il diritto all’acqua
22 Marzo 2010 Share

il diritto all’acqua

 

La battaglia per l’acqua è battaglia per la democrazia. In molti modi – oltre che attraverso queste testuali parole – è risuonato tale monito, il 16 gennaio scorso, nella sala Celestino V di Campobasso. E se una sintesi telegrafica fosse mai possibile per il convegno “l’acqua bene comune e processi di privatizzazione”, (coordinato da don Silvio Piccoli e al quale hanno partecipato Giovanni Cocciro, del Coordinamento Nazionale Enti Locali per l’Acqua Pubblica, e Corrado Oddi, del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua), sarebbe senz’altro compendiata in questa concisa e decisa presa di coscienza che, lungi dal voler aggiungere un altro pezzo al festival degli slogan, coglie in pieno il senso di un allarme e l’urgenza di assumere il ruolo di cittadini svegli, attivi e informati.

Mons. Bregantini, d’altronde, ha aperto i lavori con poche e decisive parole che, da sole, hanno letto il problema in un’ottica globale: l’acqua è un bene di tutti e per tutti, e un suo uso saggio è dovere di ciascuno.

Allora, proviamo a capirci qualche cosa, pur sapendo che – avendo “la fonte” scrupolosamente seguito e documentato, da sempre, le complesse vicende locali e nazionali legate allo spettro della privatizzazione dell’acqua – potremo incorrere nel rischio di ripetere qualcosa che ha già trovato abbondante spazio su queste pagine. Un pizzico di pazienza, dunque. Poiché – come si fa a scuola quando tornano gli alunni assenti per molti giorni dopo essere stati vittime dell’influenza – è opportuno ricapitolare un poco per chi non c’era.

Due sono le spade di Damocle che attualmente pendono sul capo dei molisani in fatto di acqua: una – amabilmente condivisa con il resto dei connazionali – è l’art. 23 bis della Legge 133 del 2008, una norma “bomba”, approvata dal Parlamento il 6 agosto 2008, che sostanzialmente obbliga tutti i comuni a mettere a gara i servizi idrici, affidandoli alla mercè di soggetti privati, entro il 2010.

È la zampata sull’acqua che le multinazionali attendono con la bava alla bocca e che sta già falcidiando le tasche e le vite di quelli che non possono pagare. In Italia e fuori. È sancire la definitiva trasformazione dell’acqua – sarebbe come dire l’aria, o no? – da diritto in bisogno, da bene comune ed essenziale (che va garantito a tutti almeno nella misura che consente la sopravvivenza e garantisce la dignità, e secondo l’ONU questa misura “pesa” 50 litri al giorno a persona), a “bene di rilevanza economica”, cioè a merce soggetta alle comuni leggi del mercato.

Ma “l’acqua è essenza della vita e diritto umano fondamentale”, si legge in apertura del Rapporto 2006 dell’ONU sullo sviluppo umano. “L’acqua è un diritto non una merce!”, grida il logo della campagna “Acqua bene comune dell’umanità”, una delle più note fra quelle che negli ultimi anni hanno raccolto firme per la legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione dell’acqua e stanno informando, svegliando le coscienze, sensibilizzando.

“L’acqua è un diritto che non può essere affidato a interessi privati”, ha ammonito la diocesi di Termoli-Larino già due anni fa, in un accorato appello ai sindaci del Molise che si apprestavano a riunirsi nell’assemblea dell’ATO per decidere a quale soggetto privato affidare la gestione della rete idrica regionale. Affidamento per altro mai avvenuto.

E allora? Come muoversi? Un momento, prima la seconda spada.

Squisitamente locale, è la proposta di legge regionale 113, “Nuova disciplina in materia di organizzazione del servizio idrico integrato”, attualmente in discussione, che avocherebbe alla Regione Molise quella che invece è un’assoluta prerogativa dei nostri 136 comuni, la gestione delle risorse idriche, esponendoci concretamente – nel solco e nello scenario aperto dal 23bis – al rischio di un affidamento della nostra acqua a privati. Un rischio che l’ATO considera scongiurato, a dire il vero, perché – dice il suo presidente Mario Ferocino –  “tanto per i 136 comuni che per la stessa Regione Molise non è mai stata in discussione, dal 2006 in poi, la gestione totalmente pubblica dell’acqua. Questo è stato ribadito numerose volte ed è un punto fermo indiscutibile”; pur tuttavia questo eventuale passaggio di competenze preoccupa ancora, e in modo inquietante, le coscienze di chi sta seguendo attentamente l’evolversi della vicenda. E ne teme sviluppi pericolosi. 

