La dipendenza affettiva, pur non essendo ancora inserita nei manuali diagnostici, viene ad oggi riconosciuta come problema e curata come malattia. È necessario affermare tuttavia che non bisogna necessariamente medicalizzare e che ognuno di noi ha bisogno di dipendere da qualcosa. Come afferma lo psicologo Francois Xavier Poudat, tutti noi facciamo uso di boe o di porti d’attracco: il primo porto sono i genitori, più il rapporto è stabile più avremo fiducia nell’allontanamento per avanzare in mare aperto senza utilizzare boe di salvataggio.
È necessario fare una differenziazione tra attaccamento e dipendenza:
– l’attaccamento non ci impedisce di prendere le distanze, un buon porto ci permette una buona esplorazione;
– la dipendenza è sintomo di un legame più forte per intensità e per durata. Ha come conseguenza quella di impedire l’esplorazione.
Il limite fra il normale ed il patologico è una questione di flessibilità, di elasticità, di adattamento. Ogni individuo raggiunta l’età adulta ha bisogno di organizzare la sua vita affettiva sulla base degli schemi di attaccamento del passato. A volte il passaggio dal normale al patologico avviene in modo graduale, altre volte in modo violento. Indipendente dalla modalità iniziale il comportamento additivo è percepito da chi ne è soggetto come un male necessario per viver e per sopravvivere, per calmarsi e per esistere. La qualità è rimpiazzata con la quantità. Il rischio sta nel bisogno di provare sensazioni sempre più forti e di spingersi oltre i limiti. Un altro rischio è quello di evitare qualsiasi tensione ansiosa (relazioni di dipendenze affettive). Il risultato è una vita da dipendente, da drogato, con comportamenti rigidi, limitata nelle libertà.
In teoria ognuno di noi dovrebbe essere munito di risorse che consentano di allontanarci da ciò che ci fa stare male. Certo il processo è spesso difficile e doloroso, ma ha come obiettivo non la promessa, ma la certezza di soffrire meno e di stare meglio, di vivere una vita più ricca e varia.
La dipendenza affettiva non ha nulla di diverso dalle altre dipendenze. Pone le sue basi sul bisogno di protezione e sull’insicurezza personale, si basa sull’ assioma che la felicità è possibile solo in due e pertanto il paziente mette in atto comportamenti sottomessi ed adesivi, fino al cambiamento di gusti e norme morali.
Esistono tre tipologie di pazienti:
1. oblativo
2. sadomasochista
3. caotico disregolato
Il paziente oblativo è completamente sottomesso al partner, idealizza l’altro, ne fa il proprio guru e ne assume gli scopi e gli ideali; le emozioni che spesso prova si alternano tra rabbia e senso di colpa, ed è proprio questo ultimo che riporta alla ri-emissione del comportamento dipendente.
Il secondo tipo è colui che si sottomette al dominante con la implicita affermazione “lo faccio perché mi fa piacere”; tuttavia al minimo tentativo di ribellione del paziente il dominante minaccia l’abbandono e questo genera angoscia nel paziente che rinforza il servilismo.
La terza tipologia invece comprende coloro che hanno un bisogno eccessivo di rassicurazione ma che al momento del distanziamento, cosa che tra l’altro desiderano, provano una grande paura che li riporta nelle catene della loro relazione e questo aumenta l’insicurezza personale e di conseguenza la paura del distacco.
La dipendenza affettiva inizia, quindi, dove finisce la capacità di vivere il rapporto di coppia come un flusso costante tra momenti di separatezza e momenti di fusione; quando l’amore non è più fonte di arricchimento, ma compensazione di un senso di vuoto, delle paure e/o dei bisogni, di conseguenza il rapporto non più un incontro tra due individui, ma una situazione di co-dipendenza, ovvero una limitazione reciproca.
