Emma la rossa
7 Luglio 2022
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Emma la rossa

Le preziose: con questo titolo apro articoli che parlano di donne di ieri, l’altro ieri, oggi che, come le preziose del settecento hanno agito o vissuto per lasciare il testimone alle altre.

Chi sei e dove sei mio lettore? Mi leggi? Da quanto tempo mi leggi? Non so nulla di te: avrò scritto centinaia di articoli, da quando è nato questo giornale, sulle donne uccise, sulle donne maltrattate, sulle donne che hanno avuto delle vittorie, sulle donne di ieri, di oggi. E tu quante volte mi hai letto, quante volte hai sottolineato e che cosa rimarrà di tutto questo che ho scritto e a che cosa serve?  Io credo nelle parole che producono azioni e credo in questo giornale proprio perché la sua lettura dovrebbe produrre azioni.

Ma si possono produrre azioni di senso in questo momento in cui cadono bombe, la guerra divampa e viene richiesta ovunque come soluzione? I massacri non ci fermano, anzi deflagrano in tv, sui social, nei media.

Ho iniziato tempo fa, la collana “le preziose” per delineare profili di donne di ieri di oggi che siano delle piccole luci per il nostro cammino. Serve oggi a qualcosa questo? Il futuro mi sembra scuro, incerto. Forse per questo ho scelto, oggi, una donna rivoluzionaria, esuberante, impetuosa, appassionata, innamorata della danza e degli uomini; combattente, intransigente e instancabile, rivoltosa nei confronti di ogni forma di fedeltà e di sottomissione.

Ho davanti una fotografia sbiadita, quasi senza tempo che fa vedere una donna sul predellino di una macchina che arringa la folla a Union Square: siamo nel 1916 a New York e l’oratrice, con passione e veemenza, sta perorando  una causa di cui è proibito parlare. Il suo discorso infiammato è contro la legge che condanna l’aborto e vieta la diffusione di ogni pubblicazione sul controllo delle nascite. In quegli anni combattere per il diritto delle donne a gestire il proprio corpo non era un’impresa facile e si finiva facilmente in prigione ed Emma, infatti, viene arrestata ma non sarà né la prima né l’ultima volta perché il suo pensiero è sempre considerato sovversivo e pericoloso.

Tuttavia il desiderio di lottare contro le ingiustizie continua ad essere più potente di se stessa e non l’abbandona in tutta la sua movimentata esistenza che inizia in Lituania nel 1869, da una modesta famiglia che per cercare fortuna si sposta a San Pietroburgo, dove il padre apre una piccola bottega. Il padre, di indole violenta e autoritaria, trova ridicolo che la ragazza voglia istruirsi, butta gli amati libri nel camino “le ragazze non hanno bisogno di imparare molto; tutto quello che una figlia ebrea deve sapere è come cucinare le polpette di pesce e dare all’uomo figli in abbondanza”. Ma sono proprio i libri, quelli proibiti, che spingono Emma a ribellarsi.

Trova la forza di rifiutare il matrimonio che il padre le aveva combinato e dopo aver minacciato di buttarsi nel fiume Neva se non avesse potuto decidere del proprio destino, finalmente parte per l’America a 15 anni, con 25 rubli in tasca e un fagotto di stracci.

Nessuno sarà più in grado di fermare la sua passione di vivere: entra in contatto con gli operai delle fabbriche e con tutti quanti gli immigrati, gli emarginati del grande capitalismo. Emma trova lavoro in una manifattura tessile: per 10 ore e mezzo al giorno cuce soprabiti a 2,50 $ alla settimana e in questo mondo di disuguaglianze e soprusi comincia a formare la sua coscienza politica e a sentire sempre più urgente il bisogno di propagandare idee di giustizia e libertà.

Quando sale per la prima volta sul palco capisce che quella è la sua vocazione “iniziai a parlare parole che non mi ero mai sentita pronunciare prima, si riversavano fuori da me sempre più veloci, arrivarono con intensità appassionata e il pubblico era scomparso. Ero consapevole solo delle mie parole, della mia canzone estatica”. Il suo pensiero libertario non nasce da sterili teorie imparate sui libri, le appartiene fisicamente, è necessario come l’aria che respira.

Accusata di “incitazione alla sommossa” a soli 24 anni, in tribunale risponde alla domanda del giudice: -perché allora non lascia questo paese se non le piacciono le sue leggi? – E dove dovrei andare? Ovunque sulla terra le leggi sono contro i poveri. Mi dicono che così non andrò in paradiso: ma io non ci voglio andare affatto.

Il luglio del 1892 Henry Clay Frick, uno degli industriali dell’acciaio più potenti del paese, compie molti soprusi nei riguardi della classe operaia che entra in agitazione: Frick assolda un’agenzia privata che apre il fuoco contro gli scioperanti; muoiono nove persone tra cui un bambino. Questo terribile episodio convince il compagno di Emma a vendicarsi e uccidere l’industriale. Non ci riesce per fortuna, ma lo ferisce, viene processato e condannato a 22 anni e da questo momento per Emma Goldman è difficilissimo vivere in America: “potrei essere arrestata processata, messa in carcere ma non sto mai zitta”, dichiara impavida  nel 1894.

Siamo all’avvento della prima guerra mondiale, Emma capeggia non solo i suoi comizi ma anche una rivista che fonda nel 1906, Mother Earth, che si propone di costruire l’uomo libero e senza impedimenti. Viene espulsa e rimandata in Russia dove lei torna, dopo quasi cinquant’anni, con l’illusione del nuovo corso di Lenin: ma viene subito disillusa perché vede che la realtà sta calpestando tutti i valori per cui milioni di russi avevano combattuto.

Non può credere che le libertà di pensiero e di parola vengano di nuovo negate in uno stato prettamente burocratico, accentratore e corrotto; scrive persino una lettera a Lenin dichiarando “se l’attuale situazione si prolunga la stessa parola socialismo diventerà una maledizione”; dopo due anni passati in Russia viaggia e propaga le sue idee ovunque nel mondo, sempre seguendo le finalità di emarginati e deboli.

Muore in Canada nel 1940 in seguito ad un malore durante un comizio. Uno dei suoi più cari amici, l’avvocato Harry Weinberger, pronuncia una vibrante orazione funebre scandita dai singhiozzi: “durante la sua esistenza Emma Goldman è stata messa al bando, imprigionata, aggredita, deportata da queste terre per aver difeso ciò che tutto il mondo ormai ammette di dover instaurare: un mondo senza guerra, un mondo senza povertà, un mondo di speranza e di umana fratellanza”. Sulla sua tomba, uno scultore ne scolpirà il ritratto, incidendo anche una delle sue più celebri frasi: “non è la libertà che deve scendere verso il popolo. È il popolo che deve levarsi verso la libertà”. Ma la frase che le appartiene e le calza meglio è per me: “se non posso ballare non è la mia rivoluzione”.☺

 

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