Che ci fa un cavallo di legno, solo, enorme, davanti alle mura di Troia? Com’è bello e ben lavorato, pare vivo! È senz’altro dono degli dei!
Nella forma di racconti legati a vicende esemplari il mito conserva esperienze, modelli di comportamento, schemi di pensiero utili a interpretare il rapporto fra i singoli o fra i gruppi all’interno di una collettività. Può funzionare, il mito, come un serbatoio di “risposte” acquisite, a cui ricorrere tutte le volte in cui si pongono ad una comunità delle domande gravi e profonde.
La storia del cavallo di Troia è un inganno abilmente congegnato: alle trame di un consumato stratega e dei suoi complici risponde, sprovveduta e incauta, una intera città.
La vicenda è nota: l’incapacità di porre fine a una guerra che dura ormai da troppo tempo suggerisce ai Greci di ricorrere ad uno stratagemma.
“Generali, Achille è morto e non possiamo più sperare di vincere i Troiani in guerra aperta, ma forse con un’astuzia potremo riuscire. Occorre trovare il modo di ingannare i nostri nemici e sorprenderli quando meno se l’aspettano, altrimenti dovremo tornarcene a casa con gran vergogna e con gli insulti di chi dirà: ‘Dieci anni sono stati lontani quei forti guerrieri, dieci anni hanno combattuto per riavere Elena, ma la donna è rimasta a Troia ed essi son tornati a mani vuote!’ Non possiamo tollerarlo, generali, dobbiamo vincere a qualunque costo, ed ogni strada è buona purché si ottenga la vittoria”.
A scuotere gli animi è Ulisse, che propone anche la soluzione: “Fabbriche- remo un cavallo di legno, ben lavorato, tutto dipinto, e grande abbastanza da contenere otto o dieci persone. Lo faremo entrare in città, e nel mezzo della notte i guerrieri nascosti dentro il cavallo usciranno, apriranno le porte, e Troia sarà invasa dai nostri”.
Esperti falegnami realizzarono nel minor tempo possibile l’opera e un certo Sinone fu incaricato di diffondere la voce che gli Achei, stanchi della guerra, stavano per riprendere il mare; prima di partire avrebbero offerto in dono a Pallade Atena un cavallo di straordinaria grandezza affinché la dea fosse propizia alla navigazione.
“Finchè il cavallo resterà fuori delle mura – assicurava Sinone – gli Achei saranno salvi e sicuri durante la navigazione; ma se il cavallo entrasse nella vostra piazza più grande, davanti al tempio di Atena, si scatenerebbe una tempesta terribile, onde enormi farebbero colare a fondo le navi, venti furiosi le spezzerebbero, e i corpi dei vostri nemici sarebbero gettati sulla spiaggia”.
Cassandra, la più bella delle figlie di Priamo, usciva in quel punto fuori le mura. Quando fu davanti al cavallo si gettò a terra piangendo e gridò: “E’ vivo il cavallo! Respira, cammina, porta armi! Non conducetelo a Troia! Ecco! Corrono per la città, vi uccidono! Ah! Tutti morti, tutto sangue! Sangue e catene! Pianti, grida, dolore, disperazione!”.
Ma nessuno le credeva, e sempre più si affollavano intorno al cavallo per ammirarlo. Parlò anche il sacerdote Laocoonte: “Non vi fidate dei Greci, non vi fidate di Sinone!”. Due serpenti spaventosi, enormi, vennero dal mare e si avvolsero forte intorno al suo corpo, stritolandolo. Muti di spavento di fronte all’orribile scena, nessuno pensò più di lasciare il cavallo fuori le mura.
Così il cavallo fu portato nella città, e i Troiani, credendo di essersi finalmente liberati dei nemici, banchettarono fino a notte. Poi ognuno andò a riposare, stanco e contento, senza accorgersi che tornavano le navi nemiche, e i guerrieri nascosti nel cavallo scendevano di nuovo alla spiaggia, armati per combattere e assetati di sangue.
La rovina di un popolo causata da un’orribile messa in scena.
L’universo simbolico del mito è in grado di suggerire chiavi di lettura anche a noi contemporanei: fuor di metafora oggi cavallo di Troia può essere qualsiasi sistema – politico, economico, culturale – che predilige il ricorso a stratagemmi, raffinati, sottili, elaborati purché consentano di raggiungere obiettivi insperati, di superare ostacoli insormontabili, di aggirare la realtà.
Un redivivo cavallo di legno, applaudito e venerato, invade anche oggi con la sua arrogante prepotenza gli spazi delle piazze e scarica uomini che occupano i posti chiave della politica, dell’economia, dell’informazione.
Solo qualche secolo fa Machiavelli, riferendosi ad un ideale principe, e attribuendogli doti di gran simulatore e dissimulatore, gli consigliava di apparire sempre “tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto umanità, tutto religione” proprio perché la natura del popolo – oggi lo chiameremmo opinione pubblica – è tale che “colui che inganna sempre troverà chi si lascerà ingannare”. ☺
annama.mastropietro@tiscali.it
Che ci fa un cavallo di legno, solo, enorme, davanti alle mura di Troia? Com’è bello e ben lavorato, pare vivo! È senz’altro dono degli dei!
