
Il molise e le sue acque
Il cambiamento climatico, ormai lasciato da parte da una politica miope, sta avendo effetti drammatici sulla disponibilità delle risorse idriche nelle regioni del Sud. Gli effetti sono evidenti e visibili su laghi, fiumi ed invasi. Purtroppo le precipitazioni risultano sempre più irregolari, spesso con eventi estremi e distruttivi. La riduzione dell’ innevamento contribuisce ulteriormente a descrivere una situazione preoccupante. Durante i periodi di siccità, i ripetuti comunicati stampa, che annunciano sospensioni del flusso idrico, e i richiami a un uso razionale della risorsa, descrivono uno scenario compromettente quanto a sicurezza idrica, produzione agricola e salute degli ecosistemi.
In Molise, regione notoriamente ricca di acqua, gli effetti del cambiamento climatico non hanno certamente stimolato un cambio di prospettiva volto a tutelare la risorsa, patrimonio di cui tutti ci siamo fatti un vanto.
Il territorio molisano è caratterizzato dalla presenza di sei grandi invasi artificiali di cui quattro interamente ricadenti sul territorio regionale (Liscione, Chiauci, Castel San Vincenzo, Arcichiaro) e due ricadenti, rispettivamente, tra Molise e Puglia (Occhito) e tra Molise e Campania (Monte Cesima). Dispone anche di risorse idriche rilevanti grazie a fiumi come Biferno, Trigno e Fortore che ricadono sul territorio molisano rispettivamente per il 100%, il 67,9% e il 46,9%.
Tuttavia, la scarsa consapevolezza pubblica del valore dell’acqua e gli interventi prevalentemente mirati a tamponare un’emergenza, privilegiati rispetto a una pianificazione preventiva, hanno comportato la nascita di diverse criticità: da una frammentazione della governance, sia locale sia in ambito distrettuale di bacino, ai ritardi nella programmazione per la tutela della risorsa.
La ricca rete idrografica del Molise ha costituito nei secoli una risorsa per le politiche agricole prima e industriali poi alla quale i nostri ‘vicini’ hanno sempre guardato con molto interesse. Regioni per le quali le sorgenti molisane rappresentavano allora e rappresentano oggi una soluzione ai problemi idrici di cui soffrono.
Risale al 1916 la richiesta del Comune di Napoli di un progetto per la realizzazione di una galleria che attraverso il Matese captasse le acque del fiume Biferno per rifornire l’acquedotto napoletano. Dall’Atlante Tematico delle Acque d’Italia, nella parte dedicata alla galleria del Valico del Matese destinata al passaggio della condotta che convoglia le acque molisane fino al capoluogo campano, si viene a sapere che gli accordi tra la Campania e il Molise stabilirono che quest’ultima avrebbe ottenuto, quale contropartita alla concessione dello sfruttamento delle acque del Biferno, la realizzazione dei due invasi artificiali di Arcichiaro sul Quirino e di Guardialfiera sul Biferno. Ma il progetto generò vive proteste da parte della popolazione molisana che si moltiplicarono, nel secondo dopoguerra, visto che il Biferno rappresentava l’unica risorsa idrica locale da utilizzare per usi irrigui e industriali e “per dissetare il Molise”. Fu dunque presentato per l’European Recovery Program (il famoso piano Marshall) un piano che prevedeva una spesa pari a sette miliardi al fine di dotare di acquedotti i comuni molisani che ne erano sprovvisti. In campo agricolo appariva urgente avviare lavori di bonifica e di irrigazione nel comprensorio del Trigno e in quello di Venafro, nei quali si erano già costituiti i relativi Consorzi.
Dopo l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, il Molise ebbe a disposizione ingenti risorse con le quali furono realizzate diverse e fondamentali opere. Fu quindi creata la rete acquedottistica regionale, articolata in due strutture principali, l’Acquedotto Molisano destro, alimentato dalle sorgenti del Biferno, e l’Acquedotto Molisano sinistro, che convoglia le sorgenti dell’Alto Molise e degli acquedotti minori. Tra il 1950 e la fine degli anni Settanta si diede il via alla costruzione di grandi invasi artificiali, tra i quali Castel San Vincenzo (ad uso idroeletterico), Occhito (gestita interamente dalla Puglia) e Liscione. La grande diga sul Biferno rappresenta l’infrastruttura simbolo dell’intervento straordinario di quegli anni in Molise. Lo scopo? Realizzare un serbatoio che compensasse la deviazione dei deflussi delle sorgenti della piane di Bojano sul versante tirrenico per l’alimentazione dell’Acquedotto campano, secondo quanto previsto dalla Cassa per il Mezzogiorno nel “Piano generale per l’utilizzazione delle acque del fiume Biferno” del 1957. Ancora oggi, tuttavia, nonostante la realizzazione di tale sistema idrico, il Molise presenta problemi che scaturiscono prevalentemente dal mancato ammodernamento degli impianti. E non voglio dimenticare la tempistica di realizzazione e messa in servizio dell’ acquedotto molisano: il basso Molise si è dissetato per decenni con l’acqua potabilizzata, la stessa che adesso la Puglia ci chiede ma quasi senza domandare.
Chiarisco subito che è inaccettabile mettere in discussione l’aspetto solidaristico: ero, sono e resto una convinta sostenitrice – sulla scia della promulgazione della Carta europea dell’Acqua nel 1968, della classificazione del Parlamento europeo datata 2004 e della risoluzione ONU del luglio 2010 – del principio che la risorsa idrica sia un bene comune, che il diritto all’acqua riguardi la dignità della persona, sia essenziale per il pieno godimento della vita e per tutti gli altri diritti umani, che la gestione dell’acqua non dovrà essere assoggettata alle norme del mercato interno ovvero nessuna privatizzazione né profitto. Rischi non del tutto scongiurati se volgiamo lo sguardo allo stato attuale delle cose: tra grandi incompiute (Archichiaro e Chiauci), dispersione idrica, l’assenza di una politica agricola volta all’innovazione e l’ incapacità di una governance unitaria.
Il tema dell’acqua non può restare secondario ed è fondamentale, anche alla luce dei cambiamenti climatici, riportarlo al centro del dibattito civico e politico.☺