La rivoluzione industriale prossima sarà del “non si butta via niente”, quella, per intenderci, dei nostri nonni e che quelli che sanno parlare, e soprattutto comunicare in modo efficace e forbito, chiamano Circular economy. Questo nuovo modo di pensare è parte di un rivisitato concetto di proprietà, basato sulla condivisione, più propriamente detto sharing economy. È il rimettere in circolazione quanto è già stato utilizzato, che spingerà anche le aziende a concepire i prodotti partendo dal presupposto che ogni merce diventerà qualcos’altro, senza mai trasformarsi in un “rifiuto” o in oggetti di cui doversi disfare. Siamo di fronte ad una vera e propria miniera d’oro che a partire dai rifiuti urbani, può estendersi agli scarti di lavorazioni agricole e industriali, fino ad arrivare ai prodotti giunti alla fine del proprio ciclo di vita. Una modalità intelligente ed economicamente sostenibile di contrastare e contenere sia il costo, destinato a crescere, che lo sfruttamento delle materie prime, notoriamente non rinnovabili. A titolo di esempio, è stato calcolato che, applicando questi principi, il costo di un telefono cellulare può essere ridotto di circa il 50%. Quello di una lavatrice di alta qualità può essere abbattuto di un terzo se viene noleggiata, piuttosto che venduta e se, al termine degli anni di utilizzo, i suoi componenti vengono riciclati e destinati ad un nuovo elettrodomestico.
In termini occupazionali, una volta messo a punto l’intero processo produttivo, focalizzato su una catena di fornitura circolare, capace di incrementare il livello di riciclabilità, riutilizzo e rimanifattura dei diversi prodotti, si prevede la possibilità della creazione, nel giro di qualche anno, di migliaia di posti di lavoro. La stessa Commissione dell’Unione Europea ha, di recente, approvato una serie di misure tese ad aumentare il tasso di riciclo negli Stati membri e facilitare la transizione verso “un’economia circolare”: un modello che pone al centro la sostenibilità del sistema, in cui non ci sono prodotti di scarto e in cui le materie vengono costantemente riutilizzate. Sistema opposto a quello definito “lineare”, che parte dalla materia prima e arriva al rifiuto. Tra le proposte della Commissione Europea, che stanno per essere acquisite dal Consiglio e dal Parlamento per la definitiva approvazione, ce ne sono alcune che dovrebbero diventare giuridicamente vincolanti per gli Stati dell’UE: il riciclaggio del 70% dei rifiuti urbani e dell’80% dei rifiuti d’imballaggio (vetro, carta, plastica, ecc.) entro il 2030 e a partire dal 2015, anche il divieto di collocare in discarica i rifiuti riciclabili e biodegradabili.
È evidente che la strategia per l’economia circolare deve possedere, per forza di cose, una visione ampia, nel senso che non può limitarsi alle percentuali, pur importanti, indicate, ma saranno, inevitabilmente, necessari interventi su una più puntuale definizione normativa. I dati del 2015 mostrano che l’industria del riciclo, in Italia, si conferma pilastro dell’economia circolare e continua a crescere.
Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi sui cambiamenti climatici, appena concordati a Parigi, in relazione alle ridotte emissioni di CO2, il riciclo di materia può svolgere una funzione fondamentale, soprattutto per il risparmio di energia nella produzione di materie prime. Sarà sempre più necessario scoraggiare lo smaltimento in discarica e migliorare la qualità dei materiali raccolti, nonché razionalizzare e semplificare il contesto normativo, anche uniformando le diverse legislazioni regionali.☺
La rivoluzione industriale prossima sarà del “non si butta via niente”, quella, per intenderci, dei nostri nonni e che quelli che sanno parlare, e soprattutto comunicare in modo efficace e forbito, chiamano Circular economy. Questo nuovo modo di pensare è parte di un rivisitato concetto di proprietà, basato sulla condivisione, più propriamente detto sharing economy. È il rimettere in circolazione quanto è già stato utilizzato, che spingerà anche le aziende a concepire i prodotti partendo dal presupposto che ogni merce diventerà qualcos’altro, senza mai trasformarsi in un “rifiuto” o in oggetti di cui doversi disfare. Siamo di fronte ad una vera e propria miniera d’oro che a partire dai rifiuti urbani, può estendersi agli scarti di lavorazioni agricole e industriali, fino ad arrivare ai prodotti giunti alla fine del proprio ciclo di vita. Una modalità intelligente ed economicamente sostenibile di contrastare e contenere sia il costo, destinato a crescere, che lo sfruttamento delle materie prime, notoriamente non rinnovabili. A titolo di esempio, è stato calcolato che, applicando questi principi, il costo di un telefono cellulare può essere ridotto di circa il 50%. Quello di una lavatrice di alta qualità può essere abbattuto di un terzo se viene noleggiata, piuttosto che venduta e se, al termine degli anni di utilizzo, i suoi componenti vengono riciclati e destinati ad un nuovo elettrodomestico.
