La sovranità del popolo
8 Settembre 2022
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La sovranità del popolo

“Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello” (Dante, Purgatorio, VI, 76-78). Per riflettere su questo tempo di agitazione politica, anziché prendere un passo della Scrittura, preferisco partire da un’opera che in ogni caso è intrisa di Scrittura, la Divina Commedia. E tra i tanti versi ho voluto scegliere quelli più famosi nel descrivere la situazione desolante in cui si trovava l’Italia ai tempi di Dante. Un passo che spesso si è rivelato attuale nelle vicende nostrane e che oggi descrive in modo quasi profetico una situazione politica che ha smarrito (e già da molto) il riferimento ai valori fondanti della nostra nazione, nata dalla resistenza ai regimi dittatoriali che non solo opprimevano la società ma calpestavano con le leggi e nei fatti la dignità umana stessa, essendo i regimi che avevano prodotto le leggi razziali. Il grido di Dante in questi versi riguarda la mancata azione di quello che lui riteneva il legittimo e naturale principio d’ordine della società del tempo, cioè l’ imperatore del Sacro Romano Impero, erede dell’antica Roma. Un’assenza che aveva fatto crescere in modo aberrante un altro potere, quello del papato, che aveva giocato un ruolo nella fine della sua breve e drammatica esperienza politica a Firenze e che lo aveva reso esule e dipendente dal favore dei vari governanti delle città del Nord. L’Italia che avrebbe dovuto essere signora (donna) delle province, cioè del mondo, in quanto luogo in cui viene incoronato l’imperatore (qui cita un’ immagine biblica, il libro delle Lamentazioni, dove in 1,1 Gerusalemme è chiamata signora delle province), è diventata invece un luogo di prostituzione ai vari signori che si spartiscono l’Europa (soprattutto la Francia del tempo).

Dante, che potremmo considerare il maggior pensatore politico che l’Italia abbia mai avuto, in tutta la sua opera mostra qual è la strada per non andare fuori rotta come una nave in tempesta: l’osservanza delle regole che sono a fondamento della società. Ai suoi tempi il fondamento era ricondotto al volere di Dio che aveva stabilito la presenza di due sfere di influenza, quella che governava i corpi, cioè l’imperatore, e quella che governava gli spiriti, cioè il papa. Il mancato rispetto di esse, causato anche dalla sete di potere dei capi spirituali (la Commedia è piena di invettive contro il mondo ecclesiastico che tradisce il vangelo e scimmiotta i re del mondo) produce quel caos che mina le fondamenta della convivenza sociale.

Oggi a quale nocchiero Dante farebbe riferimento? Non certo a un “uomo della provvidenza”, come tante volte si ha la tentazione di desiderare. Per lui l’impero era un’istituzione che di volta in volta era incarnata in un uomo concreto legittimamente eletto da chi governava i territori dell’impero. Per lui l’impero era molto vicino a ciò che oggi si pensa quando si sogna un governo mondiale dove però sono i popoli, non le élite a decidere. Una ONU dei popoli, e non delle trame tra potentati ristretti. Ma quell’ ordine mondiale si riflette anche nelle parti minori, come poteva essere la Firenze del suo tempo. Nella nostra Italia il fondamento è la Costituzione repubblicana, che si fonda sul ripudio del fascismo e sul rispetto della libertà di opinione ma anche sulla presa in carico di chi è più debole. Una Costituzione che ha come mira la dignità di ogni persona (non solo i cittadini ma anche chi dimora sul territorio), e che collabora con le altre nazioni nella difesa dei valori della libertà e della dignità. Una Costituzione che ha messo al primo posto il lavoro come strumento per emanciparsi come cittadini, senza dover dipendere dai padroni di turno.

E tra i valori fondamentali mette la sovranità del popolo nel governo della nazione, governo esercitato per rappresentanza. Ma se ai tempi di Dante chi incoronava l’imperatore era il papa, oggi chi elegge i governanti è il popolo, a cui non può essere impedito di scegliere con libertà chi lo deve rappresentare. La sensazione di impotenza nel poter realmente scegliere chi va in parlamento restringe sempre più lo spazio della democrazia e della rappresentatività. Formalmente le leggi sono legittime, ma lo spirito della Costituzione viene tradito. E così come ai tempi di Dante la mancata presenza dell’imperatore in Italia rafforzava lo sciacallaggio da parte di altri potentati (il papa in testa a tutti), così oggi l’aver sottratto al popolo il potere di decidere chi eleggere, per il fatto che le liste vengono decise per lo più nelle stanze dei capibastone, allontana sempre più gli elettori permettendo in tal modo la delega in bianco a chi non ha per nulla l’interesse a rendere conto al legittimo detentore della sovranità, cioè il popolo stesso. Dante invocava la presenza attiva dell’ imperatore in Italia.

Oggi, forti della sua lezione politica, la prima cosa da chiedere al prossimo parlamento, sarà una legge elettorale degna della nostra Costituzione e che faccia smettere il turpe mercato dei parlamentari (l’ immagine del bordello di Dante ci sta tutta), sia prima che dopo le elezioni.☺

 

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