erode non è solo
2 Dicembre 2010 Share

erode non è solo

 

  Quando gli evangelisti hanno deciso di raccontare la storia di Gesù, si sono sempre preoccupati, chi più chi meno, di collocare quella vicenda all’interno degli eventi storici più grandi. Luca, ad esempio, cita l’imperatore del tempo, Augusto e ovviamente il re Erode, ma fa intendere ai suoi lettori che questi grandi personaggi neppure notano Gesù sebbene, per ironia, diventano strumenti nelle mani di una Volontà più grande. Probabilmente ciò è da inserire nella sua intenzionalità narrativa, secondo cui Gesù fa parte della stragrande maggioranza dell’umanità anonima, quella di cui i potenti non si accorgono e per i quali non è prevista nessuna traccia nella memoria collettiva.

L’evangelista Matteo fa una scelta diversa, in quanto da subito Erode si accorge della presenza di Gesù, ma il suo racconto costituisce l’altra faccia della medaglia, perché quando i grandi pensano ai poveri e agli ultimi è sempre per tenerli sotto controllo e semmai eliminarli, quando potrebbero dare fastidio all’affermazione del proprio potere. Il vangelo racconta due episodi, quello dei magi che cercano il messia (Mt 2,1-12) e quello della strage degli innocenti (Mt 2,16-18), che toccano da vicino il rapporto tra Erode e Gesù, il quale rende sospetto e furioso il re, mostrandone ironicamente e drammaticamente la debolezza, a dispetto del dispiegamento di forze messe in campo per combattere contro un bambino. Ma l’evangelista dice anche un’altra verità: il male, come il bene, non sono causati mai da una sola persona, bensì dalla collaborazione di chi partecipa attivamente ad essi oppure semplicemente non prende posizione lasciando, per esempio, che il male si compia.

I magi, gli scribi che interpretano la Scrittura per il re, permettendogli di sapere il luogo dove Gesù è nato, i soldati che eseguono l’ordine di uccidere i bambini di Betlemme, il silenzioso Giuseppe che porta in salvo la sua famiglia in Egitto, incarnano altrettanti modi di stare al mondo, di scegliere da che parte stare. Abbiamo da un lato i cortigiani di Erode che, con la loro stessa presenza a corte, dovuta alla speranza di ottenere privilegi e prebende, garantiscono al re il consenso, l’appoggio pubblico in un ruolo usato per compiere i più atroci delitti. Tra questi cortigiani ci sono uomini di legge e professionisti del sacro che mettono le loro competenze al servizio di un tiranno dedito al malaffare. Completano il quadro i soldati, l’istituzione militare, che rende sempre nella storia accettabile l’omicidio, in quanto posto sotto l’ombrello delle legge, con la coscienza libera dai sensi di colpa grazie al diabolico paravento dell’obbedienza. Dall’altro abbiamo i magi che non si fanno distrarre dalla voce ammaliante del compromesso o dalla segreta speranza di un guadagno in termini di posizioni di potere, ma scelgono invece la scomodità di una strada non battuta, che evita l’incrocio con i palazzi che contano (e con i loro letti d’avorio), per riappropriarsi di una vita magari anonima, ma vissuta a testa alta. E abbiamo Giuseppe che, insieme a Maria, prende la strada dell’esilio. Sia i magi che Giuseppe hanno ascoltato, in sogno, la voce dell’angelo che simboleggia innanzitutto la propria coscienza orientata al bene, il luogo in cui intuire non le scelte apparentemente più eroiche, ma quella più sagge e opportune per non lasciarsi sopraffare dal male.

Né Giuseppe né i magi sono stati rivoluzionari, non hanno imbracciato armi per abbattere il tiranno, ma hanno tuttavia messo le basi per costruire un modo di vivere basato su valori altri, su una logica che non appartiene alle strategie mondane né obbedisce alla convenienza. L’esilio, per la famiglia di Gesù, è stato il luogo della formazione, della presa di coscienza di essere con i diseredati. La vita di Gesù sarà la conseguenza anche di quel tipo di esperienza, e proprio la maturazione all’interno di una famiglia che ha subìto l’oltraggio dei potenti, senza reagire con lo stesso atteggiamento, gli ha permesso di resistere nelle situazioni di conflitto in cui si è trovato; uno stile che ha contagiato altri intorno a lui fino a minare alla base quei poteri che sembravano imbattibili, avendo dalla loro la forza delle armi e il fascino della ricchezza.

Se anche il cristianesimo è stato poi usato dal potere, non ha perso tuttavia la forza originaria ma ha mostrato di volta in volta di riuscire a vincere le ingiustizie, perché ci sono state sempre persone che, affascinate da Cristo, hanno battuto altre strade e hanno trovato il coraggio di andare in un esilio morale con la creazione di altri stili di vita (Francesco d’Assisi ne è un esempio e non a caso ha preso a modello la povertà del presepe). Una lettura sapiente della storia non porta a constatare cinicamente che gli ideali sono puntualmente traditi ma che, nonostante i tradimenti, le grandi idee riescono comunque a farsi strada grazie a chi non smette di sognare, come i magi e Giuseppe. ☺

mike.tartaglia@virgilio.it

 

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