Un genocidio dinanzi ai nostri occhi
12 Gennaio 2024
laFonteTV (3191 articles)
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Un genocidio dinanzi ai nostri occhi

Mi soffermo anche io, come tra gli altri ha fatto don Michele nel numero di dicembre scorso, sulla questione israelo/palestinese, soprattutto per dare forma a quel groviglio di sensazioni strazianti e a quel grido di sdegno e di dolorosa incredulità che stanno scoppiando dentro il nostro animo dinanzi al massacro genocida e razzista dello Stato di Israele ai danni del popolo palestinese all’interno della Striscia di Gaza (grande appena 365 Km quadrati) e in Cisgiordania (con la colonizzazione penosa a danno dei palestinesi ivi residenti). Premetto che la mattina del 7 ottobre scorso alla incredula sorpresa è seguita immediatamente la condanna per le azioni terroristiche dei miliziani di Hamas ai danni di una parte di popolazione israelita, indifesa – adulta, giovane – e di molte decine di giovani, ragazze e bambini letteralmente massacrati, non dimenticando i 260 cittadini presi prigionieri come ostaggio ed anche come strumento di eventuali scambi con le migliaia di giovani, reclusi nelle carceri israeliane la cui colpa è solo quella di essere palestinesi; quindi, parte di un popolo inviso alle autorità israeliane, massacrato nei decenni e che grida da sempre la sua volontà di avere una terra propria e di vedere riconosciuta la propria identità nazionale, già iscritta e riconosciuta dalle risoluzioni delle Nazioni Unite (ONU) fin dal 1948.
A vedere le atrocità che l’esercito israeliano compie da due mesi nella Striscia di Gaza e amaramente constatare le violenze e le distruzioni, che i coloni israeliani perpetrano ai danni dei palestinesi in Cisgiordania, coloni armati, perché le loro leggi glielo consentono, stringe davvero il cuore e fa montare la rabbia indigesta. La cosa più grave e preoccupante nello stesso momento è constatare la complicità inquietante degli USA, della UE ed in genere degli stati occidentali asserviti al dollaro statunitense, atteggiamento connivente che non solo angoscia e rattrista, ma, nello stesso tempo, riempie l’animo di collera e di smarrimento insieme. Rabbia e lacrime sono le espressioni che accompagnano la visione dei telegiornali in questi ultimi mesi: narrazioni tutte in linea con questa vulgata: i cattivi sono i poveri e gli esclusi sono terroristi.
E allora è tutto perso dinanzi alla crudeltà dell’uomo e alla sua bestialità molto spesso irrazionale ed immotivata? No! Non pensiamo che sia tutto perso, perché c’è ancora una enorme, diffusa e partecipe sensibilità dinanzi a tanta inumanità. C’è un gran numero di donne e uomini, di movimenti civili e per giunta giovanili (considerazione che ci conforta in questo mare di lacrime), di associazioni di volontariato sociale che con il loro impegno solidale danno una mano a contrastare la deriva etico/sciale che sta affossando l’occidente e il nord del mondo. Ma allora ci chiediamo quale sia questo dio che spinge gli uomini alla vendetta, alla privazione delle libertà fondamentali, all’ odio, allo sterminio, in questo caso, dei palestinesi? Possono gli abitanti della Palestina essere tutti considerati estremisti e terroristi? Pensiamo di no!, e questo è il tragico errore, o meglio l’atroce e lucida scelta della leadership israeliana, ossia di questo governo di estrema destra e segregazionista – che sembra aver l’appoggio della maggioranza della popolazione ebraico/israeliana – e non quella di altre forze politiche e sociali che vivono in Israele e che si impegnano quotidianamente per la convivenza di due culture diverse che si possono integrare l’una nell’altra. L’espulsione brutale e prevaricatrice dei palestinesi dal territorio dove vivono abitualmente; la rimozione e, quindi, la liquidazione, come stiamo vedendo a Gaza, della “palestinità”, nel suo complesso, sono il principio motore da cui partono tutte le atrocità che Israele sta compiendo ai danni di una popolazione inerme, che è costretta a fuggire verso il sud della Striscia, ma che viene massacrata proditoriamente in barba a tutte le norme del diritto internazionale, come pure nella disapplicazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU, che ingiungono ai governanti israeliani di porre fine al rovinoso conflitto armato, di recedere dai furiosi e accaniti bombardamenti sui civili indifesi, azioni che non si giustificano affatto, quando si abbattono sulla popolazione civile inerme ed estranea al terrorismo, anzi a questo ostile. Infine, assistiamo a raffiche di bombe, sganciate da droni che colpiscono vigliaccamente le scuole, gli ospedali, i luoghi di culto, nella sprezzante consapevolezza dei vertici militari israeliani che suppongono che in quei tunnel possono nascondersi i terroristi di Hamas. Ma il diritto internazionale non vieta forse questi attacchi pirateschi, pur in presenza del nemico che vi si nasconde e che cerca di tutelarsi in questo modo dal massacro? Ma non dimentichiamo di omettere un a priori e cioè che solitamente le guerre sono alimentate da interessi puramente economici, alla cui base c’è il principio dell’eliminazione dell’avversario di turno, che rappresenta un ingombrante ostacolo, una pericolosa opposizione ideologica, politica, sociale all’accaparramento delle risorse di cui dispone e di cui si intende prendere possesso. Nel caso del conflitto palestinese/israeliano Israele pretende di essere l’unico ad insediarsi in Palestina. I palestinesi che accettino di vivere in Palestina sarebbero sottoposti ad una condizione di estrema subalternità rispetto a Israele, privati dei diritti fondamentali dell’uomo (libertà di pensiero, di movimento, di organizzazione politica, etc.). In effetti, una condizione di vita che definiamo apartheid. E questa condizione è completamente esclusa da tutte le risoluzioni dell’ONU a partire dal 1948.
Allora che fare? Appare chiaro che è estremamente arduo immaginare che all’ indomani della cessazione della guerra (ma quando finirà questo assurdo, volgare e razzista massacro?) fra queste due entità statuali ci possa essere un clima di riappacificazione immediata: i solchi dell’odio, del rancore, della vendetta, che sono penetrati nell’animo delle ultime generazioni di palestinesi, saranno difficilmente riempiti dall’assoluta necessità del confronto. Tuttavia, questo dovrà essere il punto di partenza per un prospettico riavvicinamento civile fra i due popoli che vivono in questi territori ferocemente concupiti da Israele. Tornare a confrontarsi sarà fondamentale anzi assolutamente necessario per poter ipotizzare la prospettiva più utile ad entrambi i popoli e cioè un solo Stato per due popoli che mostrino la maturità civile e culturale di convivere.
E poi – su questo tema torneremo in un altro momento – dobbiamo assolutamente sollecitare, convincere la comunità internazionale acché si adoperi per trovare un paese neutrale dove sia una nuova sede dell’ONU, in quanto a New York le Nazioni Unite sono condizionate e sotto vigilanza stretta ed intollerabile ormai degli USA… pauca intelligentibus…e questo non sta più bene ☺

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