Giano dei nostri tempi
8 Gennaio 2023
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Giano dei nostri tempi

Gennaio, Ianuarius in latino, è il mese che i Romani dedicavano a Giano bifronte, celeberrima divinità italica raffigurata con due facce opposte l’una all’altra e attaccate nella cervice: una faccia guarda a sinistra, al passato che non è più, l’altro a destra, al futuro che non è ancora; il presente, chissà, sarebbe forse il sottile spessore compreso tra una maschera e l’altra, un brevissimo transito.

Deus deorum lo chiamavano i Romani, dunque “dio degli dèi”, e Ianus pater, “Giano padre”, quasi per evidenziare l’atavica maestà di una divinità che presiede al passaggio del tempo e ad ogni cambiamento, custodendo con lo sguardo ciò che è stato e proiettando il suo acume  verso ciò che sarà.

Una chiave nella mano sinistra e un bastone nella destra, in quanto guida di tutte le strade e dotato della facoltà di aprire e chiudere ogni porta, Giano deve il suo nome al termine ianua, “porta” in latino, a sua volta ricollegabile ad una radice lessicale indoeuropea da cui deriverebbe anche il verbo latino dell’“andare”, eo, quindi del movimento, meglio ancora del passaggio da uno stato all’altro.

Di stati e cambiamento di stato si è a lungo occupato Umberto Eco, che, quasi Giano bifronte dei nostri tempi, un Giano laico, irriverente, sempre intrigante, ha costantemente addentrato il suo sguardo di esperto di segni e relativi sensi nel qui ed ora, nel passato prossimo o più remoto, nel futuro ipotetico.

Da quando mi è stata regalata, edita per La Nave di Teseo, una raccolta degli interventi tenuti da Eco nella rubrica “la bustina di Minerva”, della quale egli si è occupato dal 1985 al 2016 per il periodico L’Espresso, vado spigolando tra le pagine di quest’ antologia alla rinfusa, secondo l’estro del momento e con frequenza irregolare, in ogni caso con gran curiosità. Non che condivida sempre l’interpretazione che Eco ha dato dei fatti politici, dei fenomeni sociali e culturali, delle tendenze che hanno interessato il nostro Paese né che trovi persuasive nel merito e nel modo talune sue millenaristiche profezie, anzi: il punto è che la lettura delle sue “bustine” interroga l’intelligenza, la sfida e la provoca, tanto più che Eco, abituato per mestiere a muoversi da acrobata tra segni e significati, a mettere in discussione la pretesa linearità e univocità di rapporto tra gli uni e gli altri, inarca la tensione dei lettori, li impegna nella ricerca di quegli artifici retorici che sorreggono le sue stesse argomentazioni, li abitua a dubitare di una verità che potrebbe essere sipario di menzogna e di una menzogna che parrebbe sipario di verità.

Nella prima “bustina di Minerva”, comparsa nel 1985, Eco spiegava ai lettori de L’Espresso il titolo scelto per la sua rubrica: nessun riferimento al mito greco, ma all’abitudine che Eco stesso e molti della sua generazione avevano di segnare appunti all’interno della bustina di fiammiferi che si chiamavano “Minerva”. Di quelle annotazioni brevi, idee colte al volo, spunti rapsodici di riflessione, gli interventi di Eco hanno conservato il taglio succinto e lo sviluppo smilzo, pur nella varietà dei toni adoperati, spessissimo comici e burloni, talora seriosi, più raramente drammatici, essendone l’intento ora il puro divertimento ora la riflessione più pacata, pensosa.

I pezzi di Eco, taluno dei quali ha fatto storia, hanno suscitato risposte in quantità da parte dei lettori, ora entusiasti ora scandalizzati dalle sue parole; di mio, almeno sino ad ora, mi sono fatta gran risate in assolo, specie laddove vi scriveva di usi linguistici stigmatizzandone la banalità e l’ omologazione, mi sono talora innervosita, specie quando Eco mi è parso troppo comprensivo e riguardoso con gli eredi del fascismo politico e culturale, mi sono annoiata a fronte di alcune sue forzose, a mio avviso, “visioni” del terzo millennio, mi sono serenamente ritrovata nella schiettezza e nella semplicità con cui Eco ha difeso la lettura e la cultura classica, mi ha attratto il metodo  di ricerca che Eco ha definito naturalmente fin dalla prima puntata della “bustina di Minerva”.

Posto che ogni grande scoperta avviene perché lo scienziato, invece che attraverso normali vie di ragionamento, approda ad una legge del tutto inedita, la quale legge non viene fuori al primo colpo, ma andando “per farfalle”, passeggiando con la mente in “territori altrui”, “il pensatore creativo – scrive Eco -, è colui che decide di fare, ma scientemente, quello che Colombo ha fatto per sbaglio: “Visto che non trovo una risposta a questo problema, perché non cerco la risposta ad un altro problema, magari del tutto extravagante?”.

A tutti i ricercatori di sorta e di sorte, con il mio vivido augurio di un anno che a mezzo di una caccia “per farfalle” pervenga ad inaspettate soluzioni “di peso”.

A presto.☺

 

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