“Coloro che vogliono la guerra preparano la gioventù alla guerra; ma coloro che vogliono la pace hanno trascurato l’infanzia e la giovinezza, giacché non hanno saputo organizzarle per la pace”. Inoltre “…evitare i conflitti è opera della politica: costruire la pace è opera dell’educazione” così si esprimeva Maria Montessori sulla cui tomba è impresso: “Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo”. Partirei da queste intense affermazioni per descrivere, brevemente, quello che, secondo me, dovrebbe rappresentare un percorso di educazione alla pace ed ai valori in generale.
Posto che la parola pace racchiude in sé una grande quantità di valori ed ideali essa assume valenza a seconda dei contesti in cui la stessa viene applicata. Nel linguaggio comune si identifica con serenità, amore, amicizia, felicità o, se rapportata a stati d’animo, si traduce in pacatezza, tranquillità. Nella versione negativa è sinonimo di assenza di guerre, di conflitti, di lotte. Il concetto di pace positiva crea un ambiente educativo solidaristico, non competitivo, che costruisce relazioni ed interazioni positive. Poiché l’umanità ha costruito una cultura di violenza basata sull’eterna conflittualità, occorre opporre un nuovo paradigma mentale che promuova una cultura della pace, attraverso il rispetto dei diritti umani, la difesa dell’ambiente, l’equa distribuzione delle risorse naturali ed economiche, l’accettazione della diversità in quanto ricchezza. La pace che vogliamo realizzare non è tranquillità, evitare i conflitti necessari, mancanza di impegno; al contrario è capacità di modificare i propri comportamenti, lottare per costruire una comunità, aprirsi alla globalizzazione dei diritti, risvegliare le coscienze all’impegno civico, difendendo il diritto di obiettare e non obbedire passivamente alle leggi ingiuste, – l’obbedienza non è ormai più una virtù – ossia educare il singolo alla dimensione sociale, affinché si concretizzi il principio della responsabilità, riprendendosi il potere dal basso.
Educare alla pace significa in primis educare alla politica, intendendo per politica il sistema di regole, istituzioni e procedure. La lotta per la costruzione di un mondo pacifista deve essere sempre al centro del dibattito pubblico, politico. L’educazione, infatti, è soprattutto questione di rapporto, di comunicazione tra soggetti; in quanto frutto di un’educazione che deve partire dall’età scolare è crescita personale, pacificazione interiore dell’essere umano, che deve essere condotta con metodologie didattiche adeguate. I programmi educativi devono condurre alla soluzione non violenta dei conflitti. Pace e giustizia sono un binomio imprescindibile. È attraverso la realizzazione della giustizia sociale, dello sviluppo, della democrazia, del rispetto della dignità umana, della libertà e dell’uguaglianza che si crea la pace. L’educazione alla pace ha come fine l’abolizione di un sistema relazionale verticale tra docente ed alunno, l’eliminazione di un sistema gerarchico diffuso. La creatività e l’esperienza personale costruiscono saperi. L’impegno educativo non coinvolge solo la scuola, ma deve interessare tutte le agenzie sociali (famiglia, comunità). L’educazione alla pace è un’esperienza, un cammino, un processo dinamico, è scuola della testimonianza che esige un passaggio dalla predica alla pratica attraverso la partecipazione attiva ai processi di cambiamento.
Il 31 dicembre scorso ho aderito alla 46^ Marcia della pace, organizzata dalla Cei, Pax Cristi e Caritas, il cui tema è stato: “Fraternità, fondamento e via per la Pace”. Un folto e colorato corteo si è snodato lungo le strade di Campobasso, sfidando le locali gelide temperature. La Marcia per la pace ha rappresentato l’evento finale di un articolato percorso fatto di incontri, seminari e riflessioni sul tema della Pace declinata nelle sue molteplici manifestazioni. Il corteo, aperto dalla Croce di Lampedusa, realizzata con pezzi di barconi che hanno trasportato i “disperati del mare”, ha attraversato parte della città, sostando in luoghi di particolare significato: la futura “Casa degli Angeli”, centro di accoglienza della Caritas, l’Università, luogo per eccellenza della diffusione della cultura, il carcere, luogo di massima espressione della sofferenza umana, il quartiere di Sant’Antonio Abate, centro multiculturale di integrazione ed accoglienza, per terminare in Cattedrale con un momento di condivisione eucaristica. Monsignor Bregantini ha invitato tutti i presenti, comunità e politici, a mettere al bando la guerra, investendo le risorse necessarie per acquistare gli F35, diffusori di morte, in trattori, promotori di lavoro, di vita e dignità umana. E già, perché uno dei fondamenti della pace sociale è senza dubbio il lavoro che, allo stato, non c’è e neanche sembra prospettarsi all’orizzonte. Chissà quale buon proposito hanno espresso i tanti politici presenti alla Marcia…
“Coloro che vogliono la guerra preparano la gioventù alla guerra; ma coloro che vogliono la pace hanno trascurato l’infanzia e la giovinezza, giacché non hanno saputo organizzarle per la pace”. Inoltre “…evitare i conflitti è opera della politica: costruire la pace è opera dell’educazione” così si esprimeva Maria Montessori sulla cui tomba è impresso: “Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo”. Partirei da queste intense affermazioni per descrivere, brevemente, quello che, secondo me, dovrebbe rappresentare un percorso di educazione alla pace ed ai valori in generale.
