…e lo uccisero
19 Aprile 2010 Share

…e lo uccisero

 

24 marzo 1980 ore 18,26 Oscar Arnulfo Romero, vescovo di San Salvador, sta celebrando l’eucaristia. Un breve sibilo, poi un boato, il cuore dell’arcivescovo è spaccato, il carnefice ha centrato il bersaglio. Quel lunedì Monsignore, come familiarmente lo chiamano, non offre pane e vino sull’altare ma la sua vita. I poveri e gli oppressi perdono un amico e un difensore, ma la Chiesa di Dio trova un nuovo santo martire: san Romero d’America.

Non accade per caso né tanto meno per sbaglio. Oscar Romero si è incamminato sulla strada della profezia e dunque della morte violenta. E’ lui stesso a dargli significato, come Cristo: “Sono stato frequentemente minacciato di morte , dirà il 9 marzo. Come cristiano non credo nella morte senza risurrezione: se mi uccidono, risorgerò nel popolo salvadoregno. Lo dico senza iattanza, con la più grande umiltà. Come pastore sono obbligato, per mandato divino, a dare la vita per coloro che amo, cioè tutti i salvadoregni, anche quelli che mi uccidessero (…). Già da adesso offro a Dio il mio sangue per la redenzione e la risurrezione del Salvador(…). La mia morte, se accettata da Dio, sia per la liberazione del mio popolo e come testimonianza di speranza per il futuro”.

Con l’omelia del 23 marzo firma la sua condanna a morte. Dopo aver elencato gli ultimi orrori di cui si sono macchiate le forze armate dice: “Desidero fare un appello speciale agli uomini dell’esercito e in concreto alla base della guardia nazionale, della polizia, delle caserme. Fratelli! Siete del nostro stesso popolo! Ammazzate i vostri fratelli campesinos! Davanti all’ordine di ammazzare dato da un uomo, deve prevalere la legge di Dio che dice: Non ammazzare(…). In nome di Dio, allora, in nome del popolo sofferente, i cui lamenti salgono al cielo ogni giorno più tumultuosi, vi supplico, vi chiedo, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione”.

Nato nel 1917 a Ciudad Barrios, in Salvador, nel Centra America, una piccola nazione dominata da poche famiglie che detengono terre, potere e privilegi, a 25 anni viene ordinato prete. E’ tutt’altro che progressista. Rigido nell’applicare la disciplina ecclesiastica, ma premuroso verso i poveri. E’ più ammirato che amato. L’unica liberazione che annuncia è quella dal peccato. Nel 1970 dal Vaticano arriva la nomina episcopale perché fedele al Concilio ma fortemente reazionario e allineato col potere dominante. Per lo stesso motivo nel 1977 viene designato come arcivescovo di San Salvador.

A pochi giorni dal suo ingresso in diocesi gli uccidono padre Rutilio Grande, suo caro amico, che spronava la gente a rivendicare i diritti defraudati: “Dio non sta sulle nuvole, coricato su un’amaca. Dio agisce e desidera che voi costruiate il suo regno qui, sulla terra”.

Un martire dà vita a un altro martire perché davanti a quella bara, nella lunga notte di veglia, gli occhi di Romero si aprono e comprende che per essere fedele al vangelo deve dar voce ai senza voce, che la logica della violenza viene da un sistema di esclusione della maggioranza, che il suo  posto è accanto alle vittime, che gloria di Dio è che il povero viva.

Incompreso dal Vaticano, osteggiato da quasi tutti i vescovi salvadoregni, accusato di comunismo da quanti devono salvaguardare i loro interessi, Romero domenica dopo domenica  attraverso una radio che porta la sua voce al di fuori della cattedrale, proclama la parola di Dio interpretando i fatti alla luce del progetto di Dio nella storia. Denuncia, annuncia, anima la speranza, suscita i grandi sogni di fraternità. “Io credo che lungo la storia, dirà un grande biblista, ci siano stati non più di dieci autentici profeti nella linea della tradizione biblica. Monsignor Romero è uno di quelli”.

Un uomo così dava fastidio, doveva morire e lo uccisero. ☺

 

 

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