il salice
20 Febbraio 2010 Share

il salice

Per l’intenso colore giallo dei suoi rami nudi che ravvivano la desolazione dei campi in pieno inverno, il salice è una delle piante più facilmente riconoscibili. L’emissione poi delle gemme setose color grigio ferro e lo sbocciare dei fiori maschili, dai lunghi stami gialli riuniti in spighe, creano un effetto così decorativo che pochi resistono alla tentazione di raccoglierne un mazzo quale simbolo della primavera che presto arriverà.

            Il salice è solitamente legato all’idea dell’acqua; sulle rive di un ruscello, un fiume o un modesto laghetto, ecco il salice che vi si specchia, creando l’ambiente tipico dei luoghi freschi e verdeggianti. «Cantate il salice, il verde salice…» recita Desdemona nell’Otello di Shakespeare. «Del rio le limpide acque fuggenti…» prosegue la bella canzone, ed infatti questa pianta ha bisogno di grande umidità nel suolo per soddisfare la sua grande sete.

            Virgilio consigliava di piantare salici vicino agli alveari per avere polline e nettare dai fiori. Quanto il salice poi fosse apprezzato nell’antica Roma appare evidente ricordando il nome di uno dei sette colli, il Viminale, dovuto ad un bosco di salici da vimini che ne copriva le pendici.

            Con il nome scientifico Salix alba i Romani indicavano diverse specie di queste piante; il termine Salix forse deriva dal celtico sal lis, “presso l’acqua”; alba, cioè “bianco”, si riferisce invece alla pagina inferiore delle foglie, argentata, che riflette la luce. In Italia si possono trovare circa una trentina di specie, molte delle quali spontanee ed alcune coltivate. Tra queste ultime ricordiamo il salice piangente (Salix babilonica), di bell’effetto per i rami penduli oscillanti al minimo soffio di vento.

            Il salice non è soltanto bello, ma è anche ricco di molte virtù. Utile all’uomo, anzi, come poche altre piante: la corteccia, grazie alla gran quantità di tannino, è usata da tempi remoti per la concia delle pelli; le foglie e la corteccia dei rami giovani trovano impiego in erboristeria; il legno può essere utilizzato per intaglio e per comune falegnameria; i rami sottili sono la materia prima per lavori di intreccio, mentre quelli più grossi diventano pali di sostegno; le foglie servono per tingere di giallo lana e tessuti; le forti radici consolidano i terreni franosi; i fiori e le gemme, come già detto, rallegrano la monotona fine dell’inverno.

            Anche le proprietà terapeutiche del salice sono note sin dall'antichità: nelle Storie, Erodoto raccontava di un popolo inspiegabilmente più resistente di altri alle comuni malattie, che usava mangiare foglie di salice. Nella stessa epoca, Ippocrate descriveva le proprietà terapeutiche di “una polvere amara estratta dalla corteccia del salice”, utile per alleviare il dolore ed abbassare la febbre. Anche altri popoli antichi, tra cui gli Indiani d'America, usavano in medicina le foglie e la corteccia del salice per le proprietà analgesiche, antinfiammatorie, antireumatiche, nonché antiaggreganti e fluidificanti del sangue. Nell'Ottocento fu finalmente isolato il principio attivo contenuto nella corteccia del salice, la salicina, chimicamente molto affine all'acido acetilsalicilico, meglio noto come Aspirina. La corteccia può essere usata ancora come polvere cicatrizzante. E se vogliamo conciliare il sonno possiamo bere un infuso con i fiori del salice.

            Questa pianta si riproduce con estrema facilità: spesso un ramo interrato con l’intenzione di farne un palo da sostegno, a primavera può generare foglie e fiori.                   

            Una volta le piante del salice erano piuttosto numerose nel nostro territorio perché tante famiglie possedevano un piccolo appezzamento di terreno coltivato a vite: ’a v’gnerèlle per il fabbisogno familiare. Le talee del salice venivano messe a dimora in prossimità di un pozzo dal quale attingere acqua per i trattamenti alle colture, oppure lungo un corso d’acqua o vicino ad una sorgente. Il salice doveva fornire i suoi rami giovani e flessibili per legare le viti o le piante dell’orto vicino ai sostegni, mentre i rami più robusti per legare le fascine. Per avere rami giovani si ricorreva, annualmente, alla capitozzatura del tronco. 

            Da non dimenticare poi i lavori di intreccio con i rami lunghi e sottili del salice: in passato, mani abilissime di esperti o appassionati, impossibilitati dalle avversità climatiche a lavorare nei campi, riuscivano, nelle lunghe ore trascorse intorno al camino, a creare manufatti, veri e propri capolavori d’arte. I rami che si prestano meglio alla lavorazione vengono prelevati dalla varietà nota nel nostro dialetto col nome di ’u sàuce ggendile (Salix viminalis). Quelli con il diametro più grande vanno suddivisi in due o più parti nel senso longitudinale; in altre parole vengono spaccati. Il termine “spaccare” si ritrova in un detto diffuso nel nostro paese, per cui a chi chiede come viva e cosa faccia un individuo, ridotto in miseria per sfortuna o per negligenza, capita di sentirsi rispondere: spacche ’i sàuce! ☺

                giannotti.gildo@gmail.co

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