I libri deuterocanonici
Nelle bibbie cattoliche e in molte bibbie ortodosse, oltre ad avere un diverso ordine dei libri dell’Antico Testamento, cosa in comune con le bibbie protestanti, c’è anche una quantità maggiore di libri, in quanto ne vengono aggiunti alcuni tramandati solo dalla bibbia greca detta dei Settanta. Si tratta dei cosiddetti deuterocanonici: libri che sono classificabili all’interno dei generi letterari già presenti nella bibbia ebraica, come i libri narrativi o storici, i profeti e i sapienziali, per cui, come ha intuito in modo illuminante uno studioso, potremmo considerare il canone biblico a cerchi concentrici dove il cerchio più interno è costituito dai libri della bibbia ebraica, riconosciuti anche da tutte le confessioni cristiane, e il cerchio esterno è quello dove si collocano i libri, scritti sempre da ebrei prima dell’era cristiana, accolti dai cattolici e ortodossi (7 libri più alcune aggiunte di Daniele ed Ester) o solo dagli ortodossi (altri 5 libri più il Salmo 151). I sette libri accolti da cattolici e ortodossi sono Giuditta, Tobia, 1 e 2 Maccabei, Sapienza, Siracide, Baruc (inclusa la Lettera di Geremia). Gli ortodossi, per prassi aggiungono 3-4 Esdra, 3-4 Maccabei e la Preghiera di Manasse. Alcune bibbie di ispirazione ecumenica, come la bibbia Tob, che dispongono l’Antico Testamento secondo la divisione ebraica, pongono i deuterocanonici come quarta parte dell’Antico, subito prima del Nuovo.
Mi vorrei soffermare sulla presenza soprattutto del primo libro dei Maccabei, che racconta l’inizio della rivolta di un gruppo di zelanti ebrei che si rifiutavano di accogliere i costumi greci e, attraverso una serie di battaglie, riuscirono ad ottenere l’indipendenza dai dominatori siriani, anche se per poco, in quanto di lì a breve arrivarono i romani con Pompeo Magno. Durante questo periodo è stato scritto anche il libro di Daniele ma, mentre questo è entrato a far parte della bibbia ebraica, i Maccabei sono rimasti fuori. Ciò che distingue questi due tipi di libri è la filosofia di fondo, ispirata alla nonviolenza quella di Daniele, alla rivolta armata invece quella dei Maccabei.
Perché i maestri d’Israele, che hanno definito i confini della loro bibbia agli inizi dell’era cristiana, hanno preferito tenere dentro un testo che esortava alla nonviolenza ed escludere invece il racconto delle gesta dei loro eroi nazionali che diedero inizio ad una dinastia di re che si è estinta dopo la distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C.? Molto probabilmente perché hanno fatto l’esperienza di troppe guerre fratricide, dove, con la scusa di combattere i romani, abusando della forza delle armi, hanno sterminato anche quelli del popolo che non la pensavano come i rivoltosi.
Di queste vicende parla soprattutto uno storico giudeo, Giuseppe Flavio nella sua opera sulla Guerra giudaica, iniziata sotto Nerone e finita sotto Vespasiano. Nelle sue opere maggiori (quindi anche nelle Antichità Giudaiche) Giuseppe racconta le vicende che partono dai Maccabei e arrivano alla prima rivolta giudaica: un’epoca in cui erano la violenza e la sopraffazione a caratterizzare la vita del popolo ebraico, né più né meno di quanto accadeva prima dell’esilio a Babilonia. Dopo un’epoca così buia, la parte del popolo sopravvissuta ha imparato, a sue spese, che la violenza non conduce da nessuna parte per cui per molto tempo (fino al nostro tempo) l’ebraismo, nonostante tutte le persecuzioni subìte da parte soprattutto dei cristiani, ha abbracciato la via della nonviolenza, tenendo fuori dalla propria Scrittura quei libri che incitavano all’uso della forza.
Mi piace citare, a tal proposito, anche una parte del discorso rivolto proprio da Giuseppe Flavio ai rivoltosi, sotto le mura di Gerusalemme, poco prima della distruzione ad opera di Tito, parole che sono un manifesto della nonviolenza: “Non vi fu impresa in cui i nostri padri trionfarono con le armi, né vi fu impresa in cui, pur disarmati, essi fallirono dopo essersi affidati a Dio; senza muoversi dal loro posto essi vinsero secondo il volere del giudice supremo, mentre quando scesero in campo, furono sempre sconfitti” (Guerra giudaica V,9,390).
Giuseppe, per essersi consegnato ai romani, è stato oggetto di damnatio memoriae da parte ebraica, mentre è stato conservato dai cristiani, perché narra del periodo in cui si sono svolte le vicende di Gesù e dei primi cristiani. E proprio i cristiani, il cui Maestro ha predicato la nonviolenza e l’amore del nemico, ironia della sorte, hanno conservato anche quei libri dei Maccabei che parlano di guerra e stragi. In realtà questi libri sono entrati nella bibbia cristiana per lo stesso motivo per cui è stato conservato Giuseppe Flavio: raccontano le vicende del popolo fino al momento in cui arriva Gesù, di cui parlerà il Nuovo Testamento ma, oltre a ciò, i cristiani, grazie a studiosi illuminati come Origene, hanno saputo neutralizzare, almeno all’inizio della loro storia, la violenza di quei testi, interpretati in maniera spirituale come la lotta del credente contro il peccato. Poi, con la “conversione” dell’ Impero Romano, anche nel mondo cristiano si sono letti i Maccabei per farsi ispirare alle guerre sante e di religione, ma è da registrare che nei primi tre secoli hanno decisamente scelto la nonviolenza perché Gesù ha insegnato che bisogna pregare per i nemici e porgere l’altra guancia.
Di fronte all’atteggiamento bellicoso dello stato ebraico che in nome della pretesa autodifesa fa strage di innocenti disarmati, forse è necessario ricordare la scelta che fecero gli antichi maestri d’Israele che hanno messo alla porta gli istinti bellicosi che li avevano portati all’autodistruzione, anche attraverso l’esclusione di quei libri che legittimavano, se mal interpretati, la violenza, e hanno scelto, invece, con tutto il cuore di affidarsi alle mani di quel Dio che ascolta il grido degli oppressi e scende a liberarli, senza, come ha ricordato Giuseppe Flavio, l’uso della forza.☺