Il molise brucia
9 Settembre 2021
laFonteTV (3191 articles)
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Il molise brucia

Fiamme ovunque, dolose o colpose. A volte, in casi rarissimi, eventi naturali. La giustizia farà il suo corso, sì, ma la mano dell’uomo per i roghi che hanno funestato in queste ultime settimane la nostra regione – dalla costa alla montagna, divorando riserve naturali e boschi, zone a macchia mediterranea e aree ad alta vocazione naturalistica, lambendo i centri abitati e le strade, distruggendo il patrimonio come quello tartuficolo a Longano – c’è anche quando si parla di colpe della politica. Troppo spesso distratta quando si parla di azioni di tutela, a cominciare dalla prevenzione che risuona sempre di più – e in ogni ambito – come concetto vuoto e mai accompagnato dagli atti indispensabili, quelli che fanno sempre la differenza.

Un territorio, il nostro, che paga – a carissimo prezzo come sempre – l’assenza di programmazione con le Istituzioni che rincorrono gli eventi quando ormai è troppo tardi, quando il danno è compiuto. Ma è solo questione di minuti, il tempo di una intervista o un post social.

Un caso emblematico, per dire: cominciano i lavori di messa in sicurezza del Biferno ma è passato un secolo dalla sottoscrizione del protocollo. E così solo perché Madre Natura ci ha voluto graziare, non ci sono stati fenomeni atmosferici impetuosi, il fiume non ha rotto gli argini zeppi di detriti accumulati negli anni, non ci sono stati esondazioni e allagamenti, la popolazione di una vasta area della nostra regione – lì dove insiste l’unico nucleo industriale degno di tale nome – non ha rischiato grosso.

Acqua e fuoco, elementi naturali che quando sfuggono al nostro egoistico dominio si trasformano in macchine da guerra con un cambiamento climatico in atto, ormai non più oscurabile. Ma in Molise ci si affida alla Dea Fortuna, si incrociano le dita sperando che tutto vada bene.

Gli eventi atmosferici, è ormai noto, sono sempre più estremi e non aspettano i tempi della politica, le sue lungaggini e disattenzioni. È ormai indispensabile un cambio di passo in tema di politiche ambientali, a cominciare dalla cura e tutela del nostro patrimonio, quello che ‘vendiamo’ ai turisti come valore aggiunto ma che trattiamo come merce in perenne svendita.

I roghi, si diceva: la mano dell’ uomo spesso arriva lì dove nemmeno i Vigili del Fuoco riescono, in posti impervi e sconosciuti, e così mentre si aspetta l’arrivo del Canadair (a chiamata su tutto il territorio nazionale) e dell’elicottero (anche questo proveniente dalla centrale) il territorio diventa cenere. La mancata manutenzione ha il suo costo altissimo, la prova è tutta nel deserto mummificato della pineta di Campomarino, nelle querce ormai senza vita della tartufaia di Longano, nei pascoli divenuti improduttivi a Capracotta. E in decine di zone verdi, patrimonio delle comunità che costellano la nostra terra.

Colpe e danni

Le fiamme, che producono gas serra, sono l’altra faccia delle manifestazioni del riscaldamento globale in atto. Le ondate di calore sempre più lunghe e le siccità prolungate, il cambiamento del ciclo delle piogge e quindi dell’umidità presente nel terreno, l’abbandono delle aree agricole e di pascolo con la conseguente assenza del controllo che gli agricoltori mettono in atto, l’assenza di vie tagliafuoco, la mancata pulizia delle zone maggiormente a rischio dove si accumulano rami e foglie secche senza contare i rifiuti che continuano ad alimentare discariche illegali: ecco, queste sono tutte condizioni che predispongono agli incendi. Il risultato è che la frequenza, l’estensione e l’intensità sono aumentate. E la stagione estiva è ormai sempre più lunga. Focolai che un tempo potevano restare localizzati, diventano giganteschi, con un fronte sempre più largo, una superficie attraversata sempre più ampia, una velocità di propagazione sempre maggiore.

