro, lo è meno: “Solo Dios sabe” (Solo Dio lo sa). In realtà siamo di fronte a un processo epocale, quello che Stella Morra (nel suo Dio non si stanca) definisce una necessità di mutamento profondo ma indifferibile della stessa forma assunta nei secoli dal cattolicesimo. È rivoluzione? La parola fa tremare i baciapile e li mette in imbarazzo, perché, avvezzi a troncare ogni discussione con la sentenza “L’ha detto il Papa!”, ora sono costretti a… criticarlo. Insomma quella di Francesco non sarà rivoluzione – cioè processo tumultuoso di mutamento profondo della società – ma certo la sua riforma (ma io continuo a preferire la parola di Giovanni XXIII: aggiornamento, cioè una chiesa che assuma la forma che deve avere “oggi”) non è banalmente una presa di potere del vaticano, ma un “lungo processo la cui profondità è commisurata alla crisi che ha portato alla sua elezione” (Jesus, marzo 2016).
Le ottanta preziosissime pagine di D’Ambrosio, docente alla Gregoriana e direttore del sito Cercasi un fine (www.cercasiunfi ne.it), cominciano con un’analisi istituzionale della Chiesa Cattolica nel pontificato di Bergoglio, che avanza a fatica per la “poca disponibilità a ricercare e discutere sugli aspetti antropologici e istituzionali della comunità cristiana”, mentre tutti, vertici e base, fedeli e non credenti dovrebbero contribuire a fare luce. Segue un esame degli oppositori al vescovo di Roma, che semplificano ciò che è complesso (“O si è dentro o si è fuori”) o/e ideologizzano la fede. A loro Francesco risponde “Non ho mai compreso l’espressione valori non negoziabili …” oppure “La vera profezia è sempre un segno di contraddizione … come Gesù … per le autorità religiose del suo tempo”.
Francesco però non parla per allusioni. Se a Scalfari (2013) conferma che “è molto forte tra le mura vaticane [e tra le mura diocesane? ndr] l’amore per il potere, sa anche precisare che se “un giovane è troppo rigido, è troppo fondamentalista, io non ho fiducia; dietro c’è qualcosa che lui stesso non sa” e sa chiamare le rosminiane piaghe della Chiesa col loro nome: sentirsi indispensabili; martalismo; impietrimento mentale; funzionalismo; Alzheimer spirituale; vanagloria; pettegolezzi; divinizzazione del capo; faccia funerea; circoli chiusi; profitto mondano. (Discorso 22.12.2014).
Il papa sa di essere scomodo: “ … dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, di difendere il posto di lavoro, di un Dio che esige giustizia”. Di qui “la forza e spesso la violenza della reazione al Papa”. Chi lo contesta usa, volgarmente, l’espediente di personalizzare il conflitto (Bergoglio è comunista, pauperista, debole dottrinalmente, eretico, ecologista, inopportuno nel vestiario, imprudente …) oppure pretende che i problemi se li sia inventati lui. Talvolta, infine, fioccano calunnie.
Potente è il capitolo sulla corruzione, nella chiesa e fuori, che Francesco denuncia con voce severa (“di corrotti ce ne sono nelle comunità cristiane e fanno tanto male”), e le sue parole sono particolarmente urticanti per chiunque (cardinale, vescovo, parroco, semplice leader di comunità) eserciti anche una sola briciola di potere (“la corruzione è il peccato di chi esercita l’autorità”. Ma mentre il papa parla e punta il dito, gli altri che fanno? D’Ambrosio non si illude: i pastori e i laici sono ben lontani dal fare eco alle sue denunce. Insomma, visto che si darebbero la zappa sui piedi, preferiscono fischiettare guardando in alto e mormorare (“Però esagera … un papa non parla così …”). A pag.61 l’autore afferma che “il rimedio … per guarire dalla corruzione” è “mettere la Chiesa in uscita da sé”. Chiaro, no?
Francesco però sconfessa i suoi insidiosi e ipocriti nemici interni che minimizzano i fenomeni e lo trattano – quando va bene – da vecchio brontolone che c’ha questa fissazione per i poveri. Egli “porta avanti un progetto di riforma ecclesiale, che nella scia del Vaticano II, chiede alla Chiesa tutta di essere segno credibile della salvezza e della misericordia di Dio”.
A questo punto il mio spazio è finito. Ma forse mi faranno passare l’ultimo capoverso.
