Del diritto all’abitare
10 Giugno 2023
laFonteTV (3199 articles)
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Del diritto all’abitare

Mentre sale a più di 36.000 il numero delle persone senza casa nell’ Emilia martoriata da un’emergenza che tale non è perché provocata da incuria e sete di profitto, il pianto si mescola al sorriso guardando le centinaia di ragazzi corsi a riparare i danni provocati dalla criminale stupidità degli adulti. Così fu a Firenze, così a Ischia, e così in ogni altra circostanza “emergenziale”.
Stupisce e consola la naturalezza con cui i “bamboccioni”, allergici al lavoro, immaturi, viziati (così li vedono certi governanti) si mettono con gioia al servizio della comunità; ma rimorde anche la coscienza, nel vedere che sono loro a cercare di arginare i danni che la nostra sete di denaro ha provocato e provoca alla terra. Loro che pagheranno il conto della nostra avidità, loro che sono i soli ad aver capito che il tempo è ora, e agiscono per scuotere le nostre coscienze con la protesta delle vernici che il potere chiama “terrorismo” e vuol punire con anni di carcere.
Sono gli stessi che ora definiamo angeli e domani vorremo arrestare, come ha detto sconsolato e infuriato ieri qualcuno di loro; gli stessi che giornalmente qualche ministro insulta con l’invito ad andare a lavorare, da bravi schiavi, per un pugno di centesimi all’ora, senza tutele né speranza. Gli stessi, infine, che stanno riempiendo di tende le piazze e i cortili delle università in tutto il Paese, perché non si può studiare senza casa; e per avere anche solo un letto in uno scantinato ci vogliono soldi, tanti, che le famiglie non hanno più. Ricordate l’operaio che voleva il figlio dottore? Adesso i nostri ragazzi sanno che era solo il verso di una bellissima canzone, e che la normalità è l’abbandono degli studi, oggi la scelta obbligata per molti, come ha spiegato ieri con rabbia disperata una studentessa al ministro Bernini: perché per pagare l’affitto bisogna cercare lavoretti di sfruttamento, e il tempo per i libri non c’è più.
Confesso che tra le tante brutture di questo tempo infelice i volti di questi giovani che rivendicano il diritto allo studio mi bruciano dentro; e l’impotenza si trasforma in furia davanti all’arroganza sguaiata di certi ministri e giornalisti che irridono la loro dignitosa protesta. Mentre aumenta la vergogna per non avere saputo consegnare loro altro che questo, e sento che davvero la mia generazione ha perso…
Ma questa consapevolezza non assolve, e non esime dal dovere di trovare una soluzione: perché, tra le tante “emer-genze” scientemente provocate, quella del diritto ad abitare (che significa anche diritto a studiare) è forse la più impellente. Diritto ad abitare (che ora è anche diritto a riavere al più presto una casa, per gli emiliani travolti dall’acqua) da tempo immemorabile non più nell’agenda politica di nessun governo.
Secondo una recente inchiesta di Repubblica nel 2020 si stimava in un milione e mezzo il numero di famiglie in “grave o acuto disagio abitativo”; gli sfratti sono ripartiti dopo il Covid e il governo Meloni non ha rifinanziato il fondo affitti che sosteneva migliaia di famiglie. Solo il 3% di abitazioni sono di proprietà di regioni e comuni (le case popolari), uno dei dati più bassi in Europa, per lo più ridotte molto male, con una lista di attesa di 400.000 nuclei familiari.
Ed è ovviamente nelle grandi città che la bomba sociale sta esplodendo: per i giovani la casa è un sogno impossibile, i poveri rischiano sempre più di finire in strada, gli studenti scelgono appunto la protesta delle tende, la classe media viene espulsa anche dalle periferie da una gentrificazione sempre più aggressiva e dal dilagare dei bed and breakfast.
Al centro del problema c’è la relazione tra pubblico e privato, tra il diritto alla fruizione dei beni comuni e gli interessi privati. Lo vediamo ogni giorno, nella rinuncia delle istituzioni ad ogni funzione sociale e civica in favore dell’iniziativa privata; nella scelta scellerata di non governare più il territorio, assegnando agli immobiliaristi il ruolo di programmatori della trasformazione del tessuto cittadino, interiorizzando totalmente l’idea che sia solo il privato a poter realizzare l’interesse pubblico.
Ed ecco allora le migliaia di costruzioni in deroga ad una (buona) legge regionale sul consumo di suolo che hanno mandato sott’acqua terra e vite in Emilia; ecco l’abbandono totale dell’edilizia pubblica; ecco le tende e gli affitti in nero; ecco gli sfratti e la guerra alle occupazioni sociali. E se i sindaci delle grandi città stanno forse accorgendosi che bisogna intervenire e ripartire con l’edilizia pubblica, se le iniziative dal basso si moltiplicano, questo non basta: gli interventi devono essere strutturali e partire dallo Stato, che deve operare in difesa dei diritti di tutti. Perché il diritto all’abitare esiste, ed è sacrosanto.
E io rivendico anche il diritto all’ abitare nella bellezza; perché sociale non significa brutto, e popolare non vuol dire di bassa qualità. Perché la bellezza aiuta a vivere, è contagiosa, rende orgogliosi, sviluppa il senso di comunità tra coloro che la vivono, aiuta a respingere criminalità e speculazione, spinge a volerla anche per gli altri. A capire che tutti hanno diritto ad abitarla.☺

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