Nella forma di racconti legati a vicende esemplari il mito conserva esperienze, modelli di comportamento, schemi di pensiero utili a interpretare il rapporto fra i singoli o fra i gruppi all’interno di una collettività. Può funzionare, il mito, come un serbatoio di “risposte” acquisite, a cui ricorrere tutte le volte in cui si pongono ad una comunità delle domande gravi e profonde.
La storia del cavallo di Troia è un inganno abilmente congegnato: alle trame di un consumato stratega e dei suoi complici risponde, sprovveduta e incauta, una intera città.
La vicenda è nota: l’incapacità di porre fine a una guerra che dura ormai da troppo tempo suggerisce ai Greci di ricorrere ad uno stratagemma.
“Generali, Achille è morto e non possiamo più sperare di vincere i Troiani in guerra aperta, ma forse con un’astuzia potremo riuscire. Occorre trovare il modo di ingannare i nostri nemici e sorprenderli quando meno se l’aspettano, altrimenti dovremo tornarcene a casa con gran vergogna e con gli insulti di chi dirà: ‘Dieci anni sono stati lontani quei forti guerrieri, dieci anni hanno combattuto per riavere Elena, ma la donna è rimasta a Troia ed essi son tornati a mani vuote!’ Non possiamo tollerarlo, generali, dobbiamo vincere a qualunque costo, ed ogni strada è buona purché si ottenga la vittoria”.
A scuotere gli animi è Ulisse, che propone anche la soluzione: “Fabbriche- remo un cavallo di legno, ben lavorato, tutto dipinto, e grande abbastanza da contenere otto o dieci persone. Lo faremo entrare in città, e nel mezzo della notte i guerrieri nascosti dentro il cavallo usciranno, apriranno le porte, e Troia sarà invasa dai nostri”.
Esperti falegnami realizzarono nel minor tempo possibile l’opera e un certo Sinone fu incaricato di diffondere la voce che gli Achei, stanchi della guerra, stavano per riprendere il mare; prima di partire avrebbero offerto in dono a Pallade Atena un cavallo di straordinaria grandezza affinché la dea fosse propizia alla navigazione.
“Finchè il cavallo resterà fuori delle mura – assicurava Sinone – gli Achei saranno salvi e sicuri durante la navigazione; ma se il cavallo entrasse nella vostra piazza più grande, davanti al tempio di Atena, si scatenerebbe una tempesta terribile, onde enormi farebbero colare a fondo le navi, venti furiosi le spezzerebbero, e i corpi dei vostri nemici sarebbero gettati sulla spiaggia”.
Cassandra, la più bella delle figlie di Priamo, usciva in quel punto fuori le mura. Quando fu davanti al cavallo si gettò a terra piangendo e gridò: “E’ vivo il cavallo! Respira, cammina, porta armi! Non conducetelo a Troia! Ecco! Corrono per la città, vi uccidono! Ah! Tutti morti, tutto sangue! Sangue e catene! Pianti, grida, dolore, disperazione!”.
Ma nessuno le credeva, e sempre più si affollavano intorno al cavallo per ammirarlo. Parlò anche il sacerdote Laocoonte: “Non vi fidate dei Greci, non vi fidate di Sinone!”. Due serpenti spaventosi, enormi, vennero dal mare e si avvolsero forte intorno al suo corpo, stritolandolo. Muti di spavento di fronte all’orribile scena, nessuno pensò più di lasciare il cavallo fuori le mura.
Così il cavallo fu portato nella città, e i Troiani, credendo di essersi finalmente liberati dei nemici, banchettarono fino a notte. Poi ognuno andò a riposare, stanco e contento, senza accorgersi che tornavano le navi nemiche, e i guerrieri nascosti nel cavallo scendevano di nuovo alla spiaggia, armati per combattere e assetati di sangue.
La rovina di un popolo causata da un’orribile messa in scena.
L’universo simbolico del mito è in grado di suggerire chiavi di lettura anche a noi contemporanei: fuor di metafora oggi cavallo di Troia può essere qualsiasi sistema – politico, economico, culturale – che predilige il ricorso a stratagemmi, raffinati, sottili, elaborati purché consentano di raggiungere obiettivi insperati, di superare ostacoli insormontabili, di aggirare la realtà.
Un redivivo cavallo di legno, applaudito e venerato, invade anche oggi con la sua arrogante prepotenza gli spazi delle piazze e scarica uomini che occupano i posti chiave della politica, dell’economia, dell’informazione.
Solo qualche secolo fa Machiavelli, riferendosi ad un ideale principe, e attribuendogli doti di gran simulatore e dissimulatore, gli consigliava di apparire sempre “tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto umanità, tutto religione” proprio perché la natura del popolo – oggi lo chiameremmo opinione pubblica – è tale che “colui che inganna sempre troverà chi si lascerà ingannare”. ☺
Che ci fa un cavallo di legno, solo, enorme, davanti alle mura di Troia? Com’è bello e ben lavorato, pare vivo! È senz’altro dono degli dei!
