Gutenberg e la bibbia
La volta scorsa ci siamo brevemente soffermati su Petrarca, visto come l’iniziatore del senso moderno della ricerca storica intesa come sentimento di distanza dal passato e, in questo, possiamo paragonarlo a Giotto che nell’arte visiva è stato lo scopritore della prospettiva, dando profondità a ciò che era rappresentato, rendendolo più “vero”. Ma Petrarca, a sua volta, non è sceso dal cielo, è cresciuto in un contesto, che è quello della chiesa “internazio- nalizzata” dalla sua residenza in Francia, ad Avignone. Possiamo dire che proprio gli eventi di quei secoli hanno permesso un balzo in avanti anche nell’evoluzione del cristianesimo occidentale.
La riscoperta dei classici ha avuto un forte stimolo anche “grazie” alla fine dell’Impero Romano d’Oriente: negli ultimi anni della Costantinopoli cristiana, ormai assediata dai turchi musulmani, ci fu un tentativo di riunificazione tra Oriente ed Occidente, culminato nel Concilio di Firenze, città dove giunse la corte imperiale e con essa una serie di studiosi illuminati che hanno fatto riscoprire il greco in Occidente, permettendo un nuovo approccio alla bibbia, soprattutto al Nuovo Testamento fino ad allora letto solo in latino (l’Antico paradossalmente era più conosciuto nella lingua originale ebraica, grazie alle numerose comunità ebraiche sparse per l’Europa). Ed è proprio nel contesto della Curia Romana, sempre più “mondializzata” che gli Umanisti sono potuti entrare in contatto con la cultura greca da un lato (molti studiosi greci si rifugiarono in Occidente, portando con sé le opere in greco e la conoscenza di quella lingua) e con la riscoperta dei classici latini dall’altro, viaggiando per tutta l’Europa al seguito di una curia sempre in movimento (in alcuni periodi, poi, c’erano tre curie, con il culmine dello scisma d’Occidente, quando ci furono contemporaneamente tre papi).
Gli esponenti dell’Umanesimo erano innanzitutto impiegati o della curia o di alcuni signori del tempo come i Medici ed è grazie a questo fatto che avevano accesso ai testi antichi, spesso procurati dall’impegno economico dei papi e degli altri signori del tempo, oppure scovati nei monasteri mentre viaggiavano al seguito della curia papale. Tra di essi emerge per il Quattrocento la figura di Lorenzo Valla, famoso innanzitutto per aver scoperto la falsità del famoso atto di donazione fatto da Costantino a papa Silvestro, la concessione, cioè, fatta al papa di essere il capo politico dell’Occidente, per cui ogni imperatore laico occidentale lo era per concessione del papa: applicando i criteri della ricerca storica ha dimostrato che quel testo non poteva risalire all’epoca di Costantino perché scritto in un latino medievale. E questo lo ha potuto fare perché profondo conoscitore dei classici latini. Ma c’è un’opera conosciuta solo dopo la morte del Valla, grazie alla scoperta che ne ha fatto per primo proprio Erasmo da Rotterdam: alcune note filologiche sul Nuovo Testamento latino messo a confronto con gli “originali” in greco (in realtà si tratta di un testo contaminato da secoli di trasmissione e di copiatura, ma comunque discendente diretto dei testi scritti secoli prima proprio in greco). Valla scrisse quelle note a metà del Quattrocento ma furono riscoperte solo nel 1506 da Erasmo che le pubblicò e divennero conosciute grazie a quell’invenzione rivoluzionaria fatta ai tempi di Valla: la stampa con caratteri mobili, grazie al genio di Gutenberg. Senza quell’invenzione non ci sarebbe stato Erasmo, ma soprattutto non ci sarebbe stato Lutero, in quanto facilmente avrebbe fatto la fine di Hus (il rogo) se le sue idee non si fossero imposte velocemente in Europa attraverso la stampa.
Fu grazie a quelle note che ad Erasmo venne l’idea di pubblicare per la prima volta il testo greco del Nuovo Testamento affiancato dalla versione latina (1516). In realtà fu un altro studioso, questa volta Cardinale ed Inquisitore di Spagna, De Cisneros, a stampare materialmente per primo (1514) il Nuovo Testamento greco ma sfortunatamente attese troppo per far uscite tutta la bibbia in lingua originale (ebraico e greco, oltre al latino) in ben 5 volumi più uno di grammatica e dizionario, in poche copie (600) perché costose, e delle quali molte sono andate perdute affondando con la nave che le trasportava: si tratta della Bibbia poliglotta complutense.
Fu così che il Nuovo Testamento greco di Erasmo da Rotterdam, opera più agile ed economica, divenne il testo di riferimento per chi voleva leggerlo nella lingua originale e, tra essi, fu Lutero il suo più importante lettore e propagatore, facendone la base per la sua traduzione in tedesco del Nuovo Testamento (1522), primo nucleo della sua Bibbia completata nel 1534, il testo fondativo della lingua letteraria tedesca, come la Divina Commedia lo era stata per l’italiano.
A causa dello scontro tra il mondo della Riforma, il cui testo di riferimento era la bibbia tradotta dai testi originali e quello della chiesa romana che si ritirò sempre più in difesa alzando come muro la bibbia vulgata di san Girolamo, che per secoli ognuna delle parti si arroccò a difesa della propria bibbia. Le chiese protestanti, per l’Antico Testamento, seguendo il giudizio di Girolamo, accettarono solo i libri scritti in ebraico e trasmessi dall’ebraismo, il cui testo era garantito da una solida tradizione manoscritta, con nessuna variante di rilievo. La chiesa cattolica, al Concilio di Trento, accogliendo il parere di Agostino e ricalcando il Concilio di Firenze, riconobbe ispirati anche alcuni libri scritti in greco, chiamati proprio in quel periodo “deuterocanonici” (Tobia, Giuditta, Baruch, Sapienza, Siracide, 1-2 Maccabei, più alcune aggiunte di Daniele e di Ester) il cui testo originale è tramandato per lo più dalla bibbia dei LXX.
Per il Nuovo Testamento il mondo protestante adottò il testo greco di Erasmo, sempre di più considerato un testo intoccabile, quasi dettato da Dio e di seguito chiamato textus receptus. Il mondo cattolico riconobbe l’ importanza del testo greco ma preferì comunque seguire la vulgata, facendo la scelta giusta, in quanto la traduzione di Girolamo era più vicina agli originali (si scoprirà proprio con i manoscritti venuti alla luce in seguito) rispetto al testo pubblicato da Erasmo. Un solo esempio: il Padre Nostro in Luca, nel testo di Erasmo è identico a Matteo, mentre nella vulgata è più breve, come si evince dai testi greci più antichi. Alla prossima per il seguito della storia.☺