Posto che la parola pace racchiude in sé una grande quantità di valori ed ideali essa assume valenza a seconda dei contesti in cui la stessa viene applicata. Nel linguaggio comune si identifica con serenità, amore, amicizia, felicità o, se rapportata a stati d’animo, si traduce in pacatezza, tranquillità. Nella versione negativa è sinonimo di assenza di guerre, di conflitti, di lotte. Il concetto di pace positiva crea un ambiente educativo solidaristico, non competitivo, che costruisce relazioni ed interazioni positive. Poiché l’umanità ha costruito una cultura di violenza basata sull’eterna conflittualità, occorre opporre un nuovo paradigma mentale che promuova una cultura della pace, attraverso il rispetto dei diritti umani, la difesa dell’ambiente, l’equa distribuzione delle risorse naturali ed economiche, l’accettazione della diversità in quanto ricchezza. La pace che vogliamo realizzare non è tranquillità, evitare i conflitti necessari, mancanza di impegno; al contrario è capacità di modificare i propri comportamenti, lottare per costruire una comunità, aprirsi alla globalizzazione dei diritti, risvegliare le coscienze all’impegno civico, difendendo il diritto di obiettare e non obbedire passivamente alle leggi ingiuste, – l’obbedienza non è ormai più una virtù – ossia educare il singolo alla dimensione sociale, affinché si concretizzi il principio della responsabilità, riprendendosi il potere dal basso.
Educare alla pace significa in primis educare alla politica, intendendo per politica il sistema di regole, istituzioni e procedure. La lotta per la costruzione di un mondo pacifista deve essere sempre al centro del dibattito pubblico, politico. L’educazione, infatti, è soprattutto questione di rapporto, di comunicazione tra soggetti; in quanto frutto di un’educazione che deve partire dall’età scolare è crescita personale, pacificazione interiore dell’essere umano, che deve essere condotta con metodologie didattiche adeguate. I programmi educativi devono condurre alla soluzione non violenta dei conflitti. Pace e giustizia sono un binomio imprescindibile. È attraverso la realizzazione della giustizia sociale, dello sviluppo, della democrazia, del rispetto della dignità umana, della libertà e dell’uguaglianza che si crea la pace. L’educazione alla pace ha come fine l’abolizione di un sistema relazionale verticale tra docente ed alunno, l’eliminazione di un sistema gerarchico diffuso. La creatività e l’esperienza personale costruiscono saperi. L’impegno educativo non coinvolge solo la scuola, ma deve interessare tutte le agenzie sociali (famiglia, comunità). L’educazione alla pace è un’esperienza, un cammino, un processo dinamico, è scuola della testimonianza che esige un passaggio dalla predica alla pratica attraverso la partecipazione attiva ai processi di cambiamento.
Il 31 dicembre scorso ho aderito alla 46^ Marcia della pace, organizzata dalla Cei, Pax Cristi e Caritas, il cui tema è stato: “Fraternità, fondamento e via per la Pace”. Un folto e colorato corteo si è snodato lungo le strade di Campobasso, sfidando le locali gelide temperature. La Marcia per la pace ha rappresentato l’evento finale di un articolato percorso fatto di incontri, seminari e riflessioni sul tema della Pace declinata nelle sue molteplici manifestazioni. Il corteo, aperto dalla Croce di Lampedusa, realizzata con pezzi di barconi che hanno trasportato i “disperati del mare”, ha attraversato parte della città, sostando in luoghi di particolare significato: la futura “Casa degli Angeli”, centro di accoglienza della Caritas, l’Università, luogo per eccellenza della diffusione della cultura, il carcere, luogo di massima espressione della sofferenza umana, il quartiere di Sant’Antonio Abate, centro multiculturale di integrazione ed accoglienza, per terminare in Cattedrale con un momento di condivisione eucaristica. Monsignor Bregantini ha invitato tutti i presenti, comunità e politici, a mettere al bando la guerra, investendo le risorse necessarie per acquistare gli F35, diffusori di morte, in trattori, promotori di lavoro, di vita e dignità umana. E già, perché uno dei fondamenti della pace sociale è senza dubbio il lavoro che, allo stato, non c’è e neanche sembra prospettarsi all’orizzonte. Chissà quale buon proposito hanno espresso i tanti politici presenti alla Marcia…
“Coloro che vogliono la guerra preparano la gioventù alla guerra; ma coloro che vogliono la pace hanno trascurato l’infanzia e la giovinezza, giacché non hanno saputo organizzarle per la pace”.
