Il progetto tav in valle di susa
10 Marzo 2019
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Il progetto tav in valle di susa

Alcune valutazioni per contribuire alla formazione di un giudizio su questa grande opera da chi vicino non è ma ne paga i costi, senza benefici.

Il primo progetto Tav approvato per la tratta Torino-Lione risale a ventisette anni fa. Il signor B. ospite di Vespa lo illustrò alla lavagna. Prevedeva che dal 2002 saremmo andati da Torino a Milano e poi indietro verso Parigi senza fermate intermedie, in circa sette ore. Mentre si procedeva al progetto esecutivo, le stesse Ferrovie valutavano che, anche nella previsione più ottimistica, il numero di passeggeri sarebbe stato inferiore a un terzo di quanto necessario a giustificarne la realizzazione.

Dopo qualche anno di ripensamenti si decide di trasformare il progetto, che aveva già bruciato un bel po’ di denaro pubblico, da alta velocità ad alta capacità (Tac) per il trasporto merci. Nel frattempo, la linea esistente è stata pesantemente ammodernata e resa operativa per il transito dei nuovi vagoni merci secondo le norme europee più aggiornate. Si porta a termine la tratta Tav Novara-Chivasso e, negli anni successivi si collega da un lato Milano Centrale e dall’altra Torino Porta Susa. I primi treni Frecciarossa collegano Torino a Venezia all’inizio del nuovo millennio. A Parigi si va velocemente col TGV. Le merci continuano a transitare bene sulla linea esistente.

Un progetto sempre di massima e mai esecutivo. Il progetto esecutivo Torino-confine francese viene rimaneggiato: il tracciato da Chivasso a Susa è riprogettato più e più volte: passa da Torino Porta Susa, no, dopo l’incidente di Viareggio è troppo pericoloso fare transitare merci in centro città, meglio girarci intorno correndo lungo la tangenziale e, visto che ci siamo, la raddoppiamo. Diverse altre idee strampalate come quella di cambiare valle si susseguono, purché si faccia. Ad oggi non esiste un progetto esecutivo e un tracciato definitivo per gran parte dell’intera tratta.

Ma cosa stanno bucando? La galleria che si sta scavando è quella diagnostica e di servizio, dove mai passeranno treni, perpendicolare al tunnel ferroviario ancora tutto da fare. I risultati delle diagnosi sull’amianto, sulla radioattività, sulle falde e sulla consistenza delle rocce sono ignoti. Avete mai sentito da un telegiornale o letto da un quotidiano cos’è in realtà la galleria in costruzione? Avete mai visto immagini relative ai lavori effettivi, se non filmati di repertorio riguardanti altre tratte o similari, come i tunnel per le metropolitane? Fate attenzione ai tiggì, non compare una sola immagine girata in valle di Susa relativa al tav. Gli espropri dei terreni per l’enorme stabilimento di prefabbricazione dei rivestimenti di volta, previsto fra Rivalta e Rivoli, non sono ancora avviati, così come la costruzione della estesa rete (almeno ottanta chilometri) di strade camionali di servizio e collegamento con i diversi futuri cantieri e per il trasporto dei materiali di risulta estratti dai tunnel. La Tac in valle di Susa è ancora di là da venire e per ora solo un’idea mangiasoldi.

Le merci non prendono il treno. Mentre i passeggeri si recano alla stazione per salire sui vagoni, le merci hanno più difficoltà a farlo. Sarebbe ottima e auspicabile cosa spostare il trasporto da gomma a rotaia, ma il marmo da Carrara, le piastrelle da Sassuolo, il tondino di ferro da Dalmine, il cemento da Ferrara, i materiali idraulici da Pogno o da San Maurizio d’Opaglio – tanto per citare alcune merci pesanti interessate all’esportazione verso Francia e Spagna – non si recano in stazione di loro iniziativa: occorre caricarle e trasbordarle più volte. Risultato: nessun imprenditore sarà mai disposto a pagare un centesimo in più per un servizio molto più oneroso, più complesso e più lento del trasporto su gomma, che richiederebbe oltre la linea ferroviaria (che già c’è, utilizzata per meno del 40% della potenzialità) una rete capillare d’interscambio intermodale, molto ma molto più costosa della tratta tav e mai neppure ipotizzata. Tranne che si voglia fare della val Susa solo una servitù di passaggio per le merci provenienti dall’Europa dell’Est e dall’Asia verso Francia, Spagna, Portogallo e Gran Bretagna.