Un prelato molisano, cui in mia presenza qualcuno chiese quali siano le novità di papa Francesco, rispose: “Nessuna novità rispetto a papa Benedetto, solo diversità di carattere e di formazione”. Un sacerdote diocesano, oggi con carica prestigiosa, qualche hanno fa, via Facebook, rimbeccò il mio richiamarmi al Concilio e sentenziò: “Concilio? Roba vecchia, degli anni 70”. ☺
È singolare che nello spazio di poche settimane esca un libro intitolato Ce la farà Francesco? La sfida della riforma ecclesiale (la meridiana, € 13,50) cui fa eco un editoriale del laico Espresso che termina con l’identica domanda: “Ce la farà?”. Mentre la risposta del laico Luigi Vicinanza è fiduciosa (Ratzinger non aveva la forza per combattere la “sporcizia” della Chiesa. Bergoglio ora può farlo), quella di Rocco D’ Ambrosio, autore del libro, lo è meno: “Solo Dios sabe” (Solo Dio lo sa). In realtà siamo di fronte a un processo epocale, quello che Stella Morra (nel suo Dio non si stanca) definisce una necessità di mutamento profondo ma indifferibile della stessa forma assunta nei secoli dal cattolicesimo. È rivoluzione? La parola fa tremare i baciapile e li mette in imbarazzo, perché, avvezzi a troncare ogni discussione con la sentenza “L’ha detto il Papa!”, ora sono costretti a… criticarlo. Insomma quella di Francesco non sarà rivoluzione – cioè processo tumultuoso di mutamento profondo della società – ma certo la sua riforma (ma io continuo a preferire la parola di Giovanni XXIII: aggiornamento, cioè una chiesa che assuma la forma che deve avere “oggi”) non è banalmente una presa di potere del vaticano, ma un “lungo processo la cui profondità è commisurata alla crisi che ha portato alla sua elezione” (Jesus, marzo 2016).
Le ottanta preziosissime pagine di D’Ambrosio, docente alla Gregoriana e direttore del sito Cercasi un fine (www.cercasiunfi ne.it), cominciano con un’analisi istituzionale della Chiesa Cattolica nel pontificato di Bergoglio, che avanza a fatica per la “poca disponibilità a ricercare e discutere sugli aspetti antropologici e istituzionali della comunità cristiana”, mentre tutti, vertici e base, fedeli e non credenti dovrebbero contribuire a fare luce. Segue un esame degli oppositori al vescovo di Roma, che semplificano ciò che è complesso (“O si è dentro o si è fuori”) o/e ideologizzano la fede. A loro Francesco risponde “Non ho mai compreso l’espressione valori non negoziabili …” oppure “La vera profezia è sempre un segno di contraddizione … come Gesù … per le autorità religiose del suo tempo”.
Francesco però non parla per allusioni. Se a Scalfari (2013) conferma che “è molto forte tra le mura vaticane [e tra le mura diocesane? ndr] l’amore per il potere, sa anche precisare che se “un giovane è troppo rigido, è troppo fondamentalista, io non ho fiducia; dietro c’è qualcosa che lui stesso non sa” e sa chiamare le rosminiane piaghe della Chiesa col loro nome: sentirsi indispensabili; martalismo; impietrimento mentale; funzionalismo; Alzheimer spirituale; vanagloria; pettegolezzi; divinizzazione del capo; faccia funerea; circoli chiusi; profitto mondano. (Discorso 22.12.2014).
Il papa sa di essere scomodo: “ … dà fastidio che si parli di distribuzione dei beni, di difendere il posto di lavoro, di un Dio che esige giustizia”. Di qui “la forza e spesso la violenza della reazione al Papa”. Chi lo contesta usa, volgarmente, l’espediente di personalizzare il conflitto (Bergoglio è comunista, pauperista, debole dottrinalmente, eretico, ecologista, inopportuno nel vestiario, imprudente …) oppure pretende che i problemi se li sia inventati lui. Talvolta, infine, fioccano calunnie.
Potente è il capitolo sulla corruzione, nella chiesa e fuori, che Francesco denuncia con voce severa (“di corrotti ce ne sono nelle comunità cristiane e fanno tanto male”), e le sue parole sono particolarmente urticanti per chiunque (cardinale, vescovo, parroco, semplice leader di comunità) eserciti anche una sola briciola di potere (“la corruzione è il peccato di chi esercita l’autorità”. Ma mentre il papa parla e punta il dito, gli altri che fanno? D’Ambrosio non si illude: i pastori e i laici sono ben lontani dal fare eco alle sue denunce. Insomma, visto che si darebbero la zappa sui piedi, preferiscono fischiettare guardando in alto e mormorare (“Però esagera … un papa non parla così …”). A pag.61 l’autore afferma che “il rimedio … per guarire dalla corruzione” è “mettere la Chiesa in uscita da sé”. Chiaro, no?
Francesco però sconfessa i suoi insidiosi e ipocriti nemici interni che minimizzano i fenomeni e lo trattano – quando va bene – da vecchio brontolone che c’ha questa fissazione per i poveri. Egli “porta avanti un progetto di riforma ecclesiale, che nella scia del Vaticano II, chiede alla Chiesa tutta di essere segno credibile della salvezza e della misericordia di Dio”.
A questo punto il mio spazio è finito. Ma forse mi faranno passare l’ultimo capoverso.
Un prelato molisano, cui in mia presenza qualcuno chiese quali siano le novità di papa Francesco, rispose: “Nessuna novità rispetto a papa Benedetto, solo diversità di carattere e di formazione”. Un sacerdote diocesano, oggi con carica prestigiosa, qualche hanno fa, via Facebook, rimbeccò il mio richiamarmi al Concilio e sentenziò: “Concilio? Roba vecchia, degli anni 70”. ☺
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