Donne protagoniste
8 Giugno 2023
laFonteTV (3191 articles)
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Donne protagoniste

“Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio” (Par. XXXIII,1-3). Si tratta dell’incipit molto noto dell’ultimo canto del Paradiso di Dante, che inizia con la preghiera di s. Bernardo alla Madonna. Il modo in cui Maria è presentata da Dante, alla fine del suo viaggio, rimanda all’immagine delle sovrane medievali, quelle regine che, quando non erano coinvolte in intrighi di corte, si dedicavano soprattutto alla cura dei più deboli della società (pensiamo ad una Elisabetta d’Ungheria, per esempio). Al di là dell’indubbio sistema patriarcale dominante, le donne nel Medioevo spesso avevano ruoli cruciali nel governo dei popoli (si pensi a Matilde di Canossa) per cui nell’immaginario collettivo si proiettava nel cielo quello che si sperimentava sulla terra: Maria non è il vertice del governo celeste (che spetta a Dio) ma ha uno spazio di manovra quasi assoluto a causa del ruolo che ha avuto nella realizzazione del piano di Dio, del suo “programma di governo”. Come gli dèi antichi erano la proiezione del modo in cui l’uomo immaginava il mondo, così anche nel Medioevo cristiano il cielo rifletteva le strutture terrene.
Le parole di Dante ovviamente non sono di circostanza: la fede nel potere di Maria era indiscussa; tuttavia, ciò che si afferma di Maria, deve essere anche un modello che ogni essere umano è chiamato ad incarnare, non per quanto riguarda i privilegi concessi da Dio, ma per l’inclinazione verso il bene di cui Maria è esempio supremo: “La tua benignità non pur soccorre a chi domanda, ma molte fiate liberamente al dimandar precorre” (Par. XXXIII, 16-18). Come a dire: il potere è servizio, il punto più alto della propria dignità coincide con il massimo abbassamento verso le fragilità umane. La madre di Dio è nel punto più alto del Paradiso in quanto è stata nella profondità estrema della bassezza umana, portando in grembo Colui che, pur essendo Dio, ha svuotato sé stesso assumendo la forma dello schiavo (sono le parole di Paolo in Fil 2,6-7). Nella Regina del cielo Dante traccia le linee di come dovrebbe essere un governante in terra: “In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna, quantunque in creatura è di bontate” (Par. XXXIII, 19-21). Quanto più in alto si è tanto più bisogna esprimere il meglio dell’umanità in termini di cura e di bene dell’altro. La bontà, come dice Dante, non deve essere manifestata solo in reazione alle necessità che emergono, ma anche prevedendo in modo lungimirante come promuovere il bene, attraverso una programmazione del miglioramento della vita sociale (liberamente al dimandar precorre).
Tutto quello che finora ho espresso riguardo all’immaginario medievale dove chi era al potere doveva essere un riflesso di Dio (del Dio cristiano) in terra (anche se spesso non lo era), lo voglio trasferire al nostro mondo in cui assistiamo a svolte epocali in cui finalmente le donne occupano, non come gregarie ma come protagoniste, i ruoli di governo, un tempo in cui si fa pressante anche nella chiesa la richiesta di dare il medesimo spazio di azione alle donne e agli uomini; ma anche un tempo in cui si assiste ad uno svilimento delle parole, per cui si possono affermare i valori più alti e allo stesso tempo, con la stessa facilità, si possono calpestare quei valori senza alcun rimorso di coscienza. Nel Medioevo i sovrani e i governanti sentivano il peso della responsabilità, cioè (è questo il senso etimologico della parola) di dover rispondere a Qualcuno, al giudizio di Dio. Oggi invece si afferma l’adesione ai valori come una parte da rappresentare in una scena teatrale. Mi sembra, a questo proposito, che il simbolo più eloquente di questa distanza tra parole e vita sia il grande evento mediatico dell’incoronazione del re d’Inghilterra e consorte in cui sono stati tirati fuori dalla naftalina gli abiti di scena e sono state pronunciate parole solenni di impegno religioso per il governo di una società che di fatto non si professa più cristiana (solo il due per cento degli inglesi anglicani dice di frequentare la chiesa), rendendo ancora più evidente che si stava facendo una grande rappresentazione teatrale, alla stregua di un’opera di Shakespeare interpretata però da attori non professionisti.
Se proiettiamo quest’analisi nella società nostrana, dove non ci sono riti arcaici da mettere in scena, ma non mancano i copioni di parole vuote, risulta ancora più evidente il contrasto tra le affermazioni fatte con molta forza dalla nostra premier e i gesti concreti fatti (o non fatti) in totale contrasto con ciò che dice a parole. Altrimenti come spiegare che una persona che dice: “Sono una donna e sono una cristiana” non si muova a pietà dei molti bambini e donne morti a Cutro, arrivando a pochi metri quasi dalle loro bare per fare un Consiglio dei ministri con spreco di denaro pubblico ma evitando allo stesso tempo di compiere l’atto religioso di visita ai defunti per correre invece a cantare la “Canzone di Marinella” che parla di un morto annegato? E, come se non bastasse, gareggiando anche con il modo di vestire del papa (lapsus freudiano?), ritornare ad affermare agli Stati Generali della natalità che ogni vita è unica e irripetibile, come lo è il DNA, dopo aver distrutto a colpi di mazza e piccone quei pochi residui di stato sociale non toccati già dai governi precedenti i cui capi, almeno, non hanno avuto la faccia tosta di gridare per il mondo di essere cristiani.
Si è detto che sia un evento storico che una donna sia per la prima volta capo del governo in Italia. Penso che il vero evento storico avverrà quando chi governa fa seguire i fatti alle parole e dimostra di sentirsi responsabile, cioè di dover rispondere a qualcuno delle proprie decisioni sulla vita degli altri perché, come disse fra’ Cristoforo a don Rodrigo: “Verrà un giorno” e prima o poi quel giorno arriverà.☺

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