il letto di procuste
1 Marzo 2010 Share

il letto di procuste

 

Nell’Attica di qualche millennio fa, lungo la via Sacra che congiunge le città di Eleusi ed Atene, era frequente imbattersi in viandanti sbigottiti, vittime designate di ladroni senza scrupoli. Tra questi lo scelleratissimo Procuste. Ai viaggiatori che si trovavano a passare nelle vicinanze della boscaglia dove egli viveva e “lavorava”, Procuste riservava, dopo averli derubati, un tormento assolutamente originale. Possedeva, il ladrone, un letto a forma di incudine, sul quale riposava dalle sue “oneste” fatiche, ma che all’occorrenza diventava uno strumento di tortura formidabile per ogni sprovveduto avventore. Che cosa accadeva al malcapitato che era costretto a stendersi sopra di esso, dopo esservi stato legato fortemente di modo che non potesse né voltarsi né muoversi? Avrebbe avuta salva la vita solo se la sua statura fosse stata pari alle dimensioni del letto. Ma se le gambe fossero state più corte, Procuste le avrebbe stirate e stese fino a che non fossero state della misura del letto; se invece fossero state più lunghe, il temibile ladrone le avrebbe accorciate.

L’agire stravagante di questo mitico brigante dell’antichità riconduce al bisogno irrefrenabile, che oggi imperversa, di racchiudere la complessità e la differenziazione del reale entro la tirannide della simmetria.

Incapaci di vivere l’inatteso e di rompere le barriere del quotidiano, ci ritroviamo sempre più afflitti dalla smania di incasellare entro rigide categorie anche i nostri atti più consueti e banali, a partire dalla toilette personale, dal modo di vivere la propria casa, dal modo di mangiare, dal lavoro, dalle relazioni familiari, dagli amici, dall’amore.

Schiacciati, tesi, stirati da questo modo di pensare che ci vede tutti omologati da uno spietato conformismo, non ci accorgiamo della diffusa ed inquietante volontà di restaurazione politica, plaudiamo al cattivo gusto, alla volgarità dilagante, al trionfo di nani e ballerine sul carro del vincitore di turno. L’analisi critica della società e dei suoi conflitti non ci appassiona, prevale la stanchezza e l’incapacità di immettere nel circuito culturale, politico e morale risorse e idee nuove. A farla da padrone è il revisionismo: così il nazismo diventa una goliardata, l’olocausto un falso storico, la resistenza un’invenzione dei soliti burloni.

Persino la solidarietà si ritrova ad essere “misurata” sul letto di Procuste, dimenticando che esistono per tutte le persone e per tutte le nazioni diritti inviolabili, inalienabili, universali, che non possono essere disconosciuti quasi fossero parametri di valutazione sorpassati.

Convogliare le energie unicamente verso la ricerca della sicurezza significa non riconoscere l’inatteso, significa accanirsi ad ingabbiare ogni novità, quasi fosse la vita un puzzle in cui ogni tessera ha il suo spazio già definito, in una parola equivale a non accogliere l’altro diverso da noi.

Immobilizzati come siamo su un immaginario letto di Procuste riconosciamo come dominante un’unica visione di vita, quella che travolge giustizia e legalità, che mette a tacere l’indignazione, che impone il silenzio ed abitua all’assopimento etico.

Non ci sono ricette né tanto meno uniche strade percorribili per contrastare questo stato di cose; occorre forse solo ricordare, per parafrasare Edgar Morin, che un’etica propriamente umana esige la realizzazione dell’unità planetaria nella diversità, richiede lo sviluppo della solidarietà, opera per la comprensione reciproca. Del resto il legame etico dell’individuo con la specie umana trova affermazione sin dal II secolo a. C. in un autore latino, Terenzio, che ad uno dei personaggi de Il punitore di se stesso faceva dire; “Sono umano, nulla di ciò che è umano mi è estraneo”. In altri termini: riconoscere la peculiarità del diverso da noi attraverso la via del rispetto, se vogliamo usare un’espressione etica; oppure la via della conoscenza dei suoi diritti, se preferiamo un’espressione giuridica; la via del riscatto della dignità di essere umano, se vogliamo usare un’espressione morale. Ci renderemo conto, di conseguenza, che non esiste né oggi, né nella storia umana che ci aspetta, un futuro ripetitivo e potremo abbandonare la caparbietà di ritenere che il reale sia immutabile e fissato una volta per tutte.

Una nuova coscienza del mondo partirà dall’imparare ad affrontare l’incertezza; scopriremo che essa custodisce novità in grado di conferire significato nuovo alla vita.    ☺

annama.mastropietro@tiscali.it

 

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