Il fenomeno delle nuove dipendenze comportamentali è sempre più diffuso. Ma si tratta davvero di una diagnosi, o non piuttosto di qualcosa che è strettamente legato a una società come quella contemporanea, che sempre più spesso punta all’individualismo, all’abbandono e alla mancanza di punti di riferimento precisi e stabili? ☺
*Psicoterapeuta Cognitivo Comportamentale
“Amor, ch’a nulla amato amor perdona
mi prese del costui piacer sì forte
che, come vedi, ancor non m’abbandona”
La dipendenza affettiva, pur non essendo ancora inserita nei manuali diagnostici, viene ad oggi riconosciuta come problema e curata come malattia. È necessario affermare tuttavia che non bisogna necessariamente medicalizzare e che ognuno di noi ha bisogno di dipendere da qualcosa. Come afferma lo psicologo Francois Xavier Poudat, tutti noi facciamo uso di boe o di porti d’attracco: il primo porto sono i genitori, più il rapporto è stabile più avremo fiducia nell’allontanamento per avanzare in mare aperto senza utilizzare boe di salvataggio.
È necessario fare una differenziazione tra attaccamento e dipendenza:
– l’attaccamento non ci impedisce di prendere le distanze, un buon porto ci permette una buona esplorazione;
– la dipendenza è sintomo di un legame più forte per intensità e per durata. Ha come conseguenza quella di impedire l’esplorazione.
Il limite fra il normale ed il patologico è una questione di flessibilità, di elasticità, di adattamento. Ogni individuo raggiunta l’età adulta ha bisogno di organizzare la sua vita affettiva sulla base degli schemi di attaccamento del passato. A volte il passaggio dal normale al patologico avviene in modo graduale, altre volte in modo violento. Indipendente dalla modalità iniziale il comportamento additivo è percepito da chi ne è soggetto come un male necessario per viver e per sopravvivere, per calmarsi e per esistere. La qualità è rimpiazzata con la quantità. Il rischio sta nel bisogno di provare sensazioni sempre più forti e di spingersi oltre i limiti. Un altro rischio è quello di evitare qualsiasi tensione ansiosa (relazioni di dipendenze affettive). Il risultato è una vita da dipendente, da drogato, con comportamenti rigidi, limitata nelle libertà.
In teoria ognuno di noi dovrebbe essere munito di risorse che consentano di allontanarci da ciò che ci fa stare male. Certo il processo è spesso difficile e doloroso, ma ha come obiettivo non la promessa, ma la certezza di soffrire meno e di stare meglio, di vivere una vita più ricca e varia.
La dipendenza affettiva non ha nulla di diverso dalle altre dipendenze. Pone le sue basi sul bisogno di protezione e sull’insicurezza personale, si basa sull’ assioma che la felicità è possibile solo in due e pertanto il paziente mette in atto comportamenti sottomessi ed adesivi, fino al cambiamento di gusti e norme morali.
Esistono tre tipologie di pazienti:
1. oblativo
2. sadomasochista
3. caotico disregolato
Il paziente oblativo è completamente sottomesso al partner, idealizza l’altro, ne fa il proprio guru e ne assume gli scopi e gli ideali; le emozioni che spesso prova si alternano tra rabbia e senso di colpa, ed è proprio questo ultimo che riporta alla ri-emissione del comportamento dipendente.
Il secondo tipo è colui che si sottomette al dominante con la implicita affermazione “lo faccio perché mi fa piacere”; tuttavia al minimo tentativo di ribellione del paziente il dominante minaccia l’abbandono e questo genera angoscia nel paziente che rinforza il servilismo.
La terza tipologia invece comprende coloro che hanno un bisogno eccessivo di rassicurazione ma che al momento del distanziamento, cosa che tra l’altro desiderano, provano una grande paura che li riporta nelle catene della loro relazione e questo aumenta l’insicurezza personale e di conseguenza la paura del distacco.
La dipendenza affettiva inizia, quindi, dove finisce la capacità di vivere il rapporto di coppia come un flusso costante tra momenti di separatezza e momenti di fusione; quando l’amore non è più fonte di arricchimento, ma compensazione di un senso di vuoto, delle paure e/o dei bisogni, di conseguenza il rapporto non più un incontro tra due individui, ma una situazione di co-dipendenza, ovvero una limitazione reciproca.
Il fenomeno delle nuove dipendenze comportamentali è sempre più diffuso. Ma si tratta davvero di una diagnosi, o non piuttosto di qualcosa che è strettamente legato a una società come quella contemporanea, che sempre più spesso punta all’individualismo, all’abbandono e alla mancanza di punti di riferimento precisi e stabili? ☺
La dipendenza affettiva, pur non essendo ancora inserita nei manuali diagnostici, viene ad oggi riconosciuta come problema e curata come malattia.
