Dal nucleare al rinnovabile
8 Settembre 2019
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Dal nucleare al rinnovabile

Il primo agosto u.s., nella sala consiliare del comune di Termoli, si è svolta la pubblica presentazione del libro di Aldo Camporeale ed Enzo Gallo Quando il Molise disse no al nucleare. Scopo del lavoro: evidenziare il ruolo determinante che, negli anni settanta, il Molise svolse nel contribuire a fermare la costruzione delle centrali nucleari in Italia.

La questione, nucleare sì nucleare no, a suo tempo, assurse prepotentemente agli onori del dibattito nazionale, in seguito a quanto si era verificato in occasione della crisi energetica dell’autunno-inverno del 1973-1974. Tutto prese il via dalla famosa guerra del Kippur (Ottobre 1973), che i Paesi arabi pensarono di combattere facendo leva sulla drastica riduzione di enormi quantità di petrolio, da immettere sul mercato internazionale, di cui erano in grado di controllare la disponibilità. Conseguentemente i governi di vari Paesi, in particolar modo quelli europei, furono egualmente costretti a perseguire il medesimo obiettivo, limitare, cioè, il consumo di carburante e/o, comunque, di qualunque altra fonte di energia disponibile.

Nel nostro Paese, all’epoca dei fatti, la situazione era ancor più delicata, in quanto la politica energetica, messa in atto dall’ENEL nei suoi primi dieci anni di gestione, non era riuscita a colmare a sufficienza la richiesta di energia proveniente dall’intero Paese, sia per gli usi civili che per quelli industriali. L’Ente Nazionale per l’Energia Elettrica non aveva, cioè, costruito un numero sufficiente di centrali elettriche capaci di produrre energia per soddisfare la crescente domanda raddoppiatasi in dieci anni.

All’inizio degli anni sessanta, quando si cominciò a considerare seriamente la possibilità di utilizzare l’energia atomica per scopi pacifici, la Banca Mondiale, d’accordo con i maggiori esperti internazionali del settore, scelse, come nazioni-cavie per l’ esperimento, l’Italia e il Giappone. Il motivo era molto semplice: i due Paesi avevano i dovuti requisiti; erano, cioè, industrialmente avanzati e sostanzialmente privi di materie prime. In Italia, però, la strada dell’energia, considerata allora del futuro, fu presto abbandonata, decidendo di continuare a costruire, su larga scala, centrali termoelettriche alimentate con olio pesante, quale prodotto di scarto delle raffinerie.

Tali impianti industriali, largamente presenti sul territorio nazionale, immettendo sul mercato enormi quantità di prodotti finiti, per la maggior parte destinati all’estero, restavano detentori di notevoli quantità di prodotti di scarto a basso prezzo. Così l’ENEL, trovando conveniente acquistare olio pesante, largamente disponibile, tralasciando di fatto l’energia nucleare, fece sì che l’Italia, da protagonista qual era dieci anni prima, nel campo elettronucleare, si trovò a recitare il ruolo di semplice comparsa. Erano ben chiare, anche allora, le notevoli difficoltà esistenti nel campo indicato, quali l’ eliminazione delle scorie radioattive e l’arricchimento dell’uranio, oltre alla possibilità di dotarsi, in breve tempo, di un numero sufficiente di reattori nucleari che, a quel tempo, solo gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica erano in grado di costruire.

“Il petrolio” – si diceva – “è troppo prezioso per essere bruciato”. “La futura utilizzazione del petrolio, dicevano gli esperti, sarà sempre più appannaggio della petrolchimica che continuerà a trarre da esso sempre nuovi ed infiniti prodotti, quali materie plastiche, filati e, addirittura, prodotti commestibili”. Erano, ormai, lontani i tempi in cui il prezioso liquido, appena conosciuto dal genere umano, era stato, stravagantemente, definito: “sostanza inutilizzabile, buona al massimo per ungere le ruote dei carri”.

Per altro verso e in modo sempre più deciso, cominciò, fin d’allora, a farsi strada l’idea che la ricerca nel settore energetico, poteva e doveva indirizzarsi verso l’utilizzo di altre fonti, quelle che da Cenerentola, quali erano, sono oggi diventate principesse al ballo nel palazzo del futuro. ☺

 

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