il dovere dell’accoglienza   di Sabrina Del Pozzo
4 Ottobre 2013 Share

il dovere dell’accoglienza di Sabrina Del Pozzo

 

Nella riunione svoltasi presso il Centro Polifunzionale del comune di San Giuliano di Puglia il 12 settembre 2013, convocata dal prefetto di Campobasso, alla quale hanno preso parte varie figure istituzionali tra cui i sindaci dei comuni limitrofi come pure i rappresentanti dell’associazionismo e  del volontariato, si è discusso sulla possibilità di ospitare un numero ancora non definito di cittadini stranieri richiedenti asilo nel villaggio temporaneo dello stesso comune e non soltanto. Le opinioni sono state tra loro divergenti, anche se in realtà personalmente ho percepito che la scelta volga verso il sì, e ribadisco come in tal caso io ne sia felice. Le proposte sono state diverse: si è discusso ad esempio della possibilità di ospitare soltanto donne e bambini, interi nuclei familiari, maschi e/o donne. Discutere sul genere o tipologia delle persone da ospitare non credo sia il nodo cruciale della questione. Chi ha avuto esperienza in simili contesti e quindi la possibilità di vivere tra culture differenti tra loro è consapevole di come la figura maschile a capo di famiglie di una cultura diversa dalla nostra non sia un orco o stupratore o ladro ma che potrebbe esserlo o meno quanto il nostro vicino di casa.

Il vero punto sul quale chiedere maggiori chiarimenti ritengo sia il numero degli ingressi. Si parla di circa mille persone, non so se sia una notizia totalmente infondata, ma sappiamo che per poter lavorare con l’obiettivo di una reale integrazione ed esorcizzare il rischio di creare Centri di Identificazione ed Espulsione con un esercito pronto a sorvegliare, nonostante ci propongono centri di accoglienza sperimentali con denominazioni differenti, il numero dovrebbe essere minore. Io non credo che neppur con mille immigrati sotto casa mia rischio di perdere un lavoro, che non ho – forse in tal senso più che la paura che qualcuno mi rubi un lavoro potrei farmi insegnare ed aiutare da queste persone nel fare altro, qualcosa di nuovo – o la vita, ma ho il timore che siano loro stessi a rischiare di vedersi privati di diritti e doveri.

È importante un numero adeguato per poter insegnare prima di tutto a noi stessi a guardare anche da un punto di vista della persone che andiamo ad ospitare, imparare a convivere con l'altro, a non vederlo, ad esempio, soltanto come un poveraccio. Poter superare la sola visione assistenziale che molto spesso poi diventa fine a se stessa. Lavorare con l’obiettivo di far conoscere, di unire le persone di ogni cultura senza avere il timore di essere derubati dei propri valori sociali, atteggiamenti, tradizioni. Non credo che tutto ciò possa essere tutelato con una guerra, è sicuramente più facile conservar(ci) con la pace. Tutti comportamenti che mi auguro sempre di riscontrare soprattutto in coloro che si definiscono fedeli, che seguono con devozione la Chiesa e Dio e poi invece trattano le persone da stranieri, dimenticando come al buon cristiano venga insegnato l’opposto. Ho avuto modo di leggere una lettera rivolta al ministro Kyenge nella quale si sottolineava quanto noi siamo umani e stupidi. ‘…figli del nostro tempo cresciuti in contesti in cui le battute sul diverso sono all’ordine del giorno, dal negro, all’islamico che si fa saltare, all’immigrato che puntualmente si trova a vivere da vittima costretto poi a manifestazioni di odio e rancore …l’uomo non è razzista ma incapace di tollerare  prima che l’altro se stesso e i suoi limiti’.

Bisogna permettere di creare le condizioni per un’interazione profonda fra vari gruppi per un superamento delle ostilità, lavorare con uno scopo comune che induce relazioni migliori. Voglio accoglierti, ma anche rispettarti nella tua diversità. Gran parte delle persone di fronte ad una nuova conoscenza attivano immediatamente meccanismi di difesa, che vengono estremizzati rispetto agli stranieri. Non vediamo quasi mai questa nuova conoscenza come un arricchimento per la nostra persona, individui che possono insegnarci arti e modi di arrangiarsi  affascinanti ed ignoti, come ad esempio la sorprendente cultura dell’ artigianato africano, maestri nella trasformazione di qualsiasi materiale, che potrebbero migliorare il nostro  modo di vivere in tutti i sensi. Penso ad esempio a noi giovani e al forte impatto che ha su molti di noi tutto ciò che è definito etnico, dall’artigianato all’arredamento, alla gioielleria, dai prodotti di commercio africano, asiatico o delle culture più disparate.

 Fortunatamente non è presente soltanto il disprezzo di qualcuno ma anche la forte attrazione di molti rispetto agli usi e costumi di diverse culture. Imparare qualcosa di davvero concreto dall’altro. Con un numero adeguato potremmo pensare di attivare laboratori formativi di vario genere, potrebbe esserci la necessità di persone che insegnano la lingua italiana, mediatori culturali e linguistici, educatori, figure di vario genere, costruire concretamente un lavoro di rete di comunità. Inoltre trovo molto importante, e credo che non bisognerà attendere ancora molto, attivare azioni con l’obiettivo di educare la comunità territoriale al tema del senso civico, della presenza di un diverso, di educare a guardare il mondo in un ottica di globalità. Mi auguro che al più presto riusciremo a mettere in atto pubbliche assemblee, a poterne discuterne in piazza e riuscire a dare delle risposte ed una corretta e dovuta informazione anche al restante popolo che per un motivo o per l’altro non entra in assemblea a porte chiuse.☺

sabrinadp@hotmail.it

 

eoc

eoc