fame di giustizia
22 Marzo 2010 Share

fame di giustizia

 

“Un sogno ad occhi aperti”, titola in prima pagina Famiglia Cristiana nel numero che precede il 60° compleanno della DUDU (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, firmata dall’ONU il 10 dicembre 1948). “I diritti devono essere carne”, le fa eco don Luigi Ciotti, col suo entusiasmo angosciato, furioso contro ogni ritualità parolaia, ipocrita, dissennata, che certo danneggia – più che favorire – la sensibilizzazione dell’opinione pubblica, la tensione a raccogliere ancora una volta, instancabilmente, questa sfida planetaria: globalizzare i diritti, e combattere in prima linea e in prima persona – ciascuno nel suo piccolo – contro la loro sistematica violazione, che passa spesso sotto il nauseante silenzio dei media e la disgustosa indifferenza dei più. Disgusto, una parola che è risuonata più di una volta, con forza, il 9 dicembre scorso, nell’auditorium dell’Istituto Comprensivo “Igino Petrone” di Campobasso – intitolato all’indimenti- cata Lillina La Mensa, insegnante moderna, garbata, attiva, scomparsa troppo presto dai corridoi di quella scuola, anzi “della” scuola -, durante il convegno “Diritti Umani? Libera il coraggio” che, organizzato dalla rete associativa che oggi finalmente si può stringere sotto il nome di “Libera Molise” – dopo una lunga gestazione iniziata il 25 febbraio di quest’anno -, ha inteso sottolineare la ricorrenza del sessantesimo della Dichiarazione con la presenza del fondatore storico di LIBERA. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie.

Lui, don Ciotti, che si schernisce subito dagli applausi e dai plausi dicendo che sulla ribalta ci sta scomodo e a disagio, perché la ribalta chiama ognuno di noi per scendere in campo, per agire, ciascuno con le sue fragilità e i suoi limiti. Lui, dunque, e la sua “strada”: quella nella quale padre Michele Pellegrino lo mandò non per insegnare ma per imparare a riconoscere il volto di Gesù “nei volti di chi sulla strada si sbatte ogni giorno”;  quella nella quale ha scelto di operare e abitare, e che è stata finemente introdotta all’orecchio del pubblico da padre GianCarlo Bregantini, investito subito da un rossore bambino quando l’amico di trincea, don Luigi, lo ha salutato ed elogiato senza retorica ma con spontaneo affetto, con quell’ammirazione fraterna che gli ha fatto dire alla platea “Tenetevelo caro eh? Voi avete una gran fortuna ad averlo qua”. 

La strada, dunque, che conclude profeticamente il percorso tracciato dall’ultimo Sinodo dei Vescovi per la Parola di Dio: Parola che passa per quattro immagini, come ha ricordato padre Giancarlo. La voce – che denuncia in maniera chiara, tagliente se necessario -; poi  il volto – quello di Gesù e di chiunque lo testimonia -; la casa – perché essa si fa casa ogni volta che entra nei luoghi della nostra vita -, e infine la strada appunto, simbolo della Parola che è cammino di testimonianza. È un monito perché la Chiesa si innesti sulla strada e ci entri dentro per calarsi nella realtà e per incidere in essa con le sue proposte scomode, con le sue istanze controcorrente, con quel suo frugare anche nel “retrobottega” di scenari apparentemente tranquilli che invece celano molti mali nascosti, troppi sepolcri imbiancati. E Libera, auspica il nostro vescovo, può aiutare sensibilmente il nostro territorio a lavorare in questo senso in una realtà – come il Molise – il cui retrobottega è pieno di scheletri. Molise di cui non si è parlato molto, quasi nulla, durante il convegno, ma al quale certamente molti avranno pensato quando don Ciotti ha snocciolato con disarmante semplicità “nomi e numeri” dell’emergenza. L’emergenza e l’urgenza di interrogare le nostre coscienze e quelle dei nostri ceti dirigenti, per chiederci quanta coerenza manca fra un certo dichiararsi cristiani, fra certe stucchevoli enunciazioni ideali e l’essere totalmente scollati dall’impegno, un impegno che non deve mai accontentarci ma che deve sempre tormentarci con “il morso del più”, del fare meglio e ancora.

Un vivo senso di (cor)responsabilità individuale e collettiva, d’altra parte, che non si ferma alla denuncia e alla protesta ma agisce e provoca il cambiamento (negli stili di vita, nell’edu- cazione, nella cittadinanza attiva) è proprio il secondo dei tre pilastri sui quali Libera è nata e si poggia, insieme alla conoscenza (che ha l’obiettivo di informarsi con puntualità, scegliendo fonti attendibili, libere, approfondite, per fuggire il “sentito dire”) e alla giustizia, perno e cardine di tutto l’operato di Libera, fine ultimo del nostro essere cristiani e, prima ancora, uomini.

Ha parole sulla crisi economica, don Ciotti, una crisi che è etica e politica, piuttosto e prima ancora che economica; sulla malafede della pseudo emergenza Rom – che ha equiparato la presenza di un gruppo etnico ad una calamità naturale -, sul diritto alla sicurezza vera – per esempio quella degli anziani, quella del lavoro e sul lavoro -; ha parole sull’accoglienza e l’integrazione, che restano sempre la migliore garanzia contro la degenerazione del disagio in forme di criminalità su cui speculano forze politiche e media asserviti; sulla chiesa che “dà bacetti alla Madonna e non si sporca le mani”, sulla repressione delle prostitute che ignora la radice dei complessi problemi legati alla prostituzione (a cominciare dai mali di tanta sessualità coniugale che non generano alcuna domanda, come mai?), sulla parrocchia (che è il nodo principale dell’evangelizzazione e della sua crisi profonda); sulle leggi ad personam che dimenticano le leggi “per le persone”, sulla necessità di maturare una coscienza sociale che agisca tenendo conto degli altri, mettendosi nei loro panni; sui media, che non lasciano mai spazio alle realtà positive, che invece ci sono e crescono; sull’Italia, gran bel paese dove si è depenalizzata la corruzione. E cita Pietro Ingrao, Umberto Terracini, il Cardinale Martini, voci diverse, orizzonti culturali diversi, ma concordi nel ribadire – ognuno nel suo linguaggio – che la dignità dell’uomo è un valore non barattabile, e che i diritti sono beni universali di cui nessuno può disporre a proprio piacere a scapito di altri.

È quello che è venuto fuori anche nel bell’excursus di don Silvio Piccoli (ben noto agli amici de la fonte per esserne uno dei redattori, ma noto ai più come responsabile del Servizio Antiusura della diocesi di Termoli), in cui, dalla Magna Charta medievale alla Costituzione Europea (passando per gli statuti e le costituzioni moderne, per Paolo VI e Giovanni XXIII), i diritti umani hanno preso forma e corpo come un cantiere sempre aperto per un vivere sociale a misura di dignità umana, e possono essere felicemente sintetizzati in una frase che compare ne “Il tulipano giallo” di Mons. Bregantini, citato da don Silvio laddove dice che “La mia dignità si realizza e si arricchisce nella tua”.

I diritti devono esser carne, dicevamo, anzi ha gridato don Ciotti. Sul “morso del più” si è arrabbiato col microfono. E sulla fame ha chiuso il suo intervento: fame di diritti, di giustizia, di informazione, di responsabilità. Diffondere questa fame, questo è stato è il suo augurio. Diffonderla per costruire la speranza.☺

gadelis@libero.it

 

eoc

eoc