All’Hotel Rinascimento di Campobasso, sul palco della Presidenza, ci sono quelli di sempre con qualche defezione. Il segretario uscente e semirientrante Senatore Massa ha portato notizie rassicuranti da Roma sul futuro “grande”; gli altri, il Vice Presidente del Consiglio regionale D’Alete e il Presidente della Provincia D’Ascanio glissano sui contenuti del nuovo partito attenendosi strettamente all’ordine del giorno. Nel gioco delle metafore i delegati si sbizzarriscono a disegnare templi pieni di colonne, tutte destinate a sostenere il peso di un’idea più grande; c’è chi addirittura immagina un’agorà, anch’essa con tante colonne a sostenere il cielo.
Alla presidenza dell’assemblea, oltre alla bella ed energica Patrizia, un giovane ottantenne redarguisce i più casciaroni. Che tristezza guardarlo, lui, una vita spesa a denunciare ingiustizie e battersi per il suo partito, è lì, con l’ingrato compito di certificarne il decesso. Eppure, più lo guardo e più lo ammiro; agli anziani gli si legge negli occhi la disperazione di consegnare alle nuove generazioni un mondo peggiore di quello che hanno trovato: arrendersi all’idea di un partito senza colori deve essere veramente drammatico. Io, che ho poco più della metà dei suoi anni, non riesco ad abituarmi all’idea di un partito senz’anima, di un meccanismo che serva solo a garantire se stesso; forse sono solo più vecchio di lui.
Durante il dibattito lo scontro generazionale si ripropone al contrario: i giovani scelgono di difendere il partito che c’è, gli anziani assumono l’onere di abbatterlo per consegnare ai primi un grande partito per un futuro “grande”: non si usano più i soliti aggettivi tradizionali per definire il partito democratico: liberale, laico, socialista, cattolico, ma “grande e nuovo” che tradotto significa: “grande” che contenga tutti e “nuovo” rispetto a quelli vecchi, in buona sostanza un partito senza identità, senza ragione sociale; c’è chi si chiede cosa accadrà quando questo nuovo partito si troverà a decidere se è prevalente il diritto del lavoratore a conservare il posto di lavoro, che gli ha dato la possibilità di farsi una famiglia e dare un senso alla sua vita, o invece viene prima l’interesse dell’impresa che, per diventare più forte e più ricca, deve mandarlo a casa. Quando il principio di libertà ancora una volta confliggerà con quello di uguaglianza saranno i valori del socialismo a prevalere o invece saranno quelli liberali ad avere la meglio? Si potrà ancora credere alle utopie di Campanella o dovremmo accontentarci della carità?
Mi rendo conto che gli strumenti che posseggo per valutare i fenomeni prodotti dal cambiamento non sono più adeguati e per questo non riesco a spiegarmi come si sia potuta costruire una così ampia maggioranza sulla proposta di dichiarare estinti gli ideali del socialismo, le sue conquiste, i suoi sogni.
Come si è arrivato dall’egemonia culturale al Pantheon? Stiamo assecondando la storia perché abbiamo smesso di combattere. Non siamo stati sconfitti dai nostri avversari, ci siamo ritirati, convinti delle loro ragioni: non lottiamo per emancipare il lavoro, vogliamo solo cambiare posto. Che tristezza osservare i nostri divi nell’atto della loro mutazione, glielo leggi negli occhi il desiderio di possedere tre televisioni cento giornali una casa editrice forse anche una squadra di calcio.
L’idea di costruire un partito nuovo, senza anima, è certamente un’idea di successo in una società dove l’anima rappresenta un ingombro, guai ad usare aggettivi ulteriori: né bianco né rosso né verde, democratico e basta, al massimo democratico da esportazione.
Mentre rifletto tra me e me vengo richiamato dal rumore degli altoparlanti che annunciano, senza troppa enfasi, i risultati dell’elezione per il nuovo Segretario del Partito in liquidazione.
Più della metà dei delegati ha votato bianco o ha annullato il voto. Chissà, forse sarà ancora possibile sognare la Città del Sole. ☺
Partito democratico sì, partito democratico no.