E veniamo a uno dei protagonisti di questa scottante polemica locale: l’AATO, ossia l’Autorità d’Ambito Territoriale Ottimale che, nata in Molise nel 1999 – in attuazione alla Legge Galli del 1994, quella che istituisce il servizio idrico integrato, dando per la prima volta facoltà di affidare i servizi idrici a gestori privati -, ha rappresentato una profonda riorganizzazione dell’assetto dei servizi idrici, che da allora sono stati riuniti, nel caso del Molise, in un unico bacino idrografico esteso a tutto il territorio regionale.

L’ATO, dunque, che è diventata pienamente operativa nel 2003 e che  si è occupata fin ora di distribuzione, fognatura e depurazione (mentre l’azienda speciale regionale Molise Acque ha provveduto e provvede alla captazione alle sorgenti, e alla grande adduzione), non ha mai trovato un accordo sull’affidamento della gestione di tali servizi ad un soggetto terzo, così come la Galli imponeva, ed  è ormai in scadenza. Ecco perché, secondo Giacinto Conti, l’estensore materiale della  legge 113 attualmente in discussione, la Regione con un colpo di mano avrebbe scavalcato i  comuni e l’immobilismo dell’ATO pur di uscire dallo stallo. Discutibile? Abbastanza, visto che, in tale scenario, ai comuni non resterebbe che un potere meramente consultivo e lo stesso Comitato d’Ambito sarebbe “politicizzato” e sottratto ad un coordinamento qualificato e continuato, poiché sarebbe presieduto dall’Assessore regionale di turno.

Attivarsi dal basso, dunque, per evitare tale sottrazione di competenze ai comuni è il primo gesto da compiere se si vuole che l’acqua resti nelle mani dei cittadini e dei loro diretti amministratori. Una sentenza del Tar Sicilia del 24.11.2008, d’altronde, ribadisce con forza che la competenza nella gestione del servizio idrico resta ai comuni che compongono l’ATO. La Regione Molise non può ignorare che andrebbe in totale controtendenza rispetto a questa dichiarazione di titolarità. E attivarsi dal basso, mettere in moto gli enti locali, è la pressante sollecitazione che hanno lanciato sia Giovanni Cocciro che Corradi Oddi, che hanno portato testimonianze di grande spessore al tavolo dei relatori.

Il primo ha “offerto” l’espe- rienza straordinaria del comune di Cologno Monzese, di cui è assessore, in cui il sindaco, un paio d’anni fa, “sedotto” dallo spettacolo H2Oro della Compagnia Teatrale Itineraria – che fu invitata anche a Campobasso nel giugno 2007 dal gruppo Pace e Mondialità della Caritas diocesana – ha intrapreso una tenace battaglia per garantire l’acqua pubblica ai cittadini (soprattutto agli extracomunitari) e per difendere l’acqua di acquedotto dal business delle minerali. Quante persone, di quelle che si caricano 12 litri a settimana in cotanta plastica, sanno che l’acqua di rubinetto “passa” per 350 controlli all’anno, mentre l’elegante minerale ne ha uno solo? “Giù le mani dall’acqua, dal Piemonte alla Sicilia”, ha concluso così, invitando a unirsi e a valorizzare l’opera e le potenzialità del neonato Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per l’Acqua Pubblica.

Gli ha fatto eco Corrado Oddi, che ha sottolineato l’indubbia, maggiore sensibilità che sta maturando sul tema dell’emergenza idrica mondiale e della privatizzazione. Tre esempi per tutti: il Forum Sociale di Malmo nel 2008, le reti europea, africana e sudamericana per l’acqua pubblica, e la “marcia indietro” di Parigi che si appresta a togliere alla multinazionale Suez la gestione dei servizi idrici cittadini per ripubblicizzarli. L’acqua non può mancare a chi non la può pagare. È una mostruosità. E la privatizzazione la farebbe diventare una roba da ricchi. Come si può stare a guardare? Se è vero, come ha ricordato, che “le cose funzionano quando c’è protagonismo dal basso”, un suo protagonismo il Molise deve esercitarlo: perché non scrivere nelle delibere, negli statuti e in quant’altri documenti ufficiali, che l’acqua è un bene comune, è un bene pubblico e non di rilevanza economica, ed è un diritto? Il 23 bis non potrà ignorare la potestà dei comuni in tal senso. Perché non usare tutte le possibilità di deroga che il 23bis offre come alternativa all’affida- mento a privati? Resistere, resistere, resistere, usando ogni mezzo. Il nostro servizio idrico non è ancora formalmente affidato: muoviamoci. E soprattutto, chiudiamo accuratamente i nostri rubinetti quando l’acqua non ci serve, usiamola con sobrietà, informiamoci sulle perdite delle nostre tubature, sugli sprechi, su quanti bambini in Kenya soffrono di diarree mortali o in Bolivia non vanno a scuola perché devono andare a riempire la tanica per la loro famiglia, su quanta acqua bevono le piantagioni del sud del mondo, a scapito di chi deve fare chilometri per un bicchiere. I diritti umani sono carne, ha detto don Ciotti. E sono pure acqua.☺

gadelis@libero.it

 

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