Il molise che c’è
7 Febbraio 2020
laFonteTV (3191 articles)
Share

Il molise che c’è

Possibile che ci sia sempre bisogno degli americani, o comunque di una patente esterna, per poter apprezzare quello che abbiamo? C’è voluto un recente articolo del New York Times per riabilitare il Molise agli occhi degli italiani e degli stessi molisani. Il prestigioso giornale ha inserito il Molise fra le 52 mète più interessanti del mondo da vistare nel 2020, una per settimana. Tre sono le destinazioni italiane segnalate dal quotidiano americano: la Sicilia dell’Etna e del turismo sostenibile, la Urbino rinascimentale di Raffaello e appunto il Molise dei tratturi, della natura e dell’archeologia, presentato come la mèta ideale per chi cerca un’Italia autentica  e incontaminata. Così ne hanno parlato tutti i giornali di casa nostra, solitamente distratti; perfino il Tg1 e il Corriere della sera, che ha dedicato una pagina intera alla “Rivincita del Molise”. Lo hanno fatto con enfatica sorpresa, confermando implicitamente la nostra incapacità di capire e apprezzare il patrimonio territoriale che regioni come il Molise hanno accumulato nel tempo lungo della storia e che oggi può costituire la principale risorsa per una rinascita economica e sociale di parti significative del Paese.

È una vecchia storia, un triste costume e una cattiva abitudine che ha generato pregiudizi e luoghi comuni. Come quello che “il Molise non esiste”, nonostante i numerosi studi, progetti e attività che attestano il contrario. C’è uno scarto, forse addirittura una incomunicabilità tra il lavoro culturale, letterario o scientifico che sia, e la politica e l’opinione pubblica. Una voragine difficile da colmare sia all’esterno che all’interno. Da fuori il Molise viene spesso percepito come una regione appartata e isolata, irrilevante come peso politico e demografico, quasi colpevole per non aver seguito il modello classico dello sviluppo novecentesco: quello dell’industria, dell’ urbanizzazione, del consumismo e della omologazione degli stili di vita. È rimasto una voce dissonante, fuori dal coro, una regione silenziosa nel frastuono della civiltà dei consumi, quasi una pagina bianca fra il Trigno e il Fortore.

In tanti se ne sono andati, travasati dal mondo rurale e montano a quello delle città e dell’industria, fino al punto che oggi sono appena 300.000 gli abitanti del Molise e tre volte tanto sono i molisani che vivono fuori, nel mondo. Per partire c’è voluto coraggio, e ce n’è voluto anche per restare, ciò che ha fatto di questa gente un popolo timido ma coraggioso. Eppure bisogna ammettere che, in un certo senso, se ne sono andati tutti: anche chi è rimasto. Che cosa vuol dire? Significa che quando si trascura la conoscenza di quello che abbiamo intorno, quando si indebolisce il legame coi luoghi e col territorio, quando si smette di vedere il paesaggio (vedere, non solo guardare), allora è un po’ come essersene andati, voltando le spalle alla terra natìa, pur restandoci sopra. Quando succede questo, il lamento, la sfiducia e lo scoramento si sostituiscono all’indignazione e alla lotta e prende campo la rassegnazione. L’impotenza di cambiare le cose si annida come un tarlo nella mentalità e nelle narrazioni stereotipate, che tendono ad alimentarsi l’una con l’altra.

“Cosa c’è al tuo paese?”, domando a volte, sentendomi rispondere che “non c’è niente”, nulla da segnalare. A parte che il niente non esiste come grandezza fisica, dobbiamo spiegare che non è vero; che il territorio, i paesi, il paesaggio, i prodotti non sono un vuoto, ma un pieno. Che il niente è solo uno sdrucito abito mentale confezionato dai sarti dello sviluppo, dai pret-à-porter del capitalismo globalizzato, da tutti coloro che non vedono altro che il modello del mercato e del denaro. Nei miei corsi di Storia del territorio all’ Università del Molise cerco di spiegare anche questo: non solo conoscenza, ma anche coscienza di quello che c’è, dei luoghi e del patrimonio che questi in varia misura possiedono. Allora ci accorgiamo che quella dissonanza, quell’alterità, quello spazio che sembrava vuoto possono diventare oggi un punto di forza, un gradino per salire più su, suscitando una nuova o ritrovata attenzione per una terra che lo merita, che dai Sanniti a oggi ha tessuto, incessantemente, la tela preziosa dei campi coltivati, dei boschi, dei paesi e dei tratturi che legavano il piano alla montagna, il mare all’entroterra. Ci accorgiamo che il Molise esiste eccome, che c’è, con le sue montagne e con i suoi paesi, con la dirompenza della sua natura, con l’autenticità delle sue tradizioni ancora vive, con gli antichi tracciati e i nuovi sentieri, con i suoi cibi, i suoi paesaggi reali e immaginari ricchi di bellezza utile. Un diffuso patrimonio, spesso inedito, che diventa risorsa e speranza di futuro, una speranza che sta già camminando grazie alla tenacia dei pochi che sono rimasti, l’intraprendenza di chi cerca di tornare e l’affetto dei molti che nel tempo se ne sono dovuti andare.

Senza abusare del termine “identità”, c’è bisogno di una nuova coscienza dei luoghi. Questo è vero per il Molise, ma vale anche per altre regioni e contrade, per i tanti sud dimenticati d’Italia, ovunque si trovino. Possibile? Come Cesare Pavese dovremmo chiederci “Possibile che a quarant’anni e con tutto il mondo che ho visto, non sappia ancora che cos’è il mio paese?”. Ecco, simile a questa è la nostra condizione: siamo in grado di guardare molto e non abbiamo visto niente.☺

laFonteTV

laFonteTV