“Amor, ch’a nulla amato amor perdona
mi prese del costui piacer sì forte
che, come vedi, ancor non m’abbandona”
La dipendenza affettiva, pur non essendo ancora inserita nei manuali diagnostici, viene ad oggi riconosciuta come problema e curata come malattia. È necessario affermare tuttavia che non bisogna necessariamente medicalizzare e che ognuno di noi ha bisogno di dipendere da qualcosa. Come afferma lo psicologo Francois Xavier Poudat, tutti noi facciamo uso di boe o di porti d’attracco: il primo porto sono i genitori, più il rapporto è stabile più avremo fiducia nell’allontanamento per avanzare in mare aperto senza utilizzare boe di salvataggio.
È necessario fare una differenziazione tra attaccamento e dipendenza:
– l’attaccamento non ci impedisce di prendere le distanze, un buon porto ci permette una buona esplorazione;
– la dipendenza è sintomo di un legame più forte per intensità e per durata. Ha come conseguenza quella di impedire l’esplorazione.
Il limite fra il normale ed il patologico è una questione di flessibilità, di elasticità, di adattamento. Ogni individuo raggiunta l’età adulta ha bisogno di organizzare la sua vita affettiva sulla base degli schemi di attaccamento del passato. A volte il passaggio dal normale al patologico avviene in modo graduale, altre volte in modo violento. Indipendente dalla modalità iniziale il comportamento additivo è percepito da chi ne è soggetto come un male necessario per viver e per sopravvivere, per calmarsi e per esistere. La qualità è rimpiazzata con la quantità. Il rischio sta nel bisogno di provare sensazioni sempre più forti e di spingersi oltre i limiti. Un altro rischio è quello di evitare qualsiasi tensione ansiosa (relazioni di dipendenze affettive). Il risultato è una vita da dipendente, da drogato, con comportamenti rigidi, limitata nelle libertà.
In teoria ognuno di noi dovrebbe essere munito di risorse che consentano di allontanarci da ciò che ci fa stare male. Certo il processo è spesso difficile e doloroso, ma ha come obiettivo non la promessa, ma la certezza di soffrire meno e di stare meglio, di vivere una vita più ricca e varia.
La dipendenza affettiva non ha nulla di diverso dalle altre dipendenze. Pone le sue basi sul bisogno di protezione e sull’insicurezza personale, si basa sull’ assioma che la felicità è possibile solo in due e pertanto il paziente mette in atto comportamenti sottomessi ed adesivi, fino al cambiamento di gusti e norme morali.
Esistono tre tipologie di pazienti:
1. oblativo
2. sadomasochista
3. caotico disregolato
Il paziente oblativo è completamente sottomesso al partner, idealizza l’altro, ne fa il proprio guru e ne assume gli scopi e gli ideali; le emozioni che spesso prova si alternano tra rabbia e senso di colpa, ed è proprio questo ultimo che riporta alla ri-emissione del comportamento dipendente.
Il secondo tipo è colui che si sottomette al dominante con la implicita affermazione “lo faccio perché mi fa piacere”; tuttavia al minimo tentativo di ribellione del paziente il dominante minaccia l’abbandono e questo genera angoscia nel paziente che rinforza il servilismo.
La terza tipologia invece comprende coloro che hanno un bisogno eccessivo di rassicurazione ma che al momento del distanziamento, cosa che tra l’altro desiderano, provano una grande paura che li riporta nelle catene della loro relazione e questo aumenta l’insicurezza personale e di conseguenza la paura del distacco.
La dipendenza affettiva inizia, quindi, dove finisce la capacità di vivere il rapporto di coppia come un flusso costante tra momenti di separatezza e momenti di fusione; quando l’amore non è più fonte di arricchimento, ma compensazione di un senso di vuoto, delle paure e/o dei bisogni, di conseguenza il rapporto non più un incontro tra due individui, ma una situazione di co-dipendenza, ovvero una limitazione reciproca.
Il fenomeno delle nuove dipendenze comportamentali è sempre più diffuso. Ma si tratta davvero di una diagnosi, o non piuttosto di qualcosa che è strettamente legato a una società come quella contemporanea, che sempre più spesso punta all’individualismo, all’abbandono e alla mancanza di punti di riferimento precisi e stabili? ☺
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