Il perdono
31 Luglio 2021
laFonteTV (3191 articles)
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Il perdono

“Neanche io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,11). Queste parole di Gesù costituiscono la conclusione di un brano famoso ed enigmatico allo stesso tempo: quello di una donna adultera trascinata davanti a Gesù da alcuni scribi e farisei con l’intenzione di trovare un motivo per accusarlo. Questo racconto (Gv 7,53-8,11) ha alcune caratteristiche che lo rendono unico: non appartiene in realtà al Vangelo di Giovanni, tanto che alcuni manoscritti importanti non lo contengono, altri mettono questo brano alla fine del vangelo, come fosse un’appendice, altri addirittura lo pongono nel vangelo di Luca (dopo 21,38), subito prima del racconto della passione. Probabilmente è la scelta più giusta in quanto richiama lo stile di Luca, al quale piacciono i racconti con il “finale aperto” (come quello cosiddetto del figliol prodigo, in Lc 15,11-32) e presenta altri casi di donne giudicate per la loro condotta, come la peccatrice che bagna i piedi di Gesù con le sue lacrime, in 7,36-50. La tradizione latina della bibbia vulgata però colloca il racconto in questo punto di Giovanni e così noi lo leggiamo e il motivo per cui sta qui forse è da trovare in un’affermazione che sta poco più avanti nel vangelo. Alla fine del capitolo ottavo l’evangelista dice: “Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio” (8,59), creando un magnifico legame tra la condizione dell’adultera e Gesù, accomunati dallo stesso scampato pericolo.

Ciò che fa riflettere è piuttosto l’assenza di questo racconto in una parte dei manoscritti, e la mancata conoscenza degli scrittori cristiani più antichi di un episodio che molto probabilmente suscitava imbarazzo in una chiesa che aveva idee molto chiare sull’adulterio e sui peccati sessuali in genere, che portava ad escludere dalla comunione ecclesiale chi si rendeva colpevole a questo riguardo: non era (e non è tuttora) un bel biglietto da visita un Gesù che manda via l’adultera senza che prima avesse fatto una congrua penitenza. Fatto sta che questo piccolo gioiello narrativo costituisce da solo un vangelo a sé stante, perché contiene la sintesi del messaggio cristiano, soprattutto se lo leggiamo anche nella sua portata simbolica (come fa ottimamente un grande esegeta francese, Xavier Léon-Dufour). I farisei gli portano un’adultera (ma non la controparte maschile: come mai?) dicendogli che Mosé (cioè la Legge) chiede di lapidare donne come questa. Gesù si mette a scrivere per terra per cui insistono perché dia una risposta che sarebbe in ogni caso sbagliata: se avesse detto infatti di applicare la legge, gli avrebbero detto che non potrebbero perché non hanno il potere di comminare condanne a morte; se avesse detto di lasciarla libera l’avrebbero accusato di essere contro Mosè. Gesù dà una di quelle risposte diventate proverbiali: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” e si rimette a scrivere. Il narratore sottolinea come se ne vanno uno alla volta a cominciare dai più vecchi (cioè più peccatori, in quanto hanno avuto più occasioni nella vita di peccare). La donna intanto, che era stata messa in piedi in mezzo, come un accusato in tribunale, resta lì. Gesù le chiede dove sono gli altri e poi prosegue: “Nessuno ti ha condannata?”. Lei dice: “Nessuno Signore”. Il racconto finisce con la frase che ho citato all’inizio.

Chi conosce il pensiero di Gesù sa che non è tenero verso l’adulterio, soprattutto con gli uomini adulteri, più colpevoli perché più liberi di muoversi, ed è per questo che il racconto, in cui è totalmente assente l’adultero e del quale Gesù non chiede conto (e ciò non sarebbe coerente con il suo pensiero) acquista più luce se letto simbolicamente (come del resto le nozze di Cana dove, invece, manca la sposa): la donna forse simboleggia il popolo d’Israele, accusato spesso dai profeti di andare dietro agli amanti (altri dèi) e di tradire invece il proprio Dio. Il fatto di scrivere per terra, sottolineato due volte, fa probabilmente riferimento a un passo di Geremia, citato secondo la traduzione greca: “Quanti si allontanano da te saranno scritti nella terra” (17,13). Gesù scrive del loro “adulterio”, cioè dell’essere lontani da Dio e se tutti vanno via è perché tutti sono peccatori, come dice Paolo a proposito dell’umanità (Rm 3,23), compresa la donna che è davanti a lui. Alla fine Gesù dice che non la condanna ma la rinvia alla propria coscienza, trasformata dall’incontro con lui. Non dimentichiamo però che anche i suoi accusatori hanno riconosciuto di essere peccatori e sono usciti di scena forse convertiti. In realtà l’intento del racconto è proprio quello di mettere in scena la verità fondamentale del cristianesimo: tutti sono peccatori ma Dio (attraverso Gesù) perdona tutti gratuitamente, senza chiedere prima un cambiamento.

La sua affermazione: “neanche io ti condanno” non è da leggere come un’ accondiscendenza verso il male, ma come l’unica parola che il Dio di Gesù Cristo desidera pronunciare: il perdono. Il non peccare più non è riducibile al non commettere adulterio in senso morale, ma riguarda lo scegliere Dio come unico Signore e Marito della propria vita, senza altri amanti. Ed è questa l’unica cosa che chi lo rappresenta deve proclamare: sarà la coscienza illuminata dall’incontro con Dio a far capire ciò che è giusto o meno fare, non regole imposte dall’esterno come capestri.☺

 

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