I didn’t like it, mr trump
28 Luglio 2020
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I didn’t like it, mr trump

Avevo pensato che più niente di quello che facesse o dicesse il presidente degli USA mi poteva stupire, ma mi sono sbagliata.

Per me, sono state quasi peggiori di tutte le sue minacce contro la Cina, la Russia, il Venezuela, Cuba o Iran, le quattro parole che ha pronunciato il 26 maggio scorso. Ha detto che la notte prima aveva visto come l’afroamericano George Floyd era stato assassinato da un poliziotto bianco, assistito da tre colleghi che, per più di otto minuti, hanno visto morire e sentito gridare l’uomo che chiedeva di poter respirare. Il presidente Trump non ha trovato su quell’episodio altro che queste quattro parole: I didn’t like it, (Non mi è piaciuto). Come se facesse la recensione di un film, o di un libro, o di un dipinto. Questo è stato tutto quello che il presidente di un paese grande, forte ed importante sulla scena internazionale ha saputo dire su un atto di una barbarie inaudita, un atto che, come abbiamo saputo nelle giornate dopo il 25 maggio, non è neanche un atto isolato. Quello che differenzia l’azione razzista del poliziotto di Minneapolis da altre azioni simili è il fatto che sia stato filmato dall’inizio alla fine, da una posizione abbastanza ravvicinata, e con l’audio che ci permette di contare quante volte George Floyd aveva gridato, detto e finalmente sussurrato I can’t breathe, non posso respirare!

Gli atti di razzismo negli USA non sono una novità, come non sono una novità le manifestazioni che si organizzano quando uno di questi atti diventa pubblico. Non sono neanche una novità i saccheggi e gli incendi che si realizzano al margine di una manifestazione antirazzista pacifica. Ma questa volta c’è una novità nelle città americane dove la protesta contro il razzismo prosegue da quasi un mese: questa volta, una grandissima parte dei manifestanti sono bianchi, e credo che questo è un fatto che ha sorpreso anche il presidente Trump. Credo che all’inizio, a lui giovasse avere un po’ di proteste nel paese, cosi poteva continuare a dividere il popolo nord-americano in ‘buoni’ e ‘cattivi’, essendo i cattivi, nella sua opinione, soprattutto gli immigrati ed anche gli afroamericani. Cosi poteva far dimenticare al popolo che la divisione più importante è quella fra ricchi e poveri, essendo i poveri, guarda caso, soprattutto gli immigrati e gli afroamericani.

E sono proprio questi gruppi della popolazione degli USA quelli che hanno avuto più morti a causa del coronavirus. Ciò è dovuto al fatto che gran parte di questi americani vivono in condizioni precarie ed in povertà, e questo è anche il motivo per il quale paesi come Brasile, Ecuador e Perù hanno il numero maggiore di morti e di contagiati da COVID-19, perché in una favela è piuttosto difficile rispettare la ‘distanza sociale’. Almeno Trump crede di aver trovato la soluzione per questo problema. L’altro ieri ha tenuto un comizio elettorale dove ha detto quasi testualmente: “Più test facciamo, più contagiati abbiamo. Per questo ho detto alla mia gente di fare meno test”. Bravo, Mister President! Così possiamo aprire i confini d’Europa per ricevere i turisti americani, non testati, ergo, non contagiati, e la nostra economia, almeno il nostro turismo, può ripartire alla grande…

Ma voglio ancora una volta ritornare al tema della morte di George Floyd. Uno sportivo palestinese, Mohammad Alqadi, ha scritto su Twitter, dopo aver visto il filmato del ginocchio bianco sul collo nero: “È pazzesco, la stessa cosa succede in Palestina, ma il mondo ha deciso di ignorare questo fatto”. Sotto questa frase ha postato quattro immagini che mostrano soldati israeliani con il ginocchio sul collo di un abitante della Palestina. Amnesty International conferma inoltre che centinaia di poliziotti degli USA sono stati formati, in Israele, da militari conosciuti per le loro violazioni dei diritti umani. Viva la globalizzazione!

Devo confessare che fra l’una e l’altra frase saggia del presidente degli USA, trovo anche delle notizie belle, come per esempio le manifestazioni di 20.000 abitanti di Berlino contro il razzismo, in primo luogo quello istituzionale, strutturale. Per una volta posso dire che sono orgogliosa degli abitanti della città dove sono nata.☺

 

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