Mal comune
11 Giugno 2022
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Mal comune

I comuni sono strutture territoriali conservatrici e inefficaci. Nati nel medioevo intorno a nuclei abitativi e di difesa dei feudi e derivati dalla disgregazione dell’impero romano e dalla sua spartizione fra ex militari, i nostri comuni hanno confini determinati dalle capacità di trasporto e movimento risalenti al medioevo. La campagna intorno ai paesi si estende in base alla possibilità di raggiungerla a piedi o a dorso d’asino, partendo prima dell’alba e rientrando a tarda sera, e con le masserie isolate a fare da piccoli e fragili presidi. Così sono nati, così sono rimasti. Nei comuni, col decadere delle baronie regie e con l’avvento dell’organizzazione repubblicana, si è insediata una classe dirigente di mentalità, incultura, impreparazione e visione locale, che gestisce gli interessi dei potentati e della piccola finanza imprenditoriale presente sul territorio. Il ventennio fascista ha ingessato questa strutturazione, dando continuità al passaggio dell’apparato burocratico dei podestà ai consigli comunali. I piani urbanistici ed edilizi sono lo specchio di questa condizione. Sembra che tutto lo sviluppo non possa essere altro che l’edificazione privata, unita ad alcuni fulgidi esempi di opere pubbliche, meglio se finanziate con fondi che piovono dal cielo, fatte esplicitamente solo per essere fatte, per spendere le scarse risorse disponibili in qualcosa di facile realizzazione e immediata visibilità, indipendentemente dalla reale utilità. I sindaci, per la loro attività, sono definiti concordemente dalla stampa quali eroi, gli unici vicini ai cittadini, capaci di cogliere e risolvere le vere necessità degli amministrati. Sta di fatto che il processo di selezione degli eletti, in gran parte dei piccoli comuni del Paese, determina la totale incompetenza pratica su argomenti come la geologia e la difesa del territorio, la sismicità, le risorse idriche, la sostenibilità e l’impatto ambientale, il lavoro e le strategie occupazionali, la solidarietà e l’assistenza, la visione a medio e lungo termine.

Mi aspettavo, da un movimento politico fatto prevalentemente da giovani, aggregati dalla consuetudine agli strumenti informatici, nuove idee davvero riformatrici e sovvertitrici. Niente di tutto questo: i CinqueStelle non sono andati oltre l’imbullonare un loro degno rappresentante sulla poltrona degli Esteri. Degli altri partiti meglio tacere.

Eppure già la sanità, la scuola, i trasporti, la giustizia, vanno ben oltre i confini comunali. Le comunità montane hanno spesso aiutato i comuni a risolvere le criticità delle piccole dimensioni.

Il mio sogno è fatto di accorpamenti di più comuni per aree affini. Raggruppamenti in cui i confini dell’area geologica omogenea non siano per forza coincidenti con quelli delle attività produttive o dei trasporti locali o dell’assistenza sociale. Immaginiamo che, mentre le attività burocratiche correnti quali la produzione degli inutili documenti, e quelle legate all’identità culturale locale restino nei rispettivi comuni, ma si costituisca un centro intercomunale dedicato al progetto del futuro. Un centro che possa dotarsi di risorse culturali, che abbia al suo interno specifiche competenze. Ad esempio un gruppo di lavoro capace di dialogare direttamente con la popolazione, recepirne i bisogni reali e che comprenda almeno un geologo, un sociologo, un antropologo, un agronomo, un ecologo, oltre a urbanisti, architetti, ingegneri ed economisti. Un gruppo di persone giovani, scelte per competenza, capaci di innovare, capaci di sfruttare gli strumenti informatici per annullare le distanze e che abbia la capacità e la forza di buttare all’aria la burocrazia e tenersi lontani dal marciume della politica dei faccendieri. Giovani con queste capacità ce ne sono ma sono messi all’angolo, costretti ad emigrare, a non dispiegare le loro potenzialità.

Non sarebbe ora di dire basta alle numerosissime duplicazioni, anche strumentali, agli sprechi e alle incompetenze risolte coi consulenti intrallazzati o alla meno peggio? Quanto mi piacerebbe assistere all’ accorpamento e alla riduzione drastica dei comuni e, nel contempo, allo smantellamento delle provincie e al ridimensionamento drastico del potere delle regioni. Quanti sprechi, quanti impieghi inutili, quante risorse sperperate si potrebbero risparmiare, quanto, invece, si potrebbe fare di meglio? Ma quale mai potrebbe essere la forza politica capace di rendere davvero democratico e partecipato il potere decisionale e adeguarlo alla complessità e agli strumenti di gestione disponibili? Un migliaio fra i 7.904 comuni italiani sono chiamati alle urne per le elezioni amministrative, dopo una campagna elettorale locale scarsamente partecipata, dove già tutto è stato deciso nelle segreterie e nei conventicoli dei potentati. Ancora una volta si cambia per non cambiare niente. Chiunque avrà vinto, quelli che sognano un mondo migliore, più equo e solidale, restano ancora una volta scornati e delusi. ☺

 

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