il nodo di gordio
13 Aprile 2010 Share

il nodo di gordio

 

All’espressione “uomo di potere” si associa quasi sempre l’idea che costui abbia il dono di vedere quello che gli altri ancora non vedono. Sembra che a lui solo spetti il compito di interpretare il presente ed assumersi la responsabilità delle decisioni.

Spesso costui è l’esponente di un’intera classe politica, colui che ha compreso come “navigare” con istinto sicuro in un periodo di disordine sociale. Le ragioni che lo spingono ad agire sono motivazioni di forza, economiche e politiche, ed egli è colui che sa, meglio di altri, manipolare la realtà e sfruttare le occasioni che gli si offrono.

Gesti, comportamenti, del tutto trascurabili se a compierli fosse qualcun altro, assumono in lui una veste di eccezionalità e di esemplarità.

Così avvenne per Alessandro il Macedone, che a ventun anni posava il piede sul suolo dell’Asia, a ventiquattro veniva riconosciuto figlio degli dei, a venticinque sconfiggeva Dario e conquistava l’impero persiano, a trentadue moriva, carico del peso di cento vite.

Ne le Vite Parallele, biografia di quarantasei generali greci e romani, lo storico greco Plutarco ci racconta un curioso episodio occorso al conquistatore macedone all’epoca in cui Alessandro aveva intrapreso la conquista dell’Asia:

Occupata la Frigia (regione dell’Asia Minore) vide nella città di Gordio un carro legato strettamente con una corteccia di corniolo, e udì raccontare in proposito una leggenda secondo la quale chi avesse sciolto il legame che teneva il carro avvinto al giogo era destinato a diventare re di tutto il mondo. Dicono dunque molti storici che Alessandro non riuscì a sciogliere i legami, poiché i loro capi erano nascosti e avvolti uno dentro l’altro con molti giri aggrovigliati. Perciò tagliò il nodo con la spada.

Da allora l’espressione “scioglie- re un nodo gordiano” è rimasta ad indicare la risoluzione a proprio vantaggio di una situazione difficile, ricorrendo a metodi decisi.

Perché mai quel carro si trovasse in Frigia Plutarco non lo dice, perché la Storia ai suoi tempi era già costellata di fatti simbolici e miracolosi, tendenti a creare un alone di leggenda intorno alle gesta dei grandi condottieri.

Ma varrà la pena integrare il racconto, affiancando alla figura del grande condottiero quella di un oscuro contadino frigio, Gordio appunto, che si era trovato un giorno, mentre arava i campi, ad essere circondato da uno stormo di corvi. Turbato dall’accaduto, egli si recò da un’indovina che interpretò il volo degli uccelli come il presagio di un destino regale. Di lì a poco, per volere popolare, Gordio salì al trono, e in segno di riconoscenza verso gli dei donò il suo aratro al tempio di Zeus. Il timone era assicurato al giogo con un nodo intricatissimo, quasi a significare la somma delle innumerevoli opere che egli, da agricoltore paziente e tenace, aveva sperimentato nella dura vita dei campi, affrontando le avversità della natura, accettando il tempo dell’attesa e quotidianamente progettando le sue attività. Gordio si sarebbe impegnato da sovrano a fare altrettanto, amministrando il regno con umiltà e rispettosa intelligenza, “legando” le sue scelte alle effettive necessità dei suoi sudditi.

Su Gordio lo storico Plutarco tace perché, come già detto, il suo intento è quello di sottolineare il valore militare e l’eroicità delle imprese dei “grandi”, non la costanza degli umili. Particolare attenzione egli riserva invece alla profezia che attribuiva all’uomo capace di sciogliere quel nodo il dominio del mondo. Profezia che si compì con Alessandro, appunto, che ben presto conquistò gran parte dell’Asia. Ma a quale prezzo? Folgorante sì la sua gloria, ma effimera.

In quale modo sarebbe stato saggio allora sciogliere il nodo gordiano? Non certo con la protervia del condottiero, come fece il Macedone, il quale senza por tempo in mezzo tranciò in due il groviglio con un taglio netto della sua spada, bensì con la pazienza, il rigore e la perseveranza di Gordio.

Quale sfida poneva allora quel nodo?

Il saper rinunciare alla tracotanza, alla violenza, all’arroganza che deriva dal trovarsi in posizione di comando, lasciando posto alla capacità di agire con equilibrio, sensibilità e pazienza. Perché la politica presuppone che siano gli uomini tutti, e non uno solo, a creare le proprie istituzioni attraverso la discussione, la comunicazione, il confronto.☺

annama.mastropietro@tiscali.it

 

eoc

eoc