I cittadini invisibili
14 Novembre 2019
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I cittadini invisibili

Potremmo definire così le migliaia di persone recluse nelle diverse carceri italiane. Sono e rimangono cittadini italiani a tutti gli effetti, ma sono diventati, a motivo della reclusione, invisibili.

Abitano il territorio nazionale ma sono reclusi, allontanati dalla società attiva, produttiva e dai luoghi del comune convivere. È un dato di fatto che i detenuti cadono nell’oblio una volta reclusi e segregati in una cella carceraria. Oltre le loro famiglie, oltre i legali, oltre coloro che hanno subìto i loro “errori”, nessuno li cerca, nessuno si relaziona con loro se non coloro ai quali è permesso, per scelta di volontariato o per professione. Questo allontanamento, segregazione, dà la sensazione illusoria che ci si è liberati di un problema. No! Se si ragiona così si è solo implementata una “discarica umana”. “Lontano dagli occhi lontano dal cuore” recita una proverbiale espressione popolare. Ma non è così. Le carceri italiane, soprattutto, ma tristemente non solo le “patrie galere”, sono un vulcano in procinto di eruttare. Sono stracolme, oltre il limite della decenza decorosa e rispettosa della dignità umana. Piene di vite in tensione, mortificate, appiattite e, talvolta, annullate perché prevale la disperazione, la segregazione, il confino, l’esclusione, la discriminazione. Ma coloro che abitano quei luoghi di restrizione non cessano d’essere cittadini benché invisibili e “seppelliti vivi”.

Allora occorre porre attenzione alle loro necessità, ai loro diritti, occorre prestare ascolto alle loro lotte, occorre raggiungere i loro bisogni. Ad onore del vero è giusto sottolineare che c’è carcere e carcere nel senso che alcuni istituti penitenziari oltre ciò che prevede, sterilmente, la legge favoriscono l’inserimento di volontari, di molteplici attività didattiche, sportive culturali ed “hobbistiche”.

La non abbienza la fa da padrona perché nella maggior parte dei detenuti è l’unica ricchezza, l’unica condizione posseduta fino al colmo. Questa povertà non si limita solo al portafoglio ma straripa anche nella cultura, nella salute, nelle relazioni, rendendo paludosa e difficile l’esistenza. Occorre assolutamente intercettare queste esigenze primarie e soccorrerle. Assieme alle persone, dietro alle sbarre c’è anche la loro speranza, i loro progetti. Risiede in cella, anch’ella invisibile, ogni risorsa e ogni arsura, ogni ferita e ogni lacerazione che i detenuti portano nel loro cuore. Dietro un numero, dentro una cella, c’è sempre e comunque una persona. Lì dove il regolamento carcerario e la legislazione della detenzione non arriva occorre supplire, integrare, amplificare.

I detenuti hanno fame e sete di fiducia, di qualcuno che li aiuti a far emergere ciò che hanno sfregiato con la loro iniqua condotta, a far scoprire i doni presenti e seppelliti in fondo in fondo al loro cuore. Non dimentichiamoci che il diamante all’origine è un carbone. Un carbone che si è lasciato purificare attraverso i processi naturali fino a diventare unico e prezioso. Un incontro personale, un cammino comunitario, un atto di stima e di fiducia, talvolta, riaccendono le speranze sopite, risuscitano entusiasmi uccisi, fanno ripartire il motore dell’esistenza. Il carcere e i detenuti in esso ospitati non sono affare statale o affare delle persone preposte, professionalmente, ad assisterli e rieducarli, riammetterli, restaurati, nel flusso della società e della vita civile. Di sicuro si dovrebbe rivedere il regolamento della vita detentiva. Offrire più possibilità lavorative o semplicemente impiegatizie. Vedere i detenuti per ore e ore sdraiati inutilmente ed oziosamente sul lettino, dentro la cella, è mortificante e riduttivo. Atteggiamenti troppo supini, scelte di comodo, percorsi di puro ed inutile disfattismo e menefreghismo nuocciono al bene personale e alla popolazione tutta del carcere. Stimolare, attraverso iniziative di ogni tipo, la fantasia, azionare e investire le capacità artistiche di ognuno, soprattutto, favorire un lavoro potrebbe determinare una vita diversa nell’ ambito carcerario.

La finalità punitiva e riabilitativa, sancita dalla Costituzione, come recita l’ articolo 27 comma 3, si potrebbe più facilmente raggiungere se ci fosse la proposta di scelte concrete da effettuare casomai togliendo anche la possibilità del semplice bivacco sul lettino e dello stazionamento h 24 nel buio vuoto e sterile di una cella. Varie associazioni religiose e laiche ormai operano con profitto all’interno delle carceri italiane; tanto, tantissimo volontariato sostituisce ed integra l’azione preziosa degli operatori, ma manca assolutamente la possibilità e la prospettiva del lavoro. Potrebbe essere quello saltuario e turnato, come già accade nell’ambito del carcere; potrebbe essere quello dell’utilità sociale, oppure quello imprenditoriale da insegnare, ma tutto concorre ad una maggiore libertà, capacità di progettare, proiezione fuori dal carcere e soprattutto uscita ed esodo dall’invisibilità dei cittadini attualmente detenuti nelle “patrie galere”.

In un recente articolo, dell’11 ottobre 2019 sull’Osservatore Romano, Gaetano Vallini spiega che “come ha detto di recente Papa Francesco ai membri dell’ Amministrazione penitenziaria italiana, se non si garantiscono condizioni di vita decorose ai detenuti, le carceri diventano polveriere di rabbia. E, ha aggiunto, se si chiude in cella la speranza, non c’è futuro per la società”. Di contro, e non è confortevole e bello, prolifereranno sempre più i cittadini invisibili di una società ipocrita e distratta.☺

 

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