In termini occupazionali, una volta messo a punto l’intero processo produttivo, focalizzato su una catena di fornitura circolare, capace di incrementare il livello di riciclabilità, riutilizzo e rimanifattura dei diversi prodotti, si prevede la possibilità della creazione, nel giro di qualche anno, di migliaia di posti di lavoro. La stessa Commissione dell’Unione Europea ha, di recente, approvato una serie di misure tese ad aumentare il tasso di riciclo negli Stati membri e facilitare la transizione verso “un’economia circolare”: un modello che pone al centro la sostenibilità del sistema, in cui non ci sono prodotti di scarto e in cui le materie vengono costantemente riutilizzate. Sistema opposto a quello definito “lineare”, che parte dalla materia prima e arriva al rifiuto. Tra le proposte della Commissione Europea, che stanno per essere acquisite dal Consiglio e dal Parlamento per la definitiva approvazione, ce ne sono alcune che dovrebbero diventare giuridicamente vincolanti per gli Stati dell’UE: il riciclaggio del 70% dei rifiuti urbani e dell’80% dei rifiuti d’imballaggio (vetro, carta, plastica, ecc.) entro il 2030 e a partire dal 2015, anche il divieto di collocare in discarica i rifiuti riciclabili e biodegradabili.
È evidente che la strategia per l’economia circolare deve possedere, per forza di cose, una visione ampia, nel senso che non può limitarsi alle percentuali, pur importanti, indicate, ma saranno, inevitabilmente, necessari interventi su una più puntuale definizione normativa. I dati del 2015 mostrano che l’industria del riciclo, in Italia, si conferma pilastro dell’economia circolare e continua a crescere.
Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi sui cambiamenti climatici, appena concordati a Parigi, in relazione alle ridotte emissioni di CO2, il riciclo di materia può svolgere una funzione fondamentale, soprattutto per il risparmio di energia nella produzione di materie prime. Sarà sempre più necessario scoraggiare lo smaltimento in discarica e migliorare la qualità dei materiali raccolti, nonché razionalizzare e semplificare il contesto normativo, anche uniformando le diverse legislazioni regionali.☺
Il ritorno all'utilizzo di quanto non utilizzato è nella Sharing economy, vale a dire: rimettere in circolazione quanto è già stato utilizzato, che spingerà anche le aziende a concepire i prodotti partendo dal presupposto che ogni merce diventerà qualcos’altro, senza mai trasformarsi in un “rifiuto” ; una vera e propria miniera d’oro che a partire dai rifiuti urbani, può estendersi agli scarti di lavorazioni agricole e industriali.
La rivoluzione industriale prossima sarà del “non si butta via niente”, quella, per intenderci, dei nostri nonni e che quelli che sanno parlare, e soprattutto comunicare in modo efficace e forbito, chiamano Circular economy. Questo nuovo modo di pensare è parte di un rivisitato concetto di proprietà, basato sulla condivisione, più propriamente detto sharing economy. È il rimettere in circolazione quanto è già stato utilizzato, che spingerà anche le aziende a concepire i prodotti partendo dal presupposto che ogni merce diventerà qualcos’altro, senza mai trasformarsi in un “rifiuto” o in oggetti di cui doversi disfare. Siamo di fronte ad una vera e propria miniera d’oro che a partire dai rifiuti urbani, può estendersi agli scarti di lavorazioni agricole e industriali, fino ad arrivare ai prodotti giunti alla fine del proprio ciclo di vita. Una modalità intelligente ed economicamente sostenibile di contrastare e contenere sia il costo, destinato a crescere, che lo sfruttamento delle materie prime, notoriamente non rinnovabili. A titolo di esempio, è stato calcolato che, applicando questi principi, il costo di un telefono cellulare può essere ridotto di circa il 50%. Quello di una lavatrice di alta qualità può essere abbattuto di un terzo se viene noleggiata, piuttosto che venduta e se, al termine degli anni di utilizzo, i suoi componenti vengono riciclati e destinati ad un nuovo elettrodomestico.
In termini occupazionali, una volta messo a punto l’intero processo produttivo, focalizzato su una catena di fornitura circolare, capace di incrementare il livello di riciclabilità, riutilizzo e rimanifattura dei diversi prodotti, si prevede la possibilità della creazione, nel giro di qualche anno, di migliaia di posti di lavoro. La stessa Commissione dell’Unione Europea ha, di recente, approvato una serie di misure tese ad aumentare il tasso di riciclo negli Stati membri e facilitare la transizione verso “un’economia circolare”: un modello che pone al centro la sostenibilità del sistema, in cui non ci sono prodotti di scarto e in cui le materie vengono costantemente riutilizzate. Sistema opposto a quello definito “lineare”, che parte dalla materia prima e arriva al rifiuto. Tra le proposte della Commissione Europea, che stanno per essere acquisite dal Consiglio e dal Parlamento per la definitiva approvazione, ce ne sono alcune che dovrebbero diventare giuridicamente vincolanti per gli Stati dell’UE: il riciclaggio del 70% dei rifiuti urbani e dell’80% dei rifiuti d’imballaggio (vetro, carta, plastica, ecc.) entro il 2030 e a partire dal 2015, anche il divieto di collocare in discarica i rifiuti riciclabili e biodegradabili.
È evidente che la strategia per l’economia circolare deve possedere, per forza di cose, una visione ampia, nel senso che non può limitarsi alle percentuali, pur importanti, indicate, ma saranno, inevitabilmente, necessari interventi su una più puntuale definizione normativa. I dati del 2015 mostrano che l’industria del riciclo, in Italia, si conferma pilastro dell’economia circolare e continua a crescere.
Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi sui cambiamenti climatici, appena concordati a Parigi, in relazione alle ridotte emissioni di CO2, il riciclo di materia può svolgere una funzione fondamentale, soprattutto per il risparmio di energia nella produzione di materie prime. Sarà sempre più necessario scoraggiare lo smaltimento in discarica e migliorare la qualità dei materiali raccolti, nonché razionalizzare e semplificare il contesto normativo, anche uniformando le diverse legislazioni regionali.☺
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