“Coloro che vogliono la guerra preparano la gioventù alla guerra; ma coloro che vogliono la pace hanno trascurato l’infanzia e la giovinezza, giacché non hanno saputo organizzarle per la pace”. Inoltre “…evitare i conflitti è opera della politica: costruire la pace è opera dell’educazione” così si esprimeva Maria Montessori sulla cui tomba è impresso: “Io prego i cari bambini, che possono tutto, di unirsi a me per la costruzione della pace negli uomini e nel mondo”. Partirei da queste intense affermazioni per descrivere, brevemente, quello che, secondo me, dovrebbe rappresentare un percorso di educazione alla pace ed ai valori in generale.
Posto che la parola pace racchiude in sé una grande quantità di valori ed ideali essa assume valenza a seconda dei contesti in cui la stessa viene applicata. Nel linguaggio comune si identifica con serenità, amore, amicizia, felicità o, se rapportata a stati d’animo, si traduce in pacatezza, tranquillità. Nella versione negativa è sinonimo di assenza di guerre, di conflitti, di lotte. Il concetto di pace positiva crea un ambiente educativo solidaristico, non competitivo, che costruisce relazioni ed interazioni positive. Poiché l’umanità ha costruito una cultura di violenza basata sull’eterna conflittualità, occorre opporre un nuovo paradigma mentale che promuova una cultura della pace, attraverso il rispetto dei diritti umani, la difesa dell’ambiente, l’equa distribuzione delle risorse naturali ed economiche, l’accettazione della diversità in quanto ricchezza. La pace che vogliamo realizzare non è tranquillità, evitare i conflitti necessari, mancanza di impegno; al contrario è capacità di modificare i propri comportamenti, lottare per costruire una comunità, aprirsi alla globalizzazione dei diritti, risvegliare le coscienze all’impegno civico, difendendo il diritto di obiettare e non obbedire passivamente alle leggi ingiuste, – l’obbedienza non è ormai più una virtù – ossia educare il singolo alla dimensione sociale, affinché si concretizzi il principio della responsabilità, riprendendosi il potere dal basso.
Educare alla pace significa in primis educare alla politica, intendendo per politica il sistema di regole, istituzioni e procedure. La lotta per la costruzione di un mondo pacifista deve essere sempre al centro del dibattito pubblico, politico. L’educazione, infatti, è soprattutto questione di rapporto, di comunicazione tra soggetti; in quanto frutto di un’educazione che deve partire dall’età scolare è crescita personale, pacificazione interiore dell’essere umano, che deve essere condotta con metodologie didattiche adeguate. I programmi educativi devono condurre alla soluzione non violenta dei conflitti. Pace e giustizia sono un binomio imprescindibile. È attraverso la realizzazione della giustizia sociale, dello sviluppo, della democrazia, del rispetto della dignità umana, della libertà e dell’uguaglianza che si crea la pace. L’educazione alla pace ha come fine l’abolizione di un sistema relazionale verticale tra docente ed alunno, l’eliminazione di un sistema gerarchico diffuso. La creatività e l’esperienza personale costruiscono saperi. L’impegno educativo non coinvolge solo la scuola, ma deve interessare tutte le agenzie sociali (famiglia, comunità). L’educazione alla pace è un’esperienza, un cammino, un processo dinamico, è scuola della testimonianza che esige un passaggio dalla predica alla pratica attraverso la partecipazione attiva ai processi di cambiamento.
Il 31 dicembre scorso ho aderito alla 46^ Marcia della pace, organizzata dalla Cei, Pax Cristi e Caritas, il cui tema è stato: “Fraternità, fondamento e via per la Pace”. Un folto e colorato corteo si è snodato lungo le strade di Campobasso, sfidando le locali gelide temperature. La Marcia per la pace ha rappresentato l’evento finale di un articolato percorso fatto di incontri, seminari e riflessioni sul tema della Pace declinata nelle sue molteplici manifestazioni. Il corteo, aperto dalla Croce di Lampedusa, realizzata con pezzi di barconi che hanno trasportato i “disperati del mare”, ha attraversato parte della città, sostando in luoghi di particolare significato: la futura “Casa degli Angeli”, centro di accoglienza della Caritas, l’Università, luogo per eccellenza della diffusione della cultura, il carcere, luogo di massima espressione della sofferenza umana, il quartiere di Sant’Antonio Abate, centro multiculturale di integrazione ed accoglienza, per terminare in Cattedrale con un momento di condivisione eucaristica. Monsignor Bregantini ha invitato tutti i presenti, comunità e politici, a mettere al bando la guerra, investendo le risorse necessarie per acquistare gli F35, diffusori di morte, in trattori, promotori di lavoro, di vita e dignità umana. E già, perché uno dei fondamenti della pace sociale è senza dubbio il lavoro che, allo stato, non c’è e neanche sembra prospettarsi all’orizzonte. Chissà quale buon proposito hanno espresso i tanti politici presenti alla Marcia…
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