Nella forma di racconti legati a vicende esemplari il mito conserva esperienze, modelli di comportamento, schemi di pensiero utili a interpretare il rapporto fra i singoli o fra i gruppi all’interno di una collettività. Può funzionare, il mito, come un serbatoio di “risposte” acquisite, a cui ricorrere tutte le volte in cui si pongono ad una comunità delle domande gravi e profonde.
La storia del cavallo di Troia è un inganno abilmente congegnato: alle trame di un consumato stratega e dei suoi complici risponde, sprovveduta e incauta, una intera città.
La vicenda è nota: l’incapacità di porre fine a una guerra che dura ormai da troppo tempo suggerisce ai Greci di ricorrere ad uno stratagemma.
“Generali, Achille è morto e non possiamo più sperare di vincere i Troiani in guerra aperta, ma forse con un’astuzia potremo riuscire. Occorre trovare il modo di ingannare i nostri nemici e sorprenderli quando meno se l’aspettano, altrimenti dovremo tornarcene a casa con gran vergogna e con gli insulti di chi dirà: ‘Dieci anni sono stati lontani quei forti guerrieri, dieci anni hanno combattuto per riavere Elena, ma la donna è rimasta a Troia ed essi son tornati a mani vuote!’ Non possiamo tollerarlo, generali, dobbiamo vincere a qualunque costo, ed ogni strada è buona purché si ottenga la vittoria”.
A scuotere gli animi è Ulisse, che propone anche la soluzione: “Fabbriche- remo un cavallo di legno, ben lavorato, tutto dipinto, e grande abbastanza da contenere otto o dieci persone. Lo faremo entrare in città, e nel mezzo della notte i guerrieri nascosti dentro il cavallo usciranno, apriranno le porte, e Troia sarà invasa dai nostri”.
Esperti falegnami realizzarono nel minor tempo possibile l’opera e un certo Sinone fu incaricato di diffondere la voce che gli Achei, stanchi della guerra, stavano per riprendere il mare; prima di partire avrebbero offerto in dono a Pallade Atena un cavallo di straordinaria grandezza affinché la dea fosse propizia alla navigazione.
“Finchè il cavallo resterà fuori delle mura – assicurava Sinone – gli Achei saranno salvi e sicuri durante la navigazione; ma se il cavallo entrasse nella vostra piazza più grande, davanti al tempio di Atena, si scatenerebbe una tempesta terribile, onde enormi farebbero colare a fondo le navi, venti furiosi le spezzerebbero, e i corpi dei vostri nemici sarebbero gettati sulla spiaggia”.
Cassandra, la più bella delle figlie di Priamo, usciva in quel punto fuori le mura. Quando fu davanti al cavallo si gettò a terra piangendo e gridò: “E’ vivo il cavallo! Respira, cammina, porta armi! Non conducetelo a Troia! Ecco! Corrono per la città, vi uccidono! Ah! Tutti morti, tutto sangue! Sangue e catene! Pianti, grida, dolore, disperazione!”.
Ma nessuno le credeva, e sempre più si affollavano intorno al cavallo per ammirarlo. Parlò anche il sacerdote Laocoonte: “Non vi fidate dei Greci, non vi fidate di Sinone!”. Due serpenti spaventosi, enormi, vennero dal mare e si avvolsero forte intorno al suo corpo, stritolandolo. Muti di spavento di fronte all’orribile scena, nessuno pensò più di lasciare il cavallo fuori le mura.
Così il cavallo fu portato nella città, e i Troiani, credendo di essersi finalmente liberati dei nemici, banchettarono fino a notte. Poi ognuno andò a riposare, stanco e contento, senza accorgersi che tornavano le navi nemiche, e i guerrieri nascosti nel cavallo scendevano di nuovo alla spiaggia, armati per combattere e assetati di sangue.
La rovina di un popolo causata da un’orribile messa in scena.
L’universo simbolico del mito è in grado di suggerire chiavi di lettura anche a noi contemporanei: fuor di metafora oggi cavallo di Troia può essere qualsiasi sistema – politico, economico, culturale – che predilige il ricorso a stratagemmi, raffinati, sottili, elaborati purché consentano di raggiungere obiettivi insperati, di superare ostacoli insormontabili, di aggirare la realtà.
Un redivivo cavallo di legno, applaudito e venerato, invade anche oggi con la sua arrogante prepotenza gli spazi delle piazze e scarica uomini che occupano i posti chiave della politica, dell’economia, dell’informazione.
Solo qualche secolo fa Machiavelli, riferendosi ad un ideale principe, e attribuendogli doti di gran simulatore e dissimulatore, gli consigliava di apparire sempre “tutto pietà, tutto fede, tutto integrità, tutto umanità, tutto religione” proprio perché la natura del popolo – oggi lo chiameremmo opinione pubblica – è tale che “colui che inganna sempre troverà chi si lascerà ingannare”. ☺
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