Bibbia: il testo nel contesto
9 Ottobre 2023
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Bibbia: il testo nel contesto

Nel corso degli ultimi due secoli, soprattutto, sono state affinate alcune metodologie di studio della bibbia che possono essere raggruppate sotto la voce: metodo storico-critico. La parola “storico” rimanda al fatto che quei testi che, per i credenti, sono ritenuti Parola di Dio, sono stati scritti in varie fasi ed in epoche diverse da chi li legge; la parola “critico” significa che vengono studiati vagliando tutte le testimonianze sia del testo che del contesto giungendo poi a una valutazione, a un giudizio (in greco krinein, da cui viene il termine “critica”, significa esattamente “giu- dicare, valutare”). Critica in questo senso non significa “parlar male” come si intende nel senso comune del termine, ma solo fare delle considerazioni fondate sul vaglio delle prove disponibili, come deve fare un giudice scrupoloso, ben sapendo che questo giudizio non sarà mai definitivo, perché suscettibile di revisione a causa di nuove prove o di una nuova comprensione di quelle già disponibili.
Non ci sono solo i tre gradi di giudizio delle procedure giudiziarie, ma ci sono infiniti gradi di giudizio, tanti quanti sono i possibili sviluppi della ricerca storica. Per fare due esempi concreti: la ricerca storica sulla bibbia è stata rivoluzionata dalle scoperte fatte a metà del XX secolo a Qumran, vicino al mar Morto, dove sono stati trovati manoscritti biblici ebraici (per lo più frammentari) anche di 1.200 anni più antichi di quelli fino ad allora conosciuti (cioè, il Codice di Aleppo e il Codice di Leningrado); la ricerca sul Nuovo Testamento invece è stata rivoluzionata dalle scoperte fatte dalla fine del XIX secolo e per tutto il XX secolo di frammenti più o meno estesi di manoscritti risalenti anche ai primi tre secoli del cristianesimo, mentre fino ad allora i testi più antichi conosciuti erano un codice del IV secolo (il Vaticano) e due del V secolo (l’Alessandrino e il codice di Beza). In realtà il metodo storico-critico è stato sviluppato, anche se a fatica, soprattutto nell’ambito protestante, mentre nel mondo cattolico gli studiosi come il domenicano p. Lagrange, quando ci provavano, venivano inquisiti, soprattutto durante quel periodo buio che non era il Medioevo, ma la fanatica lotta contro il cosiddetto Modernismo, all’inizio del XX secolo. Il mondo cattolico era inoltre vincolato alla decisione presa al Concilio di Trento, concretizzata con la pubblicazione della vulgata Sisto-clementina alla fine del 1500 e supportata dall’Inquisizione controriformistica secondo cui la traduzione latina attribuita a san Girolamo era la versione “autentica” attraverso cui il cattolico doveva avere accesso alla Parola di Dio, tagliando a monte il confronto con i testi originali in ebraico e greco e a valle le traduzioni nelle lingue parlate. La bibbia e la teologia, così, hanno continuato a parlare in latino fino alla metà del XX secolo. Fu grazie al Movimento biblico, a quello liturgico e a quello ecumenico, sorti proprio nel XX secolo che si cominciò a far comprendere alla chiesa istituzionale l’importanza del ritorno alle fonti, cioè ai Padri e ai testi originali della bibbia, da studiare, quindi, con quel metodo ormai acquisito da chi si era portato avanti negli ultimi quattro secoli, cioè il mondo protestante e accademico soprattutto tedesco e angloamericano.
In ambito cattolico non mancava l’approccio scientifico ma era confinato al mondo accademico, mentre il popolo cristiano rimaneva legato all’unica bibbia ufficializzata dalla chiesa, quella in latino. Dobbiamo guardare quindi al mondo della Riforma per vedere l’affermazione della ricerca storica nell’ambito della bibbia, non perché essa sia stata creata nel mondo protestante, ma perché il protestantesimo, optando per il primato dei testi originali della bibbia, ha fatto propri gli ideali sorti prima della Riforma, strettamente connessi con l’Umanesimo, soprattutto di matrice italiana. Possiamo affermare, infatti, che la nascita dell’idea moderna della storia intesa come “distanza da un passato irripetibile ed esigenza di confrontarsi con esso” (G. Cappelli) è dovuta a Francesco Petrarca, il padre spirituale dell’Umanesimo che, oltre ad essere uno dei maggiori poeti italiani, è stato soprattutto un grande scopritore e studioso dei classici latini, intuendo che era necessario saltare il fossato della cristianità medievale che aveva fatto coincidere la conoscenza con la rivelazione biblica e aveva bollato la cultura antica come paganesimo contro cui lottare, adottando lo schema storico propagandato soprattutto da Agostino. Dei classici si salvava fino ad allora forse solo Virgilio, in quanto visto come profeta dell’avvento di Cristo (non a caso è lui che accompagna Dante nel suo viaggio nell’oltretomba).
Il metodo storico fa esattamente questo: pone i testi nel loro contesto, evitando quella distorsione visiva che appiattisce tutto in una dimensione destoricizzata e, per quanto riguarda la bibbia, evita di vedere quel libro come calato dal cielo, senza nessuna connessione con quegli uomini e quelle comunità che li avevano creati e tramandati in epoche culturalmente diverse da chi lo leggeva nel Medioevo o lo legge nel nostro tempo; un rischio questo, sempre ricorrente, se pensiamo al fondamentalismo biblico di cui abbiamo parlato la volta scorsa. Petrarca non si è occupato di bibbia ma della letteratura latina. Tuttavia, quel modo di leggere gli antichi ha portato a un nuovo approccio anche con la bibbia e i frutti di ciò li vediamo in due grandi esponenti dell’Umanesimo: Lorenzo Valla e poi Erasmo da Rotterdam, da cui partiremo la prossima volta.☺

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