Fra virus e virus…
29 Aprile 2017
La Fonte (351 articles)
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Fra virus e virus…

Caro amico direttore,
l’impossibilità di inviare in tempo il mio articolo è dovuta ad un virus di influenza, ma questa non è una novità. Tale virus mi colpisce quasi ogni anno nel mese di gennaio. La novità è stata il fatto che anche il mio computer è stato colpito da un virus, e non mi è stato possibile utilizzare il programma Word. Non ho potuto né aprire un file, né fare un file nuovo, niente!
Solo un’ora fa un amico ha potuto riparare il mio pc e d eliminare il virus. Quello che sta nel mio organismo ancora persiste, ma almeno qualche pensiero posso metterlo “nero su bianco”.
L’immagine che mi è ritornata alla mente in questi giorni di gennaio è stata quella di una fila di persone nella neve, nel freddo, con addosso tutti i capi d’abbigliamento che possiedono. Immagini scattate in Grecia, fra i rifugiati che sono sopravissuti alla guerra, alle bombe, alla fame ed al freddo e sono stati respinti dall’Europa.
Nella mia testa, mentre cercavo di combattere la febbre, queste immagini si mescolavano con immagini di altre colonne di gente che fugge nella neve. Questa gente fuggiva, nel febbraio del 1937, dalla città spagnola di Malaga, la loro speranza era di arrivare vivi ad Almeria, perché Malaga e dintorni erano bombardati giorno e notte da aerei tedeschi ed italiani. Ma sulla strada che conduceva da Malaga a Almeria c’era un’italiana che cercava con tutte le sue forze di rimediare all’orrore seminato dai suoi connazionali. Era Tina Modotti che, assieme ad un medico canadese di nome Norman Bethune, fece di tutto per salvare almeno i più deboli, i bambini, i malati, i vecchi…
Malaga aveva resistito per un mese all’attacco delle truppe fasciste, ma il 6 febbraio la città andalusa vedeva i fascisti alle sue porte. I quartieri più popolosi venivano bombardati senza pausa, i fascisti si avvicinavano a piedi e a cavallo, e dalla costa le navi da guerra nemiche sparavano sulla città. L’evacuazione dovette aver luogo in poche ore, in qualche quartiere gli abitanti ebbero solo pochi minuti per fare le valigie. Decine di migliaia di persone che si riversavano fuori per le strade, genitori che cercavano i figli, tutti si ammassavano nell’unico punto che prometteva salvezza: la strada per Almeria. Non solo quasi tutti i centocinquantamila abitanti di Malaga erano in fuga, ma anche le decine di migliaia di persone provenienti dai paesini del circondario che avevano creduto di trovare rifugio in città. Cominciò così un esodo che non aveva pari neanche nella Bibbia, come si espresse il governatore di Almeria.
In quest’inferno Tina era all’opera giorno e notte, per aiutare gente che aveva perduto tutto fuorché la vita. In primo luogo si occupava dei bambini che non trovavano i genitori e che, meno ancora degli adulti, capivano cosa stesse accadendo. Ma che cosa poteva offrire loro? Che senso di impotenza deve aver provato non potendo offrire loro altro che un bicchiere di latte, un pezzo di pane e un materasso! La cosa peggiore deve essere stata che neanche nei giorni seguenti, quando accompagnava i suoi piccoli protetti negli asili o presso le famiglie che li avrebbero ospitati, poteva essere sicura che fossero in salvo, che l’orrore dell’esodo fosse davvero finito.
Le righe seguenti, parte di un articolo non firmato di Ayuda, possono essere state scritte solo da qualcuno che aveva vissuto in prima persona la tragedia dei bambini fuggiaschi di Màlaga. Forse le ha scritte Tina: “Come non ricordare il caso della bambina che, avvolta in un assoluto mutismo, piangeva sommessamente, continuamente, silenziosamente, negli angoli del palazzo, che sfuggiva tutti e tutto e rifiutava il cibo e non dormiva? Era vittima di un attacco di malinconia acuta, che la condusse più tardi in manicomio… Tutti questi piccoli chiamavano la madre, ma le madri non potevano rispondere. (…) Nessuno di loro era adorabile quanto quel gruppetto che aveva come capofamiglia la deliziosa Valeria Garda Vara di circa undici anni. Raffiche di mitragliatrice li avevano lasciati orfani per la strada. Lei si era fatta carico dei tre fratellini più piccoli, fra cui un neonato, che lei aveva tenuto stretto tra le sue fragili braccia come un tesoro, finché il Soccorso Rosso li raccolse dalla cunetta in cui probabilmente si erano gettati per aspettare la morte”.
Nel gennaio 1939, mentre il popolo spagnolo attraversava il terzo inverno di guerra, i fascisti erano alle porte di Barcellona. La sconfitta della Repubblica era ormai prevedibile.
Anche per Tina era venuto il momento dell’addio. Ma non partì sola, non con il treno che l’avrebbe portata in salvo dall’altra parte della frontiera. Accompagnò la lunga “colonna della paura”, mezzo milione di fuggiaschi – combattenti malati, madri disperate, bambini deperiti e vecchi terrorizzati – nella loro marcia di giorni e giorni tra il Mediterraneo e i Pirenei…
Tutto questo, caro amico direttore, è storia. Ma negli ottanta anni che sono trascorsi da quella fuga da Malaga, nel mondo si sono ripetute scene come quella. E queste scene si ripetono anche oggi, anche adesso, in questo stesso istante, quando io scrivo e quando lei prepara il nuovo numero di La Fonte. Ed il mio pensiero va verso quelle e verso quelli che cercano di aiutare quelli che fuggono oggi e di salvare l’onore di tutti noi, esseri umani.

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