Un cupio dissolvi da suicidio di massa. Lo stesso, elevato all’ennesima potenza, si può dire di Tsipras: nemmeno il tempo di festeggiare il quorum del 4% raggiunto contro ogni previsione, ed ecco i partitocrati di Sel e in parte di Rifondazione – noti desertificatori di urne – avventarsi contro la prima artefice del successo: Barbara Spinelli, “rea” di aver prima annunciato la rinuncia al seggio e poi, mutate le condizioni di partenza, di aver accettato l’elezione. Una decisione maturata non certo per amore della poltrona (Barbara ha una storia di giornalista e intellettuale di respiro europeo che parla per lei), ma per la valanga di preferenze (64 mila) e per il pressing di Alexis Tsipras, che l’ha candidata a vicepresidente del Parlamento europeo. Gli elettori non possono che esser orgogliosi di farsi rappresentare da lei. Ma i partitocrati rossi le sparano addosso, tirando volgarmente in ballo il padre Altiero, per la fregola di piantare le loro bandierine a Strasburgo. Quasi che il futuro d’Europa fosse compromesso dal mancato ripescaggio di tal Furfaro (24 mila preferenze), bravissimo ragazzo per carità, ma senz’alcun motivo di pretendere alcunché. Così come il suo capo Vendola, che dopo la nota telefonata ad Archinà dell’Ilva avrebbe dovuto nascondersi per il resto dei suoi giorni. Avevano ragione Flores e Camilleri, che fin dall’inizio misero in guardia il gruppo Tsipras dalla presenza dei revenants, artefici delle ultime disfatte della sinistra. E, vista l’ultima faida rossa, aveva ragione persino D’Alema, quando disse che “la sinistra italiana è una malattia che solo la presenza di B. può rendere tollerabile”. Se gli avversari di Renzi sono questi, bravissimi a opporsi soprattutto a se stessi, un altro ventennio non ce lo leva nessuno.
Marco Travaglio
Un cupio dissolvi da suicidio di massa. Lo stesso, elevato all’ennesima potenza, si può dire di Tsipras: nemmeno il tempo di festeggiare il quorum del 4% raggiunto contro ogni previsione, ed ecco i partitocrati di Sel e in parte di Rifondazione – noti desertificatori di urne – avventarsi contro la prima artefice del successo: Barbara Spinelli, “rea” di aver prima annunciato la rinuncia al seggio e poi, mutate le condizioni di partenza, di aver accettato l’elezione. Una decisione maturata non certo per amore della poltrona (Barbara ha una storia di giornalista e intellettuale di respiro europeo che parla per lei), ma per la valanga di preferenze (64 mila) e per il pressing di Alexis Tsipras, che l’ha candidata a vicepresidente del Parlamento europeo. Gli elettori non possono che esser orgogliosi di farsi rappresentare da lei. Ma i partitocrati rossi le sparano addosso, tirando volgarmente in ballo il padre Altiero, per la fregola di piantare le loro bandierine a Strasburgo. Quasi che il futuro d’Europa fosse compromesso dal mancato ripescaggio di tal Furfaro (24 mila preferenze), bravissimo ragazzo per carità, ma senz’alcun motivo di pretendere alcunché. Così come il suo capo Vendola, che dopo la nota telefonata ad Archinà dell’Ilva avrebbe dovuto nascondersi per il resto dei suoi giorni. Avevano ragione Flores e Camilleri, che fin dall’inizio misero in guardia il gruppo Tsipras dalla presenza dei revenants, artefici delle ultime disfatte della sinistra. E, vista l’ultima faida rossa, aveva ragione persino D’Alema, quando disse che “la sinistra italiana è una malattia che solo la presenza di B. può rendere tollerabile”. Se gli avversari di Renzi sono questi, bravissimi a opporsi soprattutto a se stessi, un altro ventennio non ce lo leva nessuno.
Un cupio dissolvi da suicidio di massa. Lo stesso, elevato all’ennesima potenza, si può dire di Tsipras.
Un cupio dissolvi da suicidio di massa. Lo stesso, elevato all’ennesima potenza, si può dire di Tsipras: nemmeno il tempo di festeggiare il quorum del 4% raggiunto contro ogni previsione, ed ecco i partitocrati di Sel e in parte di Rifondazione – noti desertificatori di urne – avventarsi contro la prima artefice del successo: Barbara Spinelli, “rea” di aver prima annunciato la rinuncia al seggio e poi, mutate le condizioni di partenza, di aver accettato l’elezione. Una decisione maturata non certo per amore della poltrona (Barbara ha una storia di giornalista e intellettuale di respiro europeo che parla per lei), ma per la valanga di preferenze (64 mila) e per il pressing di Alexis Tsipras, che l’ha candidata a vicepresidente del Parlamento europeo. Gli elettori non possono che esser orgogliosi di farsi rappresentare da lei. Ma i partitocrati rossi le sparano addosso, tirando volgarmente in ballo il padre Altiero, per la fregola di piantare le loro bandierine a Strasburgo. Quasi che il futuro d’Europa fosse compromesso dal mancato ripescaggio di tal Furfaro (24 mila preferenze), bravissimo ragazzo per carità, ma senz’alcun motivo di pretendere alcunché. Così come il suo capo Vendola, che dopo la nota telefonata ad Archinà dell’Ilva avrebbe dovuto nascondersi per il resto dei suoi giorni. Avevano ragione Flores e Camilleri, che fin dall’inizio misero in guardia il gruppo Tsipras dalla presenza dei revenants, artefici delle ultime disfatte della sinistra. E, vista l’ultima faida rossa, aveva ragione persino D’Alema, quando disse che “la sinistra italiana è una malattia che solo la presenza di B. può rendere tollerabile”. Se gli avversari di Renzi sono questi, bravissimi a opporsi soprattutto a se stessi, un altro ventennio non ce lo leva nessuno.
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