Il seme della discordia
2 Gennaio 2014 Share

Il seme della discordia

“Caro Roger, la morte è sempre tra di noi

e quindi ciò che conta non è sapere se possiamo evitarla

ma piuttosto

se abbiamo raggiunto il massimo delle idee

per cui abbiamo lottato” (Frantz  Fanon)

È davvero difficile, in certi momenti, conservare il dovuto – quanto necessario – self control (aplomb), insomma la capacità di regolare e controllare gli impulsi dettati dall’istinto piuttosto che dalla ragione.

Viva Madiba, vorremmo cantare oggi. Oggi che Nelson Mandela fa piangere molti uomini nel mondo. Viva per sempre, con gli uomini in grado di seguire le sue idee. E con chi lo ha già fatto.

Franz Fanon, commentando dal letto dell’ospedale – che non lasciò mai più da vivo – il  suo celebre saggio politico sulla guerra di liberazione algerina, intitolato e dedicato a I dannati della terra (1961), sottolineava con amarezza (ma con decisione) il rimpianto di dover accettare la malattia come esito finale della propria vita e dunque lasciare questa (dannata) terra in un letto d’ospedale e non invece, come avrebbe desiderato, combattendo il nemico contro cui spinse gran parte delle proprie attività materiali ed intellettuali.

Allo stesso modo (immaginando una vita che avremmo dovuto dedicare interamente a contrastare il nemico occulto che si annida tra gli interstizi miseri e violenti del potere) dobbiamo decidere una volta e per sempre che al mondo non debbono più esistere i dannati della terra, e tantomeno – e con maggior coscienza – non devono più vivere i privilegiati, sulla terra! Impunemente.

Le carceri italiane – e veniamo al punto – potrebbero, diciamo, ospitare 47.515 detenuti (come ci ricordano ripetutamente le cronache giornalistiche degli ultimi giorni) a fronte di una popolazione reale stimata intorno a 64.758 unità incarcerate. Volendo cinicamente seguire il dato numerico, esistono dunque 17.243 detenuti che non possono essere detenuti!

Detenuti. Denutriti. Destabilizzati psichicamente e fisicamente. Demoralizzati e destrutturati nella dignità, con la consapevolezza di non poter più appartenere al genere umano. Le carceri distruggono, definitivamente, la pur minima possibilità di recuperare l’essere detenuto (laddove vi sia stato effettivamente un delitto o una colpa da dover redimere) e occultano nella miseria privata più nera, la capacità del detenuto di intraprendere nuove forme di comportamento ‘socialmente’ lecite.

Redenzione. E invece, in questo panorama triste e vergognoso, l’indifendibile  ministro della giustizia, un’inutile ministro dal nome Annamaria Cancellieri, dedica il suo tempo a proteggere i potenti di turno, come sempre privilegiati a vivere in forme ‘altre’ rispetto alla totalità degli uomini: forme di vita delicate e cortesi, dove le proprie disgrazie (che per gli uomini e le donne dannate dalla terra, da sempre si chiamano immediatamente ‘colpe’). Da espiare. Tra torture e omicidi. Tra poche e benedette collaborazioni sociali organizzate da associazioni di volontariato e di tutela dei diritti di detenuti. Penso all’Associazione Antigone, che da anni combatte (con altri nuclei di associazioni) all’ordinamento delle pene alternative alla carcerazione.

Ma il Dividi et impera, la lezione strategica del dominio imperiale, riecheggia sempre più spesso nella nostra vita quotidiana. Siamo abituati (costretti) a subire in ogni sfera del vivere sociale angherie e prepotenze sempre più spietate, sempre più ignobili e turpi contro le quali – ad ognuno – verrebbe in mente di perdere il self control e l’aplomb.

Il nostro Molise, ad esempio (visto che chi legge e chi scrive, vive lì) il Molise (“nella sua saggezza e nella sua povertà molisana”  così nervosamente dipinta da Don Ciccio Ingravallo nelle pagine di Gadda) così sapientemente descritto,  il Molise, offeso, bistrattato e depredato da poche famiglie di ricchi latifondisti e da spregiudicati politici di turno è oggi allo stremo delle forze: oggi che qualcuno vorrebbe ‘celebrare’ i 50 anni della sua autonomia regionale.

Ma forse dopo tanto tempo,  il seme della discordia che – soprattutto negli ultimi vent’anni di governo di centro destra – è stato seminato tra le comunità residenti in regione, così come nella capillare distribuzione di mansioni e responsabilità di comando all’interno (soprattutto) della pubblica amministrazione e nelle poche realtà industriali molisane, questo seme avrà (purtroppo) ancora vita lunga: dovremo aspettare il pensionamento (fisicamente parlando) della attuale classe dirigente locale, per sperare di vedere facce nuove e comportamenti diversi dall’abominevole propensione al privilegio cui siamo abituati  assistere.

Da dove cominciare?! Da dove ri-cominciare … Dalle nostre case, dai posti di lavoro. E dalle parole dei grandi uomini e delle migliaia di donne che hanno già gridato forte, nelle piazze, nelle strade e nelle campagne … “fino alla collina molisana: duri monti, dure cervici, duro il diavolo!”

Bisognerebbe saper dare un ordine, una scala di  priorità alle emergenza da affrontare. Ma su quali forze politiche, oggi, davvero può contare il popolo? O forse la parola ‘popolo’ (oggi) fa sorridere?! Eppure, il Popolo è fatto da quelle persone che scrivono e leggono queste poche righe. Da chi le genera e chi le offende. Da chi le osteggia e da chi le teme

Le parole … Quanto possono essere belle, le parole! E da oggi, allora: viva Mandela!!  ☺

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