Diritti negati
11 Giugno 2022
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Diritti negati

  1. 1. L’art. 23 della Dichiarazione universale dei diritti umani sancisce che ogni uomo ha diritto, senza discriminazione, “al lavoro (…), a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro” (co.1), a “una retribuzione uguale per uguale lavoro” (co.2), a “un’equa e soddisfacente retribuzione che assicuri a lui e alla sua famiglia una esistenza conforme alla dignità” (co.3). Lo conferma la Costituzione italiana (art. 36). Sono circa 8,6 milioni, in Europa, i lavoratori agricoli (4,3% degli occupati) e 3,9% in Italia. Prevale la manodopera familiare, anche se assume peso la manodopera extra-familiare (nazionale o straniera), specie stagionale: raccolta frutta e verdura. È aumentata la mobilità stagionale sia per lavoratori agricoli comunitari (+36%) che extracomunitari (+31%). Vale anche per l’Italia. Gran parte della manodopera europea viene dalla Romania, Polonia e Bulgaria; quella extracomunitaria da aree dell’Asia e Africa e di diverse nazionalità. Sono maschi il 65% e donne il 35% della manodopera agricola. Il 30% delle donne lavora a tempo pieno e il 52% a tempo parziale. È una modalità di lavoro che incide sulla loro sicurezza e vulnerabilità, aggravate da bassi salari, prestazioni pensionistiche limitate. Difficile è quantificarne la presenza. Una parte presta attività non retribuite in aziende familiari.

I/le lavoratori/trici comunitari/e godono del trattamento salariale del Paese ospitante e, da cittadini/e europei/e, possono circolare liberamente nell’UE. La Direttiva europea sui lavoratori stagionali di Paesi terzi garantisce loro pari condizioni di lavoro e alcune prestazioni sociali. Succede, però, spesso che, indipendentemente dalla nazionalità e dalla posizione giuridica, la tutela garantita dalle leggi europee e nazionali venga negata o parzialmente garantita per cui le condizioni di lavoro e di vita di tali lavoratori/trici sono inadeguate e di forte sfruttamento: elevato carico e lunghe ore lavorative (da 10/15 al giorno), salari bassi, prolungati sforzi fisici, esposizione a sostanze dannose, abitazioni inadatte e insalubri, isolamento sociale…; e reclutamento illecito, irregolarità contrattuali o assenza di contratto e di tutela previdenziale e sociale.