All’Hotel Rinascimento di Campobasso, sul palco della Presidenza, ci sono quelli di sempre con qualche defezione. Il segretario uscente e semirientrante Senatore Massa ha portato notizie rassicuranti da Roma sul futuro “grande”; gli altri, il Vice Presidente del Consiglio regionale D’Alete e il Presidente della Provincia D’Ascanio glissano sui contenuti del nuovo partito attenendosi strettamente all’ordine del giorno. Nel gioco delle metafore i delegati si sbizzarriscono a disegnare templi pieni di colonne, tutte destinate a sostenere il peso di un’idea più grande; c’è chi addirittura immagina un’agorà, anch’essa con tante colonne a sostenere il cielo.
Alla presidenza dell’assemblea, oltre alla bella ed energica Patrizia, un giovane ottantenne redarguisce i più casciaroni. Che tristezza guardarlo, lui, una vita spesa a denunciare ingiustizie e battersi per il suo partito, è lì, con l’ingrato compito di certificarne il decesso. Eppure, più lo guardo e più lo ammiro; agli anziani gli si legge negli occhi la disperazione di consegnare alle nuove generazioni un mondo peggiore di quello che hanno trovato: arrendersi all’idea di un partito senza colori deve essere veramente drammatico. Io, che ho poco più della metà dei suoi anni, non riesco ad abituarmi all’idea di un partito senz’anima, di un meccanismo che serva solo a garantire se stesso; forse sono solo più vecchio di lui.
Durante il dibattito lo scontro generazionale si ripropone al contrario: i giovani scelgono di difendere il partito che c’è, gli anziani assumono l’onere di abbatterlo per consegnare ai primi un grande partito per un futuro “grande”: non si usano più i soliti aggettivi tradizionali per definire il partito democratico: liberale, laico, socialista, cattolico, ma “grande e nuovo” che tradotto significa: “grande” che contenga tutti e “nuovo” rispetto a quelli vecchi, in buona sostanza un partito senza identità, senza ragione sociale; c’è chi si chiede cosa accadrà quando questo nuovo partito si troverà a decidere se è prevalente il diritto del lavoratore a conservare il posto di lavoro, che gli ha dato la possibilità di farsi una famiglia e dare un senso alla sua vita, o invece viene prima l’interesse dell’impresa che, per diventare più forte e più ricca, deve mandarlo a casa. Quando il principio di libertà ancora una volta confliggerà con quello di uguaglianza saranno i valori del socialismo a prevalere o invece saranno quelli liberali ad avere la meglio? Si potrà ancora credere alle utopie di Campanella o dovremmo accontentarci della carità?
Mi rendo conto che gli strumenti che posseggo per valutare i fenomeni prodotti dal cambiamento non sono più adeguati e per questo non riesco a spiegarmi come si sia potuta costruire una così ampia maggioranza sulla proposta di dichiarare estinti gli ideali del socialismo, le sue conquiste, i suoi sogni.
Come si è arrivato dall’egemonia culturale al Pantheon? Stiamo assecondando la storia perché abbiamo smesso di combattere. Non siamo stati sconfitti dai nostri avversari, ci siamo ritirati, convinti delle loro ragioni: non lottiamo per emancipare il lavoro, vogliamo solo cambiare posto. Che tristezza osservare i nostri divi nell’atto della loro mutazione, glielo leggi negli occhi il desiderio di possedere tre televisioni cento giornali una casa editrice forse anche una squadra di calcio.
L’idea di costruire un partito nuovo, senza anima, è certamente un’idea di successo in una società dove l’anima rappresenta un ingombro, guai ad usare aggettivi ulteriori: né bianco né rosso né verde, democratico e basta, al massimo democratico da esportazione.
Mentre rifletto tra me e me vengo richiamato dal rumore degli altoparlanti che annunciano, senza troppa enfasi, i risultati dell’elezione per il nuovo Segretario del Partito in liquidazione.
