Felicia impastato
4 Giugno 2020
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Felicia impastato

Ci si riempie spesso la bocca a scuola, a distanza o in presenza che sia, di educazione alla legalità. Un film come Felicia Impastato, trasmesso lo scorso venerdì 22 maggio su RaiUno, ci scuote le viscere e ci riporta, improvvisamente, alla realtà di ciò che dovremmo cercare di comunicare ai nostri ragazzi, sul valore della pulizia interiore, della ripulsa indignata e composta verso ogni forma di compromesso, sulla profonda dignità del rispetto delle regole.
Felicia Impastato, madre del ben noto Peppino, ucciso a Cinisi dalla mafia il 9 maggio del 1978, ha combattuto per 24 anni. E ha vinto. Tanto ha aspettato (ma non seduta, bensì tenacemente in piedi, testardamente impegnata, coraggiosamente in prima linea) per vedere alla sbarra, in un processo che lo ha poi condannato all’ergastolo, Gaetano Badalamenti, mandante dell’omicidio del figlio.
La vicenda drammatica di Peppino Impastato (nella cui casa-memoria, oggi, vanno “in pellegrinaggio” migliaia di studenti a guardare la sua macchina da scrivere, le sue foto, e a sentir parlare di lui) è nota, oggi, ai più. Quella dell’eroica madre, forse, un po’ meno: Felicia Impastato, minuta, non più giovane, chiusa dignitosamente nel suo lutto nero, con le rughe che avanzano nello svolgersi del film così come nei vent’anni che realmente l’hanno separata dal testimoniare finalmente, in tribunale, contro Badalamenti, che aveva ordinato di fare il figlio “a pezzettini”.
Felicia Impastato, che a 84 anni, con parole semplici e uno sguardo implacabile, punta il dito contro il boss di Cinisi, oggi diventa, per i nostri giovani, un gigante. Perché insegna loro il valore della libertà interiore, che non cede all’inciucio, al compromesso, al lecchinaggio di comodo, a qualsiasi forma di scorciatoia, che non cerca protezione e detesta la connivenza. Che ha la forza di denunciare il male, portarlo alla luce, metterlo a nudo. In un mondo dove il quieto vivere la fa da padrone, dove la raccomandazione, l’amicizia col potente (onesto o meno che sia) e l’omertà si annidano nella mentalità e nelle abitudini di troppi, Felicia Impastato ci chiama fuori dalle nostre prigioni, ci grida che la verità va difesa anche col sacrificio della vita, come ha fatto Peppino, come ha rischiato l’altro figlio, Giovanni, come ha scelto lei.
Felicia Impastato è un gigante perché insegna ai nostri ragazzi a non frignare sulle loro sconfitte: lei che avrebbe potuto, e a ragione, chiudersi in un dolore e in una immobilità assoluta, dopo quel dolore atroce, inaccettabile per qualsiasi mamma, lei si è rimboccata le maniche sin dal primo istante, ha preso in mano la sua vita, ha raccolto l’eredità di quel figlio dilaniato dalle percosse e da una bomba, ed è rimasta in piedi per costruire giustizia, per attenderla in maniera proficua, attiva, dignitosa. Non si è ripiegata sul suo dolore, non ha firmato nessun armistizio con la vita. E ci insegna a fare altrettanto, di fronte ai dolori nostri.
È un gigante perché insegna ai nostri giovani la fatica e la pienezza di fare scelte controcorrenti: mettersi contro la mentalità popolare, in un paese asservito, pettegolo, ostile, è stato il più grande esercizio di autentica libertà. L’avrà portata a soffrire atrocemente, ma ne è valsa la pena, così come vale ogni volta che sappiamo dire un no quando tutti si aspettano che diciamo di sì, all’interno del gregge che chiede omologazione, obbedienza, livellamento.
Felicia Impastato è un gigante perché è una donna, ed è un modello di donna di cui dovrebbero innamorarsi tutte le nostre alunne: anziché puntare ai fatui modelli dello spettacolo, all’ultima influencer, potrebbero lasciarsi sedurre da lei per ammirare quanta grazia guerriera una donna può avere, quanta eleganza nell’ energia di una battaglia, quanto rispetto di se stessa e delle persone amate. Quanta “parità” autentica nel rapporto con il compagno della vita, amato profondamente ma mai assecondato nel suo lato più oscuro, mai blandito, mai “servito” a testa china.
Felicia Impastato è un gigante, è un modello educativo talmente grande che, nei nostri discorsi, non ci sta. Si può solo provare a balbettarne qualcosa. Questa santa laica ci ricorda che la scuola può ancora essere un baluardo, forse l’ultimo, contro l’annebbiamento del senso morale: la mafia, la mentalità mafiosa, si combattono con le parole e con la cultura, diceva. Lei che di cultura non ne aveva, ma ne aveva capito il valore profondo. Lo ripete insistentemente, chiaramente, nel film.
L’istruzione, quando tutto avremo dimenticato (nomi, date, formule, persino concetti), si svelerà per quello che realmente è. Avremo allenato il cervello a riflettere, a ragionare, a reagire. A pensare, a mettere in dubbio, a cercare il senso, a cercare il vero o quello che ad esso più si avvicini. A non obbedire a testa bassa, a mettere in discussione, ad ascoltare noi stessi, a pensare con la nostra testa. E ad agire nel rispetto di noi stessi, a non cadere nella trappola di chi ci vuole asserviti e acquiescenti.
La scuola è, in se stessa, educazione alla legalità. Non può essere, essa, una materia, una disciplina, o una branca da trattare all’interno di una disciplina che può essere la reinserita “educazione civica” nei curricoli ministeriali. La scuola è, in se stessa, educazione alla libertà, insegnando l’amore per il rispetto rigoroso delle regole: Felicia Impastato ci ricorda che non c’è libertà senza rispetto della regola e che, dove la regola è calpestata e vilipesa, c’è morte, prigionìa, asfissia. La regola-prìncipe è la sequela della coscienza, costi quel che costi. La libertà interiore ha un prezzo. Vale la pena di pagarlo, sempre.
I nostri ragazzi hanno bisogno di sentirselo dire.☺

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