gesti concreti
13 Aprile 2010 Share

gesti concreti

 

Eulalia ha raccolto le idee, preparato la valigia e raggiunto Paola a Milano. Da lì all’aeroporto di Zurigo per volare in Camerun. Altre diciassette ore di treno verso l’Equatore e finalmente è arrivata all’orfanotrofio di Ngandourè. Dopo qualche giorno salirà su una jeep percorrerà altri 400 km fino a Touboro e giungerà nel secondo collegio dell’Istituto Mater Orphanorum di Cercemaggiore, praticamente a ridosso del confine col CIAD.

Dal 1968 una parte di Molise è laggiù, operosa e silente, a far crescere bimbi senza padri, far studiare bambine a cui è precluso questo diritto, curare malati anche di lebbra o di AIDS.  E proprio per alcune cure ai lebbrosi, tempo fa, l’Università La Sorbona di Parigi ha consegnato un riconoscimento scientifico a Suor Filomena Zappone, donna schiva e tenace, capace di saper costruire la speranza anche in quel deserto arretrato di un’umanità senza sogni. Per celebrare i 40 anni di missione in Africa si è regalata un mese in famiglia.

A luglio, per l’occasione, è tornato da San Paolo del Brasile, dove opera dal 1963, anche il fratello Padre Libero. Così in modo semplice si è intrattenuta qualche settimana coi familiari tra Campobasso e Cercemaggiore, magari raggiungendo Padre Raffaele Maddalena a S. Elia, col quale ha condiviso angosce e paure lungo il fiume che separa il Camerun dal Ciad. Le chiesi di parlare a dei giovani della sua esperienza e rispondere alle loro curiosità. Accettò, e insieme a Padre Libero incontrarono dei ragazzi presso un’associazione intitolata alla memoria di un missionario di Jelsi assassinato nel 1976 dai militari argentini. Suor Filomena rapì l’attenzione, descrisse lo smarrimento di una ventitreenne che, mentre il 1968 capovolgeva il Mondo, scelse di andare in un luogo ignoto dell’Africa più profonda. Non capiva una parola, non riusciva a mangiare nulla, un caldo opprimente, mosche e sporcizia ovunque, nessun mezzo per muoversi o scappare. Tre suore dovevano fondare un orfanotrofio dell’opera di Padre Rocco tra l’ostilità e lo scetticismo degli indigeni.

Raccontò della terribile pratica animistica di seppellire i bimbi vivi insieme alle madri, quando queste morivano. E la sua ribellione, le urla e lo scontro con un capo-villaggio che seguendo questo rito stava mettendo il proprio figlio accanto alle spoglie della moglie. Riuscì a strapparglielo e gli dimostrò che i bambini potevano sopravvivere al decesso delle madri contro la loro credenza tribale. Dopo anni, quel capo, vedendo il figlio, sano e salvo, grazie a quelle tre donne minute, giunte da una terra più ricca a soffrire gratuitamente al loro fianco, prima di morire radunò tutto il villaggio e si convertì pubblicamente. Suor Filomena raccontò dei suoi viaggi a Gorè nella Diocesi gemellata con Campobasso, della trattativa con le famiglie per farsi affidare le bimbe per farle studiare, dei troppi orfani di genitori sieropositivi e dei tanti che muoiono per malattie banali perché non ci sono vaccini disponibili o per malnutrizione.

In quelle settimane i ragazzi della Tedeschi e di Millemetri raccolsero beni alimentari e materiali scolastici approntando un container. Ma non ci si poteva fermare lì. Occorreva costruire un ponte, consolidare il legame, recarsi sul posto, fare volontariato, capire il mondo da questa diversa angolazione e rendersi utili in modo semplice e concreto. Per questo una trentenne laureata di Jelsi anziché sognare la Costa Smeralda e Briatore ha scelto di andare con una dottoressa dell’ONU a fare tre mesi di volontariato in Camerun sostenuta da tutto il gruppo della sua Associazione. Sentendola per telefono, dopo l’arrivo al villaggio, è più che mai convinta del gesto compiuto. Assiste i bimbi, mette a posto, aiuta, fa di tutto come si conviene in un luogo dove manca l’essenziale. E con Paola e le altre suore stilerà l’elenco di ciò che serve più urgentemente, materiali e attrezzature sanitarie, fondi per rendere più confortevoli le strutture o le adozioni a distanza per migliorare le condizioni di vita di altri ragazzi e ragazze di Touboro e Ngandourè.

Per noi che siamo qui è un dovere interrogarci e rimettere in discussione false certezze adoperandoci non solo in favore di Eulalia e Suor Filomena perché le conosciamo e lo meritano. Dobbiamo ripensare la scala dei valori della vita, le priorità, e combattere l’iniqua distribuzione delle ricchezze tra il Nord ed il Sud del Mondo. Più giustizia sociale, una cultura dell’accoglienza, più solidarietà, pace e nonviolenza contro le chiusure dell’animo, le paure del diverso e gli egoismi delle foreste pietrificate delle opulente padanie di qualsiasi Nord. ☺

 

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