Morti sul lavoro nero. Durante la costruzione del tratto Novara-Chivasso della tav si sono verificati sei incidenti mortali. Uno ogni undici chilometri. Tre degli operai deceduti erano richiedenti asilo, non assunti dall’imprese per le quali erano arrivati in prova, così sempre si dice, il giorno stesso. Altri sei malaugurati incidenti mortali si sono avuti anche nella tratta Bologna-Firenze. Se ci sono sei morti, ci sono anche dodici feriti gravi, ventiquattro ricoveri… è un miracolo se ci sia stato un lavoratore che non abbia avuto neppure un chiodo piantato in una scarpa. Perché, nella piatta pianura Padana, che ha dato i natali a geni italici come Borghezio o Fassino, dove si potrebbe e dovrebbe lavorare in piena sicurezza secondo gli elaborati piani previsti dagli enti appaltanti, si muore così facilmente? (E cosa potrà succedere in montagna e in galleria, dove le condizioni sono intrinsecamente più insidiose?).

Una nuova legge, necessaria, mai fatta. Perché una pessima legge sugli appalti consente il sub-sub-sub appalto anche delle responsabilità. Alla fine sono tutti responsabili e nessuno lo è. Così gli incidenti mortali sono derubricati a incidenti per fatalità, e se stavi utilizzando manodopera senza mezzi adeguati, totalmente impreparata e in nero, beh, la prossima volta non esagerare. Chi si aggiudica la commessa si occupa degli acquisti miliardari pilotati, delle mazzette da distribuire (in genere quelle da due chili, col manico in legno per metà dipinto di rosso) e della gestione dei “rapporti” con gli enti politici territoriali e nazionali. Chi esegue fisicamente il lavoro, contabilizzato dall’aggiudicante ad un costo orario superiore ai cento euro, ne prende tre, se va bene. Altro che migliaia di posti di lavoro.

Molti anni fa, nel solito collegamento con Vespa a Porta a porta, la allora presidente della Regione Piemonte, Mercedes Bresso affermò che “La grande opera si deve fare perché è una grande opera”. Trovai decisamente incomprensibile come si potesse sostenere la Tav con una tautologia. Poi ho compreso che è stata l’affermazione più chiara e sincera mai fatta da un politico: la grande opera si deve fare perché è una grande opera. Punto. Perché una grande opera porta fiumi di denaro e consenso, determina il controllo politico sulle assegnazioni e sulle forniture – le quali costituiscono la parte più consistente e appetitosa del lavoro – indipendentemente da quanto si fa, dalla sua reale necessità e fattibilità.

Un’opposizione locale. La bassa valle di Susa, chi non la conosce l’immagina forse come un ambiente incontaminato, minacciato nelle sue bellezze dal mostruoso cantiere. Se avete visto una volta Bussoleno, tanto per citare una località, avrete scoperto che non è Merano, che l’ultima imbiancata alle facciate delle case risale al ventennio, con tanto di Vinceremo ancora visibili.

Le tesi degli oppositori hanno finito per mettere sulla bilancia il rapporto costo ambientale e della salute contrapposto ai benefici economici e d’impresa. Non è così: quest’opera è semplicemente non necessaria in qualunque giardino, anche se come conseguenza del realizzarla serve a dare lavoro a manodopera non specializzata per un periodo limitato. La tav distoglie risorse ingenti che potrebbero essere ben più intelligentemente impiegate. Se la tav fosse davvero utile e necessaria si sarebbe fatta da tempo: non si lasciano passare trent’anni senza ancora iniziare, e se ciò fosse successo – com’è successo – sarebbe grave per il Paese e la democrazia. Ma forse i sostenitori dell’opera in cuor loro non sono convinti della bontà del progetto e della sua reale necessità. Forse è solo un pretesto per sostenere interessi altri, evidenti ma nascosti. Forse il discredito su chi si oppone serve a coprire e mascherare ragioni che potrebbero, se fossero oneste, essere sostenute con chiarezza alla luce del sole.☺

 

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