Uno scenario da girone infernale, è vero. Occorreranno decenni prima che i patrimoni ambientali e naturalistici possano essere restituiti alle comunità ma adesso che il danno è fatto non sono più ammessi passi falsi: nessuna corsa al rimboschimento selvaggio ma attenzione alta verso la indispensabile azione degli esperti, dei tecnici e dei professionisti ai quali dobbiamo consegnare il passato incenerito affinché scrivano il futuro, verde e rigoglioso. Alla politica il compito di non abbassare mai la guardia, di mettere in campo tutte le azioni che avrebbe dovuto compiere: procedere alla pulizia dei luoghi, alla bonifica delle aree verdi… Ai cittadini invece consegniamo la fotografia di un disastro al quale abbiamo contribuito: perché non abbiamo guardato, non abbiamo denunciato, abbiamo continuato a buttare immondizia lì dove non si può e cicche accese fra gli aghi di pino.

Quando un bosco brucia, si mette in moto un rapidissimo processo di decomposizione di tutta la materia che lo compone. I danni e gli sprechi degli incendi sono ingenti e vengono classificati in due diversi effetti: diretti e indiretti. I primi comprendono la perdita di piante, anche rare, come è successo per la pineta di Campomarino, e di massa legnosa, che serve a più utilizzi. I secondi, invece, non sono immediatamente visibili ma sono ugualmente devastanti. Perché pregiudicano il territorio per diversi anni. Uno di questi è il dissesto idrogeologico, piaga che affligge in percentuale elevatissima il territorio molisano.

Il bosco, la macchia mediterranea sono una difesa naturale contro la degradazione del suolo e qualora vengano distrutti da un incendio, ricostruirli richiede tempo, soldi e tanta fatica. E moltissimi rischi perché, contemporaneamente, crolla anche la difesa contro gli eventi naturali più catastrofici quali frane e alluvioni. E in Molise, anche nella sua storia più recente, non mancano certo esempi di tali calamità. Con gli incendi dei boschi si azzera la produzione di ossigeno nelle aree colpite dalle fiamme e conseguentemente viene compromessa la conservazione dell’habitat naturale. In ultimo ma non meno importante, soprattutto per determinate aree della nostra regione, viene cancellata inesorabilmente l’attività turistica che gravita attorno alle escursioni nei boschi.

Prevenzione degli incendi

Il dossier di Legambiente e Sisef, la Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia Forestale, sul fenomeno degli incendi estremi in un contesto di cambiamento climatico pubblicato il 6 agosto scorso delinea una situazione a dir poco allarmante: secondo i dati del rapporto Ecomafia 2021 di Legambiente, nel 2020 sono stati percorsi 62.623 ettari (+18% rispetto all’anno precedente) con 4.233 reati accertati (in crescita del 8,1% rispetto al 2019) con 552 persone denunciate per reati di incendio doloso e colposo (+25,2% rispetto al 2019) e solo 18 persone arrestate.

Quello degli incendi è un fenomeno complesso da analizzare e difficile da contrastare, di fronte al quale è necessario trovare soluzioni in grado di governare questi eventi.

Il primo passo è la completa ed effettiva attuazione della legge 353 del 2000, dedicata proprio agli incendi boschivi, che prevede, insieme al delitto di incendio boschivo doloso (423 bis del Codice penale), vincoli molto stringenti per le aree attraversate dal fuoco: 15 anni senza cambiamenti nella classificazione dei terreni, boschivi o a pascolo; 10 anni di divieto di edificazione; 5 anni in cui sono vietate anche le piantumazioni di nuovi alberi con risorse pubbliche, tranne eccezioni stabilite dal Ministero dell’ Ambiente. Un sistema di vincoli che rispecchia alcune delle cause principali degli incendi dolosi e che, per essere efficace, richiede da parte di tutti i Comuni l’aggiornamento del Catasto delle aree incendiate.

Smettiamola di girarci dall’altra parte, iniziamo a prenderci cura – con rispetto, amore e competenza – dei luoghi che ci ospitano. Oppure sarà davvero troppo tardi.☺

 

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