Più della metà dei delegati ha votato bianco o ha annullato il voto. Chissà, forse sarà ancora possibile sognare la Città del Sole. ☺
All’Hotel Rinascimento di Campobasso, sul palco della Presidenza, ci sono quelli di sempre con qualche defezione. Il segretario uscente e semirientrante Senatore Massa ha portato notizie rassicuranti da Roma sul futuro “grande”; gli altri, il Vice Presidente del Consiglio regionale D’Alete e il Presidente della Provincia D’Ascanio glissano sui contenuti del nuovo partito attenendosi strettamente all’ordine del giorno. Nel gioco delle metafore i delegati si sbizzarriscono a disegnare templi pieni di colonne, tutte destinate a sostenere il peso di un’idea più grande; c’è chi addirittura immagina un’agorà, anch’essa con tante colonne a sostenere il cielo.
Alla presidenza dell’assemblea, oltre alla bella ed energica Patrizia, un giovane ottantenne redarguisce i più casciaroni. Che tristezza guardarlo, lui, una vita spesa a denunciare ingiustizie e battersi per il suo partito, è lì, con l’ingrato compito di certificarne il decesso. Eppure, più lo guardo e più lo ammiro; agli anziani gli si legge negli occhi la disperazione di consegnare alle nuove generazioni un mondo peggiore di quello che hanno trovato: arrendersi all’idea di un partito senza colori deve essere veramente drammatico. Io, che ho poco più della metà dei suoi anni, non riesco ad abituarmi all’idea di un partito senz’anima, di un meccanismo che serva solo a garantire se stesso; forse sono solo più vecchio di lui.
Durante il dibattito lo scontro generazionale si ripropone al contrario: i giovani scelgono di difendere il partito che c’è, gli anziani assumono l’onere di abbatterlo per consegnare ai primi un grande partito per un futuro “grande”: non si usano più i soliti aggettivi tradizionali per definire il partito democratico: liberale, laico, socialista, cattolico, ma “grande e nuovo” che tradotto significa: “grande” che contenga tutti e “nuovo” rispetto a quelli vecchi, in buona sostanza un partito senza identità, senza ragione sociale; c’è chi si chiede cosa accadrà quando questo nuovo partito si troverà a decidere se è prevalente il diritto del lavoratore a conservare il posto di lavoro, che gli ha dato la possibilità di farsi una famiglia e dare un senso alla sua vita, o invece viene prima l’interesse dell’impresa che, per diventare più forte e più ricca, deve mandarlo a casa. Quando il principio di libertà ancora una volta confliggerà con quello di uguaglianza saranno i valori del socialismo a prevalere o invece saranno quelli liberali ad avere la meglio? Si potrà ancora credere alle utopie di Campanella o dovremmo accontentarci della carità?
Mi rendo conto che gli strumenti che posseggo per valutare i fenomeni prodotti dal cambiamento non sono più adeguati e per questo non riesco a spiegarmi come si sia potuta costruire una così ampia maggioranza sulla proposta di dichiarare estinti gli ideali del socialismo, le sue conquiste, i suoi sogni.
Come si è arrivato dall’egemonia culturale al Pantheon? Stiamo assecondando la storia perché abbiamo smesso di combattere. Non siamo stati sconfitti dai nostri avversari, ci siamo ritirati, convinti delle loro ragioni: non lottiamo per emancipare il lavoro, vogliamo solo cambiare posto. Che tristezza osservare i nostri divi nell’atto della loro mutazione, glielo leggi negli occhi il desiderio di possedere tre televisioni cento giornali una casa editrice forse anche una squadra di calcio.
L’idea di costruire un partito nuovo, senza anima, è certamente un’idea di successo in una società dove l’anima rappresenta un ingombro, guai ad usare aggettivi ulteriori: né bianco né rosso né verde, democratico e basta, al massimo democratico da esportazione.
Mentre rifletto tra me e me vengo richiamato dal rumore degli altoparlanti che annunciano, senza troppa enfasi, i risultati dell’elezione per il nuovo Segretario del Partito in liquidazione.
Più della metà dei delegati ha votato bianco o ha annullato il voto. Chissà, forse sarà ancora possibile sognare la Città del Sole. ☺
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