  1. 2. Il 32% dei/lle lavoratori/trici stagionali, secondo l’European Platform Tackling Underclared Work, in Europa, è irregolare. È tale il 62,1% secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). È una condizione che ne aggrava il livello di vulnerabilità e di sfruttamento, specie per le lavoratrici provenienti soprattutto da Romania e Bulgaria. Sono discriminate come donne, migranti, madri e ambiti di lavoro in cui forti sono le dinamiche di genere e le relazioni di potere patriarcale e razziste. Sono esposte a rischi di molestie e violenze sessuali e anche a tratta a scopo di sfruttamento lavorativo e sessuale. Non sono protette dalla cittadinanza europea. Incorrono, poi, in una vulnerabilità di partenza legata a scarse informazioni sul lavoro, le organizzazioni locali, assenza di esperienza, ignoranza della lingua, istruzione medio-bassa, presenza di figli, precarie condizioni economiche della famiglia. Vi ha inciso anche la pandemia: scarsa distribuzione di dispositivi di protezione, distanziamento, alloggi sovraffollati, difficoltà di accesso ai servizi sanitari…
  2. 3. I/le lavoratori/trici agricoli/e erano nel 2020, in Italia, 1,04 milioni in lieve diminuzione rispetto al 2019 (-2%). Prevalgono gli/le italiani/e ma in forte diminuzione: 81,4% contro 94% nel 2008. Sono aumentati i/le lavoratori/trici stranieri/e, in prevalenza extra-comunitari/e: 18,5% nel 2020 contro 6% nel 2008. Arrivano soprattutto dal Marocco, India e Albania e quelli/e comunitari/e da Polonia, Bulgaria e Romania. Il Covid ne ha ridotto la presenza, specie dei/lle lavoratori/trici provenienti da Polonia, Bulgaria e Romania. Erano 357.768 nel 2020 gli/le stranieri/e occupati/e in agricoltura contro 368.000 del 2019. Lavoravano in agricoltura, nel 2020, 68,5% dei maschi contro 31,5% delle femmine contro, rispettivamente, 65,5 e 34,5% nel 2015. Domina il contratto a tempo determinato: 90% dei maschi e 97% delle donne; e il lavoro stagionale per gli/le stranieri/e, specie per lavoratori/trici comunitari/e. Ciò facilita loro il rientro nei Paesi di origine. Sono occupati/e nel Sud-Italia (37%), Nord-est (23,1%), Isole (16,4%), Centro-Italia (12,7%) e Nord-Ovest (10,8%). Forte presenza in Puglia (16,1%), in Sicilia (14,4%), Emilia-Romagna (9,4%) e Calabria (9,%) e nelle province di Foggia, Lecce, Potenza, Caserta, Napoli, Piana di Gioia Tauro e Sibari, Crotone e Ragusa. Tali dati valgono solo per la manodopera regolarmente occupata. I non-regolari sono in prevalenza stranieri. Si stima che siano circa 160mila (Ministero del lavoro) e 180mila secondo la Flai-Cgil.
  3. 4. Dati sulle condizioni di vita e le forme di sfruttamento della manodopera, specie quella immigrata, sono forniti da studi condotti in alcune aree geografiche: condizioni igienico-sanitarie, alloggiative, servizi di base. Il tasso di irregolarità dei rapporti di lavoro è pari al 39%. Vale soprattutto per i/le lavoratori/trici stranieri/e: contratti sfavorevoli e reclutamento illegali e ingannevoli, bassi salari, orari eccessivi, mancata maggiorazione lavoro straordinario, notturno e festivo, discrepanza tra giornate lavorate e dichiarate, restituzione al datore di lavoro di soldi versati in busta paga, tutela, sicurezza e salute, violazione delle norme previdenziali, condizioni di lavoro e di vita degradanti, isolamento sociale e sporadico esercizio dei diritti di cittadinanza e accesso al welfare. È un contesto in cui vulnerabilità e stato bisogno dei lavoratori/trici ‘diffondono’ lo sfruttamento lavorativo: lavori forzati e coercitivi, violenze, minacce, sequestro dei documenti, restrizione della libertà personale. Vi incorrono soprattutto lavoratori/trici con status giuridico irregolare e, spesso, sono richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale ospiti di strutture di accoglienza.
  4. Diffuso è il caporalato: un sistema di reclutamento e di gestione illegale della manodopera non qualificata, specie stagionale, in gran parte stranieri/e. È una forma di sfruttamento riconducibile alle agro-mafie. È presente nei trasporti, costruzioni, logistica, servizi di cura e ha tassi elevati in agricoltura. È un’ economia illegale e sommersa di oltre cinque miliardi di euro. L’Osservatorio “Placido Rizzotto” individua 330 aree a rischio, soprattutto nel Meridione: Campania, 24; Puglia, 27; Sicilia, 27; Piemonte, 13; Lombardia, 10. Vi incide il basso funzionamento del mercato del lavoro, lo scarso controllo dello Stato, la violazione delle leggi, contesti carenti di servizi di prossimità, trasporto, alloggi e, più in generale, la presenza di infrastrutture favorenti fenomeni di lavoro nero e di sfruttamento gestiti da un sistema di caporalato consolidato che in larga parte sfugge al controllo degli Ispettorati del lavoro. Questi ultimi sono spesso poco dotati di risorse e strumenti di monitoraggio di tali aree e di contrasto delle irregolarità e violazioni di un ampio spettro